Euphoria, la recensione: lo scabroso teen drama che ridefinisce il genere

La recensione di Euphoria: il teen drama HBO in onda su Sky Atlantic, creato da Sam Levinson e con un cast guidato da Zendaya.

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Euphoria: Zendaya in una immagine della serie

Gran parte della sua fama Euphoria, che è basata sull'omonima serie israeliana, se l'è guadagnata ancor prima di debuttare negli USA, a giugno, su HBO. È stata infatti presentata come il teen drama più scandaloso di sempre, il più esplicito, quello che più di ogni altro avrebbe mostrato senza filtro alcuno l'intersecarsi di sesso, droga e violenza all'interno delle dinamiche dell'high school. È così che è stato creato l'hype. In questa recensione di Euphoria, che in Italia verrà trasmessa su Sky Atlantic dal 26 settembre, cercheremo di capire se quest'obiettivo è stato raggiunto.

HBO sa benissimo che il teen drama è un genere con cui è stato detto molto, e con molta varietà, da Dawson's Creek a Skins. Per evitare la saturazione, allora, c'era bisogno di un prodotto che non fosse solo benfatto e brillante (alla Sex Education), ma che tracciasse una netta linea di demarcazione, che diventasse un nuovo termine di paragone.

Una serie forte al di là della trama

Euphoria è uno show colmo di personaggi. Rue (Zendaya Coleman) è la protagonista assoluta nonché voce narrante, ma ci sono almeno altre sei figure che hanno uno spazio rilevante all'interno delle otto puntate da circa un'ora. A queste si aggiungono tutta una serie di personalità di seconda o terza fascia la cui importanza e incisività sono variabili, e che servono soprattutto a creare un quadro ricco, vorticoso e spesso confuso. Proprio come l'adolescenza. Per questo condensare la trama di Euphoria in qualche battuta è limitativo, perché il senso dello show sta soprattutto in come i fatti prendano determinate pieghe, sulla scoperta progressiva di un'intimità repressa ma debordante che porta a delle scelte.

Harry Styles e Louis Tomlinson: la scena di sesso animata in Euphoria accenda una polemica

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Euphoria: Hunter Schafer protagonista di una scena della serie

Una cosa comune c'è: tutti i ragazzi affrontano una qualche disfunzione. La famiglia, l'accettazione di sé, il sesso o la sessualità, l'amore in senso più ampio e l'amicizia. Se vi state chiedendo dov'è la novità, la risposta, semplicemente, è che, in termini di storia, non c'è. Certo alcuni paradigmi sono stati modellati sulla generazione raccontata, e quindi qui la perdita della verginità è più una pratica da sbrigare quanto prima che un passaggio nodale, il consumo di droghe un'abitudine più che una trasgressione e l'omosessualità non è più un tabù. E infatti nelle primissime puntate viene spesso da pensare "tutto qui?", tanto più che l'empatia con i protagonisti non è affatto immediata. Ma l'unica cosa da fare è pazientare.

Un impianto visivo unico

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Euphoria: un momento della serie HBO

Dove Euphoria riesce a fare un passo in avanti è nell'impianto visivo, che è personalissimo e iper caratterizzante. C'è una rappresentazione liquida del tempo e dei rapporti, che è ottenuta attraverso un lavoro di regia e (soprattutto) un montaggio unico e peculiare. Così complesso che molti l'hanno giudicato confusionario. Non hanno tutti i torti, ma se l'obiettivo era replicare il periodo più frastornante della vita, in cui l'ingigantimento dei fatti è la prassi, allora questa valanga di immagini e musica, che più avanza più assume forza e spettacolarità, è un risultato perfettamente calzante.

La generazione Z senza filtri

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Euphoria: Barbie Ferreira in una scena della serie

Non si prova facilmente empatia con i personaggi, dicevamo, ed Euphoria possiede il raro coraggio di non addolcire progressivamente la pillola per convincerci a volergli bene. A molti di loro gliene vorremo, questo è assicurato, ma proprio come con le persone per cui davvero si prova affetto: lo faremo accettando anche i loro difetti, che rimangono lì, evidenti. Perché Euphoria non è un affresco nudo ma in fondo rassicurante della generazione Z. Probabilmente desidereremmo Rue e Jules (una fantastica Hunter Schafer) come amiche, ma l'idea di voler stare nei loro panni non ci sfiora nemmeno per un secondo, perché sono un'esauribile fonte di sofferenza, incapaci di comunicare in modo sano con l'altro e di stare al mondo pacificamente. Insomma sono proprio come noi, e spesso peggio di noi, e ci vuole coraggio a rappresentare un essere umano così troppo umano.

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Euphoria: Jacob Elordi in una scena della serie

Eccesso di umanità significa rappresentazione di un realismo quanto più esasperato possibile, con chat, video amatoriali e social media che mai come qui assumono una rilevanza imprescindibile da un punto di vista squisitamente narrativo. Perché la vita di un sedicenne nel 2019 è quantomeno divisa a metà tra online e offline, e una serie del genere deve tenerne conto. E così quelle che nei precedenti teen drama erano i pettegolezzi, qui hanno le sembianze reali e inconfutabili del revenge porn, e gli appuntamenti segreti si organizzano attraverso un'app di incontri, non con un bigliettino passato dal vicino di banco.

Un cast perfetto e sempre convincente

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Euphoria: Alexa Demie in una scena della serie

Gran parte del successo di questa serie va ricercata nel cast, perché non c'è un attore che non abbia saputo dare una sfumatura convincente al proprio personaggio. Anche Jacob Elordi, che interpreta il "cattivo" Nate, la cui espressività è un punto di domanda per gran parte della serie, nel finale esplode in un modo così giusto da restituire un senso a tutta la sua prova.

Hunter Schafer introduce nel teen drama la condizione transgender con un'eleganza, una delicatezza e una potenza che sembrano lanciarla verso un assicurato futuro da star. Sorte che, probabilmente, era già in serbo per Zendaya, che in Euphoria trova la definitiva consacrazione della sua poliedrica figura attraverso una parte in cui riesce a essere, ottimamente, tutte queste cose: tossicodipendente, narratrice onnisciente, innamorata, disperata, intelligente eppure dannatamente stupida, come solo un sedicenne può essere.

Conclusioni

Con questo teen drama, HBO si è evidentemente posta l’obiettivo di ridefinire il genere. Come analizzato in questa recensione di Euphoria, c'è riuscito grazie soprattutto a un impianto visivo unico, dove montaggio e regia creano un vortice futuristico di rapporti umani e dipendenze, scelte sbagliate corrette da altre scelte sbagliate, e un iperrealismo senza zuccheri. Perché tutto questo funzionasse c’è voluta una grande prova dell’intero cast, cresciuto a dismisura, come tutto lo show, nella parte finale. Euphoria verrà anche ricordata per aver dato una consacrazione definitiva e mondiale alla sua grande star, Zendaya.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • Il realismo con cui sono affrontati i temi adolescenziali.
  • L'interpretazione del cast, con Zendaya in testa.
  • Il lavoro di regia e montaggio, unico per questo genere di serie.

Cosa non va

  • La complessità con cui a volte sono narrati i fatti non rende sempre semplice la comprensione.