Ormai ci siamo: i giochi sono chiusi, la votazione per il premio cinematografico più famoso al mondo è finita anche quest'anno. Tra poco (per noi la notte del 3) saranno proclamati sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles i vincitori agli Oscar 2025. Presenta, per la prima volta, Conan O'Brien. Come non accadeva da tempo, la corsa è stata agguerritissima. Lo possiamo dire: è stata una campagna scorrettissima, in cui praticamente tutti i candidati hanno dovuto tenere botta, cercando di schivare accuse di ogni tipo.
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A prescindere da come andrà - ed è bello che, per una volta, l'esito non sia così scontato -, ci sentiamo di affermare con certezza che tra i dieci titoli candidati a miglior film ce ne sia uno che, da diverse settimane, è già il grande perdente. Si tratta di Emilia Pérez, che, su carta, avrebbe dovuto essere il favorito. Con le sue storiche 13 nomination (con cui è diventato il lungometraggio non in lingua inglese con più candidature di sempre, superando le 10 di La tigre e il dragone e Roma), per un momento si è pensato di avere un nuovo Parasite. Solo il film di Bong Joon-ho è infatti riuscito a vincere sia l'Oscar come miglior film che quello al miglior film internazionale, e, a inizio anno, Emilia Pérez sembrava destinato non soltanto a fare lo stesso, ma a portarsi a casa anche diversi altri premi.
Invece, in poche settimane, tutto è precipitato. Per come si è evoluta la campagna di boicottaggio, potrebbe arrivare soltanto il premio per Zoe Saldana come migliore attrice non protagonista, che, nonostante la tempesta che ha travolto il film, è comunque riuscita a vincere ogni altro riconoscimento dell'award season, compreso il SAG (che in genere fa capire chi vincerà l'Oscar). Ma come ha fatto il film di Jacques Audiard a diventare il più odiato degli Oscar 2025? E perché la sua protagonista, Karla Sofía Gascón, inizialmente eletta a icona, in quanto prima attrice trans a ricevere una nomination all'Academy Award, si è trasformata nella villain più cattiva di Hollywood? Capiamolo insieme, anche perché, a sorpresa, dopo un progressivo allontanamento da parte di colleghi e collaboratori, Netflix, che distribuisce il film in USA, ha deciso di pagarle la trasferta: alla cerimonia di premiazione ci sarà anche lei.
Emilia Pérez e il trionfo al Festival di Cannes 2024
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Emilia Perez è stato presentato in concorso al Festival di Cannes 2024, dove la giuria presieduta da Greta Gerwig gli ha assegnato ben due riconoscimenti: il Premio della giuria e quello alla miglior interpretazione femminile, dato ex aequo a tutte le protagoniste, ovvero Karla Sofía Gascón, Selena Gomez, Adriana Paz e Zoe Saldana. La maggior parte della critica europea (noi compresi, qui la nostra recensione di Emilia Pérez) ne ha scritto bene: al festival francese il film è stato accolto con entusiasmo e si è cominciato a parlarne da subito come un sicuro protagonista della stagione dei premi, con tanto di facile previsione della candidatura storica che sarebbe arrivata per Gascón. Come si dice, fin qui tutto bene.
L'arrivo in streaming su Netflix: le prime polemiche
Da noi Emilia Pérez è stato distribuito in sala da Lucky Red, mentre in USA, come dicevamo, l'ha acquistato Netflix, che ha fatto grandi sforzi per promuoverlo (con successo, visto che ha ottenuto 13 nomination agli Oscar). Con l'attivo in streaming però, a novembre 2025, sono cominciate a diffondersi le prime perplessità: il pubblico non europeo ha infatti percepito la pellicola in modo molto differente.
Quella raccontata da Audiard è la storia di un'avvocata, Rita (Saldana), che aiuta un boss del cartello messicano, Manitas Del Monte, a cambiare sesso: il criminale fa la transizione e diventa la Emilia Pérez del titolo (entrambi i ruoli sono interpretati da Karla Sofía Gascón). Questa storia, che passa da thriller a crime, a dramma, è raccontata con un altro genere ancora: il musical. E se a Cannes, anche per chi scrive, questa è sembrata un'idea geniale, oltreoceano è stata accolta malissimo.
Il boicottaggio dei Messicani e le accuse di appropriazione culturale
Se la comunità LGBTIQ+ si è divisa sul film, che effettivamente racconta la transizione in modo sbrigativo, con un numero musicale che in USA è diventato immediatamente scult (La Vaginoplastia), le critiche maggiori sono arrivate dal Messico. Pur avendo detto più volte di aver realizzato un'opera, un melò, che quindi non ha nessuna pretesa di essere realistico, o di raccontare una storia vera, i Messicani hanno percepito Emilia Pérez come un'offesa personale.
Per il pubblico di quel paese sono moltissime le cose inaccettabili: prima di tutto l'aver trattato una tragedia reale come quella del Cartello messicano troppo superficialmente. Il fatto che, da uomo, Manitas abbia ucciso centinaia di persone e poi, improvvisamente, da donna, voglia redimersi è stata vista come una forma di mancanza di rispetto.
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Poi c'è il problema della lingua: nessuna delle attrici protagoniste, tranne Adriana Paz, è messicana. Gascón è spagnola, mentre Saldana e Selena Gomez, che interpreta Jessie, la moglie di Manitas, sono americane con origini latine (anche se nel film si dice che il personaggio di Gomez ha vissuto in USA, quindi il suo accento è giustificato). Oltre a non avere il giusto accento, i Messicani hanno accusato il film di avere dei dialoghi inverosimili: lo spagnolo parlato sembra tradotto da Google translate e non rispecchia lo slang del posto.
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E, a proposito del luogo: Audiard non è mai andato in Messico. Ha girato tutto in studio, in Francia. Chiamato a rispondere di queste accuse il regista non si è mosso benissimo: ha infatti detto di non aver trovato attrici messicane di suo gradimento e che non aveva bisogno di girare in loco, perché il suo è un Messico ricostruito secondo il proprio immaginario. Che, rischiando di farsi insultare, ci sentiamo di dire che sarebbe anche una cosa legittima: ogni regista ha il diritto di raccontare la sua storia come meglio preferisce, a maggior ragione considerando il fatto che quella di Manitas/Emilia non è una storia vera.
Per quanto riguarda poi le accuse di appropriazione culturale e stereotipi, forse noi in Italia le capiamo meno perché siamo abituati da tempo a vedere attori che non parlano la nostra lingua maltrattarla. Sull'idea poi che l'uso del musical per dei fatti tragici non sia appropriato, ci sentiamo di dissentire: trattare questo genere come "poco serio", o "inferiore" vuol dire non conoscerlo e non conoscere la storia del cinema. Di film musicali che raccontano fatti molto seri ce ne sono moltissimi: pensiamo a Tutti insieme appassionatamente e Cabaret, che parlano della Germania nazista, oppure a Rent, che racconta il dramma dell'AIDS.
La vittoria ai Golden Globe e l'inizio della fine
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Nonostante il rapido passaparola sul web, che ha portato all'ormai triste fenomeno del "review bombing" (su Rotten Tomatoes il voto del pubblico per Emilia Pérez è del 16%, con più di 10mila recensioni), ai Golden Globe 2025 il film ha vinto quattro premi importanti: miglior attrice non protagonista, miglior canzone "El mal", miglior film straniero e miglior commedia o musical. Ed è qui che sono cominciati i veri problemi: preoccupati di veder trionfare agli Oscar un film che, secondo loro, ha offeso tutto il Messico, gli spettatori hanno cominciato a contrapporgli Io sono ancora qui con protagonista Fernanda Torres. L'attrice e il film, entrambi brasiliani, sono diventati la faccia giusta dell'America Latina da supportare nell'award season.
La parodia di Emilia Pérez: Johanne Sacreblu
La cosa migliore uscita da tutta questa tempesta è sicuramente la parodia del film di Audiard: Johanne Sacreblu.
Un cortometraggio di 28 minuti ideato, diretto e interpretato da Camila Aurora González, artista trans, che l'ha scritto insieme a Héctor Guillén, che prende in giro Emilia Pérez usando un francese dalla pronuncia discutibile, attori con baffi finti, tante magliette a righe e berretti baschi. Sì: si tratta di un musical in francese, pieno di stereotipi sulla Francia. Pubblicato su YouTube il 25 gennaio 2025, al momento ha più di 3 milioni di visualizzazioni.
La contrapposizione con Io sono ancora qui e Fernanda Torres
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Proprio la contrapposizione con Fernanda Torres e Io sono ancora qui ha segnato il destino di Karla Sofía Gascón. L'attrice spagnola ha infatti detto che la campagna contro di lei era opera dei sostenitori di Torres (anche lei danneggiata dall'aver recuperato un video del 2008 in cui recita con la blackface in uno sketch comico per la tv brasiliana). Dopo queste accuse, questi si sono effettivamente adoperati per trovare qualcosa su di lei. E l'hanno trovata: come riportato dalla giornalista Sarah Hagi, presentatrice del podcast Scamfluencers, l'attrice in passato, sul suo account Twitter, oggi X, ha postato diverse idee e riflessioni controverse.
I tweet di Karla Sofía Gascón
L'attrice ha criticato praticamente tutti: da Ebrei a Musulmani, Coreani e persone di colore (ha definito gli Oscar del 2021 come "Afro-Korean festival"), fino a commentare l'uccisione di George Floyd. Inutile provare a spiegare che molte di quelle opinioni sono state lette forzatamente e fuori contesto (in un post denuncia come sia ingiusto che le donne musulmane siano costrette a sparire sotto il velo, senza nemmeno mostrare gli occhi, mentre in quello su George Floyd ne giustifica l'uccisione e non critica lui, ma chi, fino a un momento prima che lo eleggesse a simbolo, non lo avrebbe mai considerato come un essere umano perché un criminale), o che anche le opinioni più odiose (il tweet in cui dice che Hitler aveva le sue opinioni sugli ebrei è indifendibile) devono poter essere espresse, perché altrimenti saremmo in dittatura e si farebbe censura. Anche se non ha commesso reati, Karla Sofía Gascón è stata processata, condannata e cancellata dal tribunale del web.
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Un cortocircuito incredibile: prima eletta a eroina da chi vedeva nella sua nomination, e forse vittoria agli Oscar, una protesta contro Trump e tutti coloro che vogliono negare anche l'esistenza delle persone trans, e poi buttata giù dallo stesso sistema che valorizza il politicamente corretto sopra ogni cosa (una persona come Gascón ha sicuramente un vissuto particolare, che magari la porta a essere più tranchant e meno diplomatica, ma in ogni caso non ha aggredito nessuno, non ha molestato nessuno, ha solo espresso delle opinioni impopolari).
La corsa ai ripari di Netlfix
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Travolta dalle polemiche e in piena campagna Oscar, Gascón si è scusata per i suoi tweet. Poi però, senza evidentemente il consenso di Netflix, ha dato delle interviste e scritto dei post in cui ha detto di essere vittima di una campagna di disinformazione, peggiorando la propria situazione. A quel punto il colosso dello streaming e i suoi stessi colleghi l'hanno scaricata: Audiard ha detto pubblicamente "non capisco perché continui a danneggiarci", Netflix le ha impedito di volare a Los Angeles per l'ultima settimana di campagna prima della votazione finale (terminata l'11 febbraio), arrivando persino a cancellare il suo nome e la sua immagine dai poster "for your consideration". Lei stessa, avendo capito di essere ormai diventata il capro espiatorio di una delle campagne Oscar più turbolente degli ultimi anni (anche The Brutalist è stato danneggiato dalle polemiche per l'uso dell'AI per migliorare la pronuncia ungherese di Adrien Brody e Felicity Jones), si è fatta da parte.
Karla Sofía Gascón sarà alla cerimonia degli Oscar 2025
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Terminata la campagna e assicuratisi il SAG per Saldana, molto probabilmente l'unica che riuscirà a portare a casa la statuetta, Netflix è tornata sui suoi passi: ha accettato di pagare le spese per far partecipare Karla Sofía Gascón alla cerimonia degli Oscar. L'attrice e il resto del cast si sono rivisti in questi giorni ai César, dove Emilia Pérez ha vinto sette premi, ma, pur mostrandosi insieme per le foto di rito, non si sono rivolti la parola. Sarà interessante capire ora cosa succederà a Los Angeles: se Gascón si limiterà a presenziare per non aggiungere altri danni alla sua carriera, oppure, visto il carattere fumantino, ne approfitterà per puntare il dito contro un sistema che prima l'ha fatta salire sul tetto del mondo e poi l'ha buttata giù con una violenza brutale.
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Certo è che, come insegna anche il caso Blake Lively vs Justin Baldoni (di cui sentiremo parlare ancora a lungo), ormai Hollywood, dopo anni di riflessioni su se stessa grazie al movimento #MeToo, è tornata a essere un sistema che si basa sulle polemiche e sugli scandali portati avanti da una vera e propria macchina del fango (di cui proprio Harvey Weinstein era un maestro). Segno che, nonostante le buone intenzioni iniziali, tutto questo desiderio, più che legittimo, di giustizia e inclusione si è ritorto contro come un boomerang.
Aspettando di vedere come si evolverà l'industria cinematografica nei prossimi anni (la congiuntura politica ed economica non sembra delle più rosee: molte delle più grandi aziende del mondo stanno facendo diversi passi indietro per quanto riguarda le politiche di equità e diversità), è inevitabile tornare a farsi la domanda più vecchia del mondo: qual è il compito di un artista? Raccontare una storia dal proprio punto di vista, che può essere spiazzante, controverso, sorprendente, o veicolare un messaggio che incontri il consenso della sua epoca? E in un periodo storico in cui, per inseguire sempre di più i gusti del pubblico, si fa affidamento agli algoritmi, realizzando opere sempre più uguali tra loro, viva un film come Emilia Pérez che, nel bene e nel male, crea una visione unica, personale, mai vista prima.