Un ritratto a luci al neon della Generazione Z americana. È così che è stata definita Euphoria, la serie HBO di Sam Levinson, che ogni lunedì, alle 23.15 su Sky Atlantic (e in streaming su NOW), arriva sui nostri schermi per ammaliare i nostri occhi e devastare il nostro cuore con la sua stagione 2. È una definizione particolarmente azzeccata perché, come vi stiamo raccontando da tempo su Movieplayer, Euphoria è un prodotto unico e rivoluzionario, che ha ridefinito i codici del teen drama e ne ha riscritto le regole.
Euphoria, qualcosa di mai fatto prima
Un prodotto come Euphoria non è mai stato fatto prima, né che si parli di serie tv né che si parli di film. Perché i teen drama, a loro modo, sono sempre stati piuttosto rassicuranti: man mano il livello di introspezione e del racconto di temi forti si è alzato, certo (da Beverly Hills, 90210 a The O.C. ci sono dei passi in avanti notevoli), e, anche quando si è cercato di toccare temi molto delicati, si è sempre stati attenti al fatto che quello che si mostrava rientrasse nei confini del lecito. D'altra parte, una serie di racconti più crudi, film come Christiane F. - Noi i ragazzi dello zoo di Berlino o Kids e altri film di Larry Clark, sono sempre stati contraddistinti da una confezione più realistica, da cinema verità, come se volessero mostrare uno spaccato della vita degli adolescenti alla stregua di un documentario.
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Tutto diventa glamour e seducente
La novità di Euphoria è questa. È in quello che racconta e che mostra senza veli e senza censure. Ma soprattutto nel fatto che lo presenta in una confezione molto particolare. È il ritratto al neon di cui parlavamo. In Euphoria tutto diventa glamour, seducente, caramellato, pop, fluorescente. Si sceglie cioè uno stile preciso, che potrebbe essere quello dei videoclip, degli spot pubblicitari, anche di un certo cinema sentimentale di anni fa, per raccontare qualcosa di molto più duro. È un modo per sedurre e avvicinare il pubblico per poi riuscire a raccontare altro, il dolore, lo spaesamento, le dipendenze.
La luce ha un compito narrativo ed evocativo
Ci sembra che in questa seconda stagione la luce abbia un compito sempre più importante, narrativo ed evocativo. Detto che la confezione è costantemente glamour e le luci con cui sono illuminati i protagonisti sono sempre perfette, ci sono dei momenti precisi che rimangono impressi, in cui la luce gioca un ruolo decisivo. Prendiamo la scena, alla fine del primo episodio. Mentre all'interno della casa la festa di Capodanno continua, all'esterno assistiamo all'incontro tra Jules e Rue con un lavoro di campo e controcampo, giocato sui primi piani. Il volto di Jules è illuminato dalla luce del suo smartphone, poi, man mano che si avvicina a Rue, dal fuoco. Rue infatti si trova insieme ad alcune persone attorno a un fuoco ed è quella luce a illuminarla. Un movimento di macchina in avanti, un lento zoom, ci fa "vedere" e "sentire" l'attenzione di Jules che si focalizza su di lei, il desiderio di raggiungerla. Nella sequenza del loro incontro, la luce - sempre calda - ha il compito di isolare i volti, di drammatizzarli, di enfatizzare le loro espressioni, e di farci vedere solo quelli. In questo modo non possiamo scappare, dobbiamo stare lì, davanti a quei volti, dobbiamo vivere le loro emozioni.
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Come in un quadro di Caravaggio
In quel finale dell'episodio 1, i volti scompaiono ed emergono continuamente dal buio. Ne vengono illuminati incidentalmente, come se fossero in un quadro di Caravaggio. Intorno a loro le luci si accendono e si spengono. Intorno a Rue e Jules, e poi a tutto il gruppo, mentre balla, al ralenti. Fino a che si arriva al bacio tra Rue e Jules. È girato in controluce, con una fortissima luce bianca dietro alle due ragazze. Nel momento del bacio i profili dei loro volti, le loro sagome, si stagliano contro la luce creando un forte effetto estetico ed emotivo. È un canone stilistico usato spesso in passato, che qui viene riproposto e usato in modo nuovo. È il canone di un certo cinema sentimentale, di una certa pubblicità, che qui però arriva al culmine di un percorso molto doloroso per due personaggi. È un linguaggio che associamo all'amore romantico e, inserito in questo contesto, sembra darci un senso di sollievo, quello del raggiungimento di un sogno.
Un uso delle luci volutamente irreale
Il senso di un certo uso della luce è proprio questo. È il voler ricreare un certo tipo di immagine che è ben presente e chiaro nel nostro immaginario, in modo che alla sua visione in noi scatti immediatamente l'identificazione con un mondo preciso. Prendiamo l'inizio dell'episodio 2, e alla scena d'amore tra Nate e Cassie. C'è una luce bianca, dorata fortissima e avvolgente che inonda letteralmente la scena e i corpi. Che, anche qui, sono spesso in controluce. La macchina da presa accarezza quei corpi, li astrae e allo stesso tempo li rende vividi, vibranti. È un uso delle luci volutamente irreale, forzato, ancor più che nei casi di cui sopra, è un immaginario da spot pubblicitario. È uno stile che, negli anni Ottanta, grazie a registi come Ridley Scott e Tony Scott che venivano da quel mondo, è diventato un canone del cinema, un linguaggio preciso. È un modo per farci capire immediatamente - ancora prima che sia la voce narrante a dircelo - che siamo in un mondo da sogno, una visione idealizzata ed idilliaca. È un what if, è quella che sarebbe stata la love story tra Nate e Cassie, se solo si fossero conosciuti prima. Ora quello tra i due è un amore impossibile. Euphoria è questo, un continuo gioco di luci, un continuo contrasto tra luce e buio, tra aspirazioni e realtà. È per questo, anche per questo, che fa così male.