I'll protect you from the hooded claw/ Keep the vampires from your door
È la sovrapposizione di due immagini ad aprire Estranei, con un'inquadratura che da subito pare voler instaurare una dialettica impossibile fra interno ed esterno: da un lato la sagoma di Adam, che ha il volto dell'attore irlandese Andrew Scott, dall'altro lo skyline di Londra, che si profila al di là del Tamigi. La vetrata della finestra dell'appartamento di Adam è la prima barriera che si frappone tra il protagonista del film e il mondo al di fuori di quelle pareti: un mondo osservato da lontano e contrapposto a un rifugio domestico che, nel corso della visione, si configurerà come uno spazio interiore in cui immergersi nel tentativo di rievocare il proprio passato. Adam, infatti, è uno sceneggiatore che trascorre buona parte delle sue giornate alle prese con uno script ambientato nel 1987, mentre in sottofondo risuonano brani synthpop degli anni Ottanta e la TV è sintonizzata su un'esibizione dei Frankie Goes to Hollywood.
Uno sconosciuto alla porta
Era sempre un appartamento a costituire lo scenario prevalente anche nel secondo lungometraggio del regista inglese Andrew Haigh: Weekend, film del 2011 che dai circuiti festivalieri all'inclusione nel catalogo Criterion, pure sull'onda di un ottimo passaparola (in Italia sarebbe stato distribuito nel 2016, diventando un discreto caso mediatico), è assurto allo statuto di autentico cult del cinema a tematica LGBT. In Weekend, la casa a Nottingham del giovane Russell era lo spazio, intimo e personale, da aprire alla possibilità del sentimento, accogliendo la presenza e le confidenze del suo nuovo partner Glen. Qualcosa di analogo a quanto accade in Estranei, quando una sera alla porta di Adam bussa uno sconosciuto, o quasi: si tratta di Harry, l'unico altro inquilino di quell'imponente palazzo, che dietro il sorriso gentile di Paul Mescal sembra celare una sommessa disperazione, e la cui volontà di sedurre Adam si intreccia a una silenziosa richiesta di aiuto.
C'è qualcosa di surreale e di fiabesco nell'apparizione di Harry: il ragazzo affascinante e misterioso che, da una silhouette scura dietro un vetro, si materializza di colpo sulla soglia del protagonista, come in un sogno ammantato d'erotismo. Non è un caso isolato: Estranei, liberamente ispirato a un romanzo del 1987 dell'autore giapponese Taichi Yamada, è un film che si muove in un territorio liminare fra la realtà e la dimensione onirica, e in cui il concetto stesso di tempo si astrae dalla normale scansione cronologica a favore di una costante oscillazione fra la notte e il giorno, fra il passato e il presente, senza soluzione di continuità. Lo vediamo ovviamente nei viaggi di Adam dal proprio appartamento a un altro ambiente domestico: quello della casa della sua famiglia nell'area suburbana di Londra, in cui puntualmente trova ad accoglierlo, dopo più di trent'anni, i fantasmi dei suoi genitori, con le sembianze di Jamie Bell e Claire Foy.
Estranei, la recensione: solo Andrew Scott e Paul Mescal nel palazzo
Amore e fantasmi nel cinema di Andrew Haigh
Da questa prospettiva, Estranei segna senz'altro un netto cambiamento nella produzione di Andrew Haigh, cineasta che si è distinto per la prima volta proprio in virtù del minimalismo iperrealista di Weekend, una sorta di rivisitazione omoerotica di Breve incontro di David Lean, ma in cui l'elemento introspettivo era declinato secondo una scrupolosa aderenza al quotidiano. I dialoghi-confessione della coppia di Weekend, complementari alla passione sessuale dei due comprimari, li ritroviamo però in Estranei nel confronto fra le rispettive esperienze di Adam ed Henry: il primo, che ha vissuto l'adolescenza durante gli anni Ottanta, ha preso coscienza della sua omosessualità nel decennio ultraconservatore dell'Inghilterra di Margaret Thatcher e al culmine della piaga dell'AIDS; l'altro, che utilizza il termine 'queer' piuttosto che la parola 'gay', sembra più aperto e disinibito, ma non senza una nota di amarezza in merito al distacco da una famiglia che lo ha sempre fatto sentire come una figura marginale.
Non è l'unico trait d'union fra Estranei e la breve ma preziosissima filmografia di Andrew Haigh: al fantasma metaforico che, in 45 anni, si introduceva all'improvviso nel matrimonio fra i personaggi di Charlotte Rampling e Tom Courtenay, mettendolo in discussione alla radice, qui corrispondono i fantasmi 'letterali' che consentono ad Adam di riconsiderare il legame con i suoi genitori, a partire dal rimpianto per un coming out mai avvenuto, ma anche di fare i conti con se stesso, con la paura e il senso di isolamento correlati in maniera quasi endemica all'omosessualità. E in tale ottica, Estranei è un'opera che costituisce per molti aspetti un modello a sé stante: un melodramma squisitamente moderno per la capacità di far emergere le emozioni con una spontaneità limpida e struggente; un'esplorazione degli affetti familiari mediante i codici della ghost story; un'apologia dell'immaginazione (Adam, del resto, è uno scrittore) come veicolo per una più profonda consapevolezza e per una pacificazione forse non così impossibile.
Weekend: frammenti di un discorso amoroso nel magnifico film di Andrew Haigh
Always on my mind: alla ricerca del tempo perduto
Pertanto il percorso individuale di Adam, e il portato autobiografico dell'adattamento di Haigh del libro di Yamada, confluiscono in una riflessione collettiva che abbraccia soprattutto (ma non solo) la generazione del regista e del personaggio di Andrew Scott. Parlando di sé ai propri genitori, Adam spiega cos'è cambiato (in meglio) tra ieri e oggi, mentre i non detti indicano quanto, al contrario, la sensazione di 'estraneità' mantenga un carattere universale. E la sua "ricerca del tempo perduto" si riverbera in una (ir)realtà filmica ancora immersa nell'età dell'adolescenza e scandita dalle canzoni di quegli anni, dai Fine Young Cannibals ad Alison Moyet. La selezione musicale è un altro espediente volto a spostare il racconto dai sentieri della verosimiglianza a quelli del simbolismo e della memoria: non a caso nelle scene in discoteca risuonano due canzoni sul tema della solitudine, Death of a Party dei Blur ("Go to another party/ And hang myself/ Gently on the shelf") e I Want a Dog dei Pet Shop Boys ("When I get back to my small flat/ I want to hear somebody bark/ Oh, you can get lonely").
E in questo anomalo melodramma, sono appunto due celebri successi degli Eighties a sostituirsi alle parole per raggiungere le vette di commozione di un film dalla straordinaria forza emotiva. Ancora i Pet Shop Boys, nella loro rilettura in chiave eurodance di Always on My Mind di Elvis, forniscono ai genitori di Adam i versi ideali per un'ammenda che funge anche da perfetta dichiarazione d'amore al proprio figlio ("Little things I should have said and done/ I never took the time/ You were always on my mind"); mentre The Power of Love, ballata orchestrale dei Frankie Goes to Hollywood, interrotta da Adam al momento del suo primo incontro con Harry, riparte maestosa in un epilogo dal lirismo assoluto. Un lirismo che trascende i generi e le epoche per suggellare l'unione fra due 'estranei', esaudendo infine la preghiera di Harry con la più dolce delle promesse: "I'll protect you from the hooded claw/ Keep the vampires from your door".