Strizza l'occhio al cinéma vérité, inteso nella sua forma più ampia, Familiar Touch, opera prima di finzione di Sarah Friedland premiata alla Mostra del Cinema di Venezia 2024 con il Leone del Futuro. Friedland, che ha all'attivo la regia di un paio di documentari, ne ha mutuato stile e approccio veristico anche in questa opera, che racconta il trasferimento dalla propria casa a una RSA di un'anziana affetta da demenza senile.

L'affetto e il pudore con cui Sarah Friedland racconta l'esperienza di Ruth Goldman (una strepitosa Kathleen Chalfant), ottantenne affetta da perdite di memoria che spingono il figlio a farle lasciare la sua bella casa per trasferirsi in una casa di cura, dove verrà accudita da personale qualificato, denunciano quanto il tema stia a cuore alla giovane regista, che ha realizzato il film all'interno di una vera casa di cura californiana, Villa Gardens, a Pasadena. La maggior parte del film si svolge all'interno della struttura, mostrando le difficoltà di Ruth nell'adattarsi a un ambiente e a una routine diversi da quelli a cui era abituata.
La casa di cura: un microcosmo di umanità

Familiar Touch è un film piccolo e delicato, che priva la materia trattata - l'incapacità di badare a se stessi per via dell'età e della malattia - delle parti più scabrose e degradanti. Ruth è una donna elegante, raffinata, appartenente all'alta borghesia americana, come denunciano la casa spaziosa e piena di oggetti, gli abiti eleganti e i gioielli che sfoggia. Ma ciò non le impedisce di scambiare il figlio, di cui sembra non aver memoria, per un possibile corteggiatore in una delle sequenze più amare del film. ça pellicola è drammaticamente precisa nel restituire la complessità di una malattia mentale che impedisce a Ruth di riconoscere il suo unico figlio, ma non di ricordare alla perfezione le ricette di cucina apprese dalla nonna con cui è cresciuta mentre i genitori erano al lavoro.
Il film di Sarah Friedland si concentra in un momento preciso della storia di Ruth, quello in cui dove ambientarsi nella facility care che lei stessa aveva scelto, come spiega il figlio, in previsione del momento in cui non sarebbe più stata in grado di vivere da sola. Quella che è la parte più corposa del film nasce da un laboratorio tenuto dentro la struttura con il coinvolgimento di infermieri e pazienti, che compaiono nel film insieme agli attori. Questa situazione permette alla regista di dar vita a qualche momento più leggero e ironico, in cui vediamo Ruth intenta a provare a comunicare con le altre ospiti della casa di cura o a prendere il controllo della cucina, impartendo ordini al personale con estrema naturalezza.
Il cinema come specchio delle paure

Nel raccontare la malattia, Familiar Touch sceglie di adottare per la maggior parte del tempo il punto di vista della protagonista, che Kathleen Chalfant restituisce in tutta la sua fragilità, disperazione e al tempo stesso dignità. Il film è molto efficace nel mostrare l'andamento della malattia, in cui si alternano momenti di perfetta lucidità ad altri di totale confusione, e dove presente e passato si fondono in un unicum che cancella la coscienza di sé del paziente. La riflessione della regista non si limita al caso specifico della sua protagonista, ma assume una valenza universale nel rappresentare il crepuscolo della vita e l'invecchiamento, processo a cui tutti vanno incontro.

Per valorizzare la dimensione umanistica, la regista fa il vuoto intorno alla storia principale. La sua telecamera si concentra su Ruth seguendola da vicino nei suoi gesti quotidiani, esplorando il suo volto per catturarne tutte le emozioni possibili, oppure la mostra impegnata a creare faticose relazioni con le persone che le gravitano intorno a partire dal figlio, interpretato da H. Jon Benjamin, che compare in pochi, ma fondamentali momenti. Alla lunga, però, questo stesso vuoto, "funzionale agli scopi che la regista si è prefissata", pesa sulla narrazione eccessivamente scarna. O forse, l'assenza di subplot da usare come diversivi costringe al pubblico a riflettere, a immedesimarsi nell'anziana, a proiettare sulla sua storia le paure e le angosce sul futuro che attende tutti noi. Familiar Touch è un film che non lascia scappatoie. Chi cerca nel cinema una via di fuga dalla propria esistenza potrebbe non apprezzare.
Conclusioni
La recensione di Familiar Touch mette in luce la visione umanistica dell'opera prima di Kathleen Chalfant che racconta con profondo rispetto e pudore l'esperienza di un'anziana affetta da demenza senile a contatto con la casa di cura. il film, intimo e delicato, appare decisamente scarno nonostante la notevole performance della protagonista Kathleen Chalfant,
Perché ci piace
- L'immensa performance di Kathleen Chalfant.
- La precisione e il pudore con cui viene raccontata la demenza.
- L'ambiente gioviane e affettuoso della casa di cura offre un punto di vista diverso su un luogo spesso oggetto di critiche.
Cosa non va
- Gli ingredienti della storia sono ridotti al minimo, alla lunga il film risulta un tantino "povero".