"Del viver ch'è un correre a la morte"
Siamo consapevoli che il solo pensiero di accostare Fast X (qui la nostra recensione) alla Divina Commedia ci renda meritevoli di un nuovo girone infernale a noi dedicato, ma sono i rischi del mestiere. Amiamo il pericolo senza temere il contrappasso, carnali e appassionati proprio come la Famiglia di Dominic Toretto (Vin Diesel) nel longevo - e un po' estenuante - franchise action-automobilistico miliardiario. Partendo come thriller sportivo dedicato al mondo del tuning e delle corse clandestine, la saga ha continuato a re-inventarsi in 22 lunghi anni cinematografici, con una presa di potere sempre più significativa di Diesel in termini d'ingerenza produttiva e la pretesa di trasformare una farsa esagerata e ridicola in una tragedia d'azione.
Mentre il protagonista vuole fare Shakespeare a ogni inquadratura, tormentato e con ambizioni da Oscar (lo ha detto veramente per Furious 7), gli altri ridono e giogioneggiano prendendo la serie per quello che è: la disinvolta esasperazione di un genere diluito in un mercato mainstream che vuole un blockbuster caciarone, divertente e il più possibile spettacolare. Fast & Furious è una commedia e Dom si prende troppo sul serio, in sostanza, ma fortunatamente sembra che a ridosso della fine della corsa sia arrivato qualcuno a ricordargli "che la diritta via era smarrita", a rimettere il personaggio Toretto e la persona Vin al loro posto in un momento dove le fila devono essere tirate, i peccati affrontati, i peccatori nominati. Si chiama Dante, lo interpreta Jason Momoa ed è la guida che accompagna Dom nella sua personale Drive-ina Commedia che va dal paradiso all'inferno.
[ATTTENZIONE, SPOILER A SEGUIRE]
Soffrire per comprendere
Fast X ripercorre tutti i tasselli della saga come incipit di una trilogia conclusiva dal sapore epico e rocambolesco, eppure al cuore sembra soprattutto voler giocare con essa. Un po' come già fatto da Scream V e Matrix Resurrections, il film diretto da Louis Letterier si veste infatti di meta-citazionismo senza sforare mai nell'audacia a tutto tondo, provando a riflettere da vicino sui cambi in itinere del franchise e nobilitandoli attraverso un dramma che si fa ricercato sbeffeggio. Tutto questo è rimesso in mano a Dante, figlio dell'Hernan Reyes del quinto capitolo pronto a vendicarsi di Toretto e dei suoi compagni. Il suo obiettivo non è ucciderli, comunque, o almeno non subito. Dante desidera infatti distruggerne la reputazione, trasformarli in cattivi, riportarli alla loro essenza naturale di criminali da strada disgregando lentamente quella famiglia venuta a crearsi in vent'anni di strada. Prende così Dominic e gli altri e li spinge dal paradiso di birre e barbecue in un vero e proprio inferno sulla Terra dove - a suo avviso - devono rispondere dei loro peccati, in via direttamente inversa e proporzionale per comprenderli meglio e con più forza.
Il villain di Momoa è ovviamente un sociopatico narcisista con qualche ulteriore disturbo della personalità annesso, il che lo rende terribilmente ma straordinariamente eccentrico, sopra le righe, spassoso ed esilarante. Rappresenta la maschera del pubblico e la coscienza cinematografica stessa, cioè chi ha vissuto e sopportato la Famiglia per due decenni e l'espressione di un Io artistico più sincero ed elevato, declinato però in muscoli e tamarraggine per adattarsi al contesto. Dante è piuttosto un Virgilio, in questo senso, voce distorta della consapevolezza e megafono dell'esaurimento del grande pubblico. Quando a Roma, in sella a una moto, fiancheggia Letty (Michelle Rodriguez) e le fa: "Ehi Letty! Vaffanculo!", beh, quello è un po' il cinema e noi che ci liberiamo di un peso sovra-testuale, di quell'insopportabile senso d'unione fuori contesto, di quel dramma eterno da soap opera di terza categoria che tutti, in un momento o in un altro, abbiamo desiderato far saltare in aria.
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Deridi e conquista
Dante dice a Dom: "Tu credi che alla fine passino tutti dalla tua parte, vero?", riferendosi ai trascorsi narrativi del poliziotto Brian (Paul Walker) divenuto suo amico e braccio destro, di Luke Hobbs (Dwayne Johnson) diventato compagno, di Jakob Toretto (John Cena) riscopertosi buono e chissà ancora quanti altri. Lo fa in un momento in un cui la convinzione di Dom viene meno, quando Aims (Alan Richardson) si rivela un nemico dopo aver spinto il nostro eroe dove voleva. Si prende gioco del messaggio insito nella saga, ci sputa sopra e lo deride e anzi lo disintegra, dimostrando di essere lui stesso il contrappasso a quella spocchiosa gravitas che ha cominciato a bullizzare il franchise dall'interno dopo Tokyo Drift, a bilanciare maldestramente l'ottima azione fuori scala con dei contenuti drammatici macchiettistici. Ripercorrendo per questioni narrative l'intera storia della saga, è lo stesso Aims a porre il problema: "Come abbiamo potuto permetterlo?". Com'è successo che un paio di teppistelli di strada hanno iniziato a salvare il mondo insieme a una segretissima agenzia di spionaggio senza nome? Com'è accaduto che un piccolo cult d'inizio 2000 si trasformasse in uno dei franchise più remunerativi, paradossali e insensati di sempre? Perché non muore nessuno in Fast & Furious, persino chi è morto nella vita reale? Prima di tirarsi fuori dal progetto in veste di regista a poche settimane da quel famoso video social dove sembrava non sopportare più nemmeno la presenza di Diesel al suo fianco, Justin Lin ha co-firmato la sceneggiatura di Fast X insieme a Dan Mazeau.
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Nel personaggio di Dante è in effetti rintracciabile una certa insofferenza per Dom e per la serie, come se Lin avesse voluto intervenire attivamente e con concetto per dare una sistemata alla narrazione, prendendo spunto dalla sua storia reale e intima per chiudere infine il cerchio. Ma il fine di un viaggio è ritornare cambiati, proprio come Fast & Furious è cambiato "nel mezzo del cammin" della sua vita, godendosi in parte il successo guadagnato ma anche costretto a pagare il prezzo di scelte che hanno sempre operato in addizione. Il Dante di Momoa è quel prezzo: un nemico che ruba la scena persino alla migliore sequenza d'azione del film, che comunque non potrà mai essere superiore a una fuga con cassaforte a Rio, all'inseguimento di un aereo su di una pista infinita, a un salto in macchina dai grattaceli di Dubai o a una calamita gigante in carreggiata. E infatti per la prima volta da Fast & Furious 5 il franchise gioca in sottrazione in campo action e cerca invece di calibrare il tiro, snaturandosi un'altra volta ancora nel farlo. È solo nell'imbolsita fisicità di Momoa, nei suoi tempi comici, nel suo ribaltamento shakespeariano del dramma di Diesel che troviamo una chiave di lettura adatta alla saga per com'è pensata oggi e oltra la purissima azione. Considerando poi il cliffhanger finale e la promessa di una chiusura più articolata, la sperimentazione dell'Inferno di Dante è solo agli inizi, con la speranza di uscire infine a riveder le stelle.