Donne e motori, gioie e dolori. Ma anche un bel po' di soldi al botteghino per una saga, quella di Fast & Furious 9, che ha accompagnato la generazione millennial prima e quella degli anni 2000 poi all'insegna di un sogno che correva su quattro ruote. Quelle ruote da quattro poi sono diventate molte di più, si sono moltiplicate, così come personaggi, linee narrative ed eventi. Fast & Furious 9 è in arrivo, vi ritroveremo (come già mostrato dal trailer) alcuni dei protagonisti degli episodi precedenti ma anche alcune new entry, in un nuovo viaggio in cui a farla da padrone sarà l'adrenalina, gli inseguimenti più irrealistici, un sacco di scazzottate e naturalmente lui: Dominic Toretto. Il personaggio che ha donato fama e gloria a Vin Diesel può essere considerato sia un totem transgenerazionale che l'ultimo, vero, rappresentante dei "duri" vecchia maniera, col tempo scomparsi dal grande schermo. Prevedere cosa dobbiamo aspettarci a livello di trama non è così semplice ma, per immaginarlo, basta guardare il percorso fatto fino ad ora, l'insieme di coerente gigantismo con cui Diesel e la sua crew sono diventati una sorta di big family per il pubblico mainstream.
Il fenomeno mainstream di inizio millennio
Sono passati ventun'anni da quando uscì il primo Fast and Furious, con dei giovanissimi Vin Diesel e il rimpianto Paul Walker. Era l'alba del nuovo millennio ed eravamo tutti molto più giovani. Se la cosa vi spaventa perché nella vostra mente il 1998 dovrebbe essere solo qualche anno fa, tranquillizzatevi: è tutto normale. Il film, diretto da Rob Cohen, fu la sorpresa del botteghino, guadagnò infatti oltre 200 milioni di dollari e fece dei due protagonisti, il ribelle capobanda e asso del volante Toretto e l'idealista agente dell'FBI O'Conner, i nuovi eroi dei teenagers dell'epoca.
Dieci anni prima c'erano stati i surfisti di Point break, Punto di rottura, Keanu Reeves e Patrick Swayze, ora c'era una nuova coppia di nemici-amici a proporre un iter più grossolano ma efficace. Bicipiti pompati, ragazzoni machos e ardimentosi, pupe toste e pericolose nella Los Angeles delle gang, dove contava il rispetto e il coraggio sulle quattro ruote. Aggiungiamo una colonna sonora da sballo, scene d'azione e inseguimenti assolutamente pazzeschi (ben 78 macchine distrutte durante le riprese) ed ecco che il pubblico giovanile (e non solo) ebbe il perfetto prodotto d'intrattenimento, che univa l'action, macchine, la dimensione melò e il western urbano.
Fast & Furious in realtà all'inizio era soprattutto questo. Ed era il motivo per cui si fissò così tanto nell'immaginario dei giovani del 2000. Fu in realtà - ed oggi lo possiamo dire - il vero fenomeno di costume di una generazione che non aveva né un Kurt Cobain, né un film come Flash Gordon per accompagnarli nella nuova epoca.
Quel "vivo la mia vita un quarto di miglia alla volta" in breve è diventato un motto assoluto.
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Tra inclusività e gigantismo esponenziale
Negli anni Fast & Furious ha potuto rivendicare un contributo non da nulla soprattutto su due aspetti: quello dell'inclusività e quello della rappresentazione della donna. Al netto di telecamere fin troppo basse rispetto al giro vita delle centinaia di modelle in abiti succinti che ne popolavano le immagini, la saga ha proposto fin dall'inizio dei personaggi femminili assolutamente moderni ed emancipati, guerriere della strada dotate di coraggio, iniziativa, indipendenti e carismatiche. Quando poi è apparsa all'orizzonte una villain come la Cipher di Charlize Theron, il quadro è stato completato nel suo ultimo tassello. In tutti i film della saga non sono mai mancati personaggi asiatici, afroamericani o latinos in gran quantità. Si tratta di un elemento che la critica non ha mai sottolineato abbastanza, ma che in realtà è stato uno dei segreti dietro al galoppante successo della saga, che ha saputo legarsi alla società multietnica del 2000. Il tutto senza però venire meno a quel gigantismo machista proprio del cinema d'intrattenimento e della cultura americana.
Se osserviamo l'iter evolutivo del mondo di Toretto e soci, appare innegabile un sempre maggior ricorso ad una fantasia declinata in corpi più massicci, mezzi sempre più fantasiosi e grossi, trame sempre più irrealistiche e protagonisti sempre più vicini ad essere degli X-Men. Si è trattato di qualcosa a cui per altro sono stati costretti dalla morte di Paul Walker, l'altro protagonista. Scomparso lui, Vin Diesel o chiudeva tutto o cercava di continuare trovando altre risorse. Oltre alla Theron (scelta azzeccatissima), quelle risorse sono state anche altri due nomi che si son rivelati a dir poco perfetti: Jason Statham e soprattutto Dwayne Johnson, sempre più Re Mida dei botteghini. Il che naturalmente ha comportato che dalle corse sulle tangenziali e deserti americani, dalle feste in case private a base di corona, ci si sia ritrovati su auto che volano nel cielo, sommergibili al polo, carri armati e mega-organizzazioni criminali in stile Spectre.
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Una saga in bilico tra ribellione e conformismo
In questo nono capitolo abbiamo una new entry: John Cena, che sarà Jakob, il fratello (mai visto prima) di Dom Toretto. È una scelta né incoerente né casuale, perché la famiglia è sempre stata il tema portante di questa saga, la carta vincente. Famiglia che però non è tanto intesa come quella di sangue, ma come quella scelta dai vari protagonisti, una sorta di sogno di libertà in antitesi (ma in ultima analisi in perfetta armonia di fondo) con uno dei pilastri della società americana. Oltre alla famiglia, poi, ci sono pure gli altri pilastri: l'american dream, l'individualismo, il culto del successo, la concezione dello Stato e dell'autorità come un nemico o un limite, il "mito" del fuorilegge come di una sorta di totem degli spiriti liberi. La crew di Toretto come Jesse James e i fratelli Reno? Sì, John Dillinger e Bonnie & Clyde godettero di una fama simile proprio per il loro connettersi, nell'immaginario collettivo, ad uno stile di vita anti-tetico al mondo borghese. Eppure (altro contrasto suggestivo) a quello stile di vita, negli anni, Dom ed i suoi hanno sempre cercato alla fin fine di legarsi, di smettere di essere fuorilegge, godendosi in santa pace la "famiglia" così come i soldi, i figli. Ma niente da fare, arrivava sempre o un cattivo o un avversario, poi destinato a diventare un "buono", a ricondurli al volante di auto in grado di vincere le leggi della fisica. Potete scommetterci che pure Jakob, l'ennesimo guerriero invincibile, in un mondo di mai morti del tutto (il ritorno di Han sfiora l'assurdo a pensarci) entrerà a far parte della "famiglia", seguirà lo stesso destino di Hobbs e Shaw, magari finirà anche nell'ennesimo spin-off sempre più fantascientifico. Tutto quello che sappiamo, però, è che la saga di Fast & Furious nel suo giocare tra autoironia e il prendersi dannatamente sul serio, è riuscita ad essere il perfetto prodotto d'intrattenimento, forse addirittura il migliore di sempre nel suo genere. Perché come il suo protagonista non ha mai promesso qualcosa che poi non ha dato.
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