Non c'è niente da fare. Quando una cosa ci viene raccontata, per quanto sia riportata con dettagli minuziosi, sembra sempre distante. Se invece la vediamo non possiamo più rimanere indifferenti: diventa un fatto. Non solo: grazie alla capacità dei nostri neuroni specchio di farci provare empatia, un'immagine smuove qualcosa dentro di noi. A meno di non essere dei sociopatici. È per questo che spesso, per raccontare un'epoca, una generazione o un determinato momento storico, si sceglie proprio un'immagine simbolo. Recentemente è successo nel 2015, con la foto del bimbo Aylan, migrante morto annegato sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia. E poi nel 2020, con il video straziante dell'uccisione di George Floyd per mano del poliziotto Derek Chauvin (condannato a 21 anni di prigione): 9 minuti terrificanti, diventati il simbolo del razzismo che serpeggia nelle forze dell'ordine statunitensi. Proprio da una foto parte l'ultimo film di Antoine Fuqua. E non può che partire da qui anche la recensione di Emancipation.
Dal 9 dicembre in streaming su AppleTV+, Emancipation racconta la storia di "Peter il fustigato" ("whipped Peter" in originale), schiavo in una piantagione della Louisiana, che nel 1863 riuscì a scappare e raggiungere le truppe dell'Unione di Lincoln a Baton Rouge, per poi arruolarsi e combattere nella guerra di secessione americana. Qui Peter (che forse in realtà si chiamava Gordon) fu immortalato da William D. McPherson e il suo socio, Oliver, fotografi che si trovavano nel campo. La sua schiena piena di cheloidi, frutto di un numero impressionante di frustate, ha mostrato la vera faccia dello schiavismo. Pubblicata nella rivista Harper's Weekly, la foto ha presto fatto il giro del mondo, facendo prendere coscienza della brutalità degli schiavisti anche alla vecchia Europa.
Per raccontare l'impresa di Peter, che in dieci giorni ha percorso a piedi, ferito e senza cibo, 60 chilometri in mezzo alle paludi della Louisiana (un ambiente non propriamente accogliente), braccato dai suoi aguzzini che invece erano a cavallo e con tanto di cani al seguito, Antoine Fuqua ha scelto Will Smith. E, anche grazie alla fotografia, opera di Robert Richardson (che ha lavorato diverse volte con Martin Scorsese e collabora stabilmente con Quentin Tarantino da Kill Bill vol. 1), lo ha scarnificato: come le immagini sono desaturate, così la star è completamente trasformata, tanto da non sembrare quasi più lui.
Emancipation: Will Smith da Oscar
Per Will Smith questo è il primo film uscito dopo l'incidente agli Oscar 2022. Dopo lo schiaffo a Chris Rock, proprio pochi minuti prima di essere premiato come miglior attore protagonista per la sua interpretazione in King Richard, l'attore è sparito in attesa che le acque si calmassero. In questi mesi ha chiesto scusa, poi è andato in giro per il mondo a registrare un documentario che lo vedrà viaggiare da Polo a Polo alla ricerca del senso della vita. Nel frattempo l'uscita di Emancipation è stata rimandata. È evidente che Fuqua e lo stesso Smith (anche produttore) abbiano pensato da subito a questa pellicola come un titolo da portare a premi. I tempi sembrano finalmente maturi: il divo e il suo entourage hanno studiato al millimetro la sua "campagna di ritorno". Smith si sta mostrando umile e pentito nelle interviste, dice di aver imparato dai propri errori e soprattutto si augura che il suo gesto non comprometterà il lavoro fatto da tante persone.
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In effetti il film di Antoine Fuqua rischia un ritorno di immagine negativa. Magari però, visto che gli Stati Uniti adorano le storie di riscatto, Smith la nomination all'Oscar la riceverà comunque, anche se è stato espulso dall'Academy per 10 anni. Per il regista non deve essere stato facile: è lampante che abbia concepito Emancipation come il suo "grande film". La scelta della fotografia non è casuale: l'immagine desaturata al punto da rendere tutto grigio, con soltanto qualche lampo di verde e rosso, ricorda quella di Schindler's List di Steven Spielberg. Anche la durezza delle scene nel campo di lavoro è una dichiarazione d'intenti. L'accostamento con i film sull'Olocausto non è azzardato: Fuqua vuole far vivere allo spettatore l'incubo di quei luoghi, la violenza insensata, l'odore terribile, la paura, il dolore. Come ha fatto ad esempio László Nemes in Il figlio di Saul. È difficile guardare quelle scene: Peter e i suoi sfortunati compagni di lavoro sono trattati come animali. Anche peggio: il loro aguzzino, Fassel (Ben Foster: il suo sguardo spiritato e senza traccia di umanità è pronto a popolare i vostri incubi), tratta con più rispetto i suoi cani.
"Un film sulla libertà, non sulla vendetta"
Dopo questo inizio difficilissimo, Emancipation diventa un survivor movie: Fuqua non rinuncia alla propria passione per l'azione più pura, mettendo alla prova in ogni modo il suo protagonista. Smith quasi non parla (quando lo fa sfoggia un accento creolo) e diventa puro istinto: nei panni logori di Peter si tuffa nel fango, combatte a mani nude contro alligatori, cerca cibo e modi per sopravvivere. Una prova molto fisica per l'attore, forse la sua più estrema. Fuqua mantiene alta la tensione, ma, complice anche la scrittura non raffinatissima di William N. Collage, è sempre a un passo dal sottolineare eccessivamente ogni dettaglio della storia. Laddove invece tutto parte da un'immagine che non ha bisogno di troppe spiegazioni.
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Oltre alla parte più fisica, il regista si concentra sul binomio fede e conoscenza: a mantenere vivo lo spirito di sopravvivenza di Peter sono state, almeno secondo quanto vediamo nel film, la sua fiducia incrollabile nel disegno di Dio e la sua intelligenza, che gli ha dato la capacità di adattarsi a ogni situazione estrema. Come hanno detto sia Fuqua che Smith, non volevano fare un film sulla vendetta, ma un film sulla libertà. In Emancipation si cerca di raccontare dunque non solo la storia degli Stati Uniti, scritta col sangue degli schiavi, ma anche quella dell'umanità: da una parte la fede e l'ingegno, in grado di far compiere grandi imprese, dall'altra la violenza, che porta morte e distruzione. Una scrittura più fine avrebbe reso Emancipation un grande film.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Emancipation, il film di Antoine Fuqua, su AppleTV+ dal 9 dicembre, racconta la vera storia di "Peter il fustigato", schiavo della Louisiana scappato da un campo di lavoro durante la guerra di secessione americana e poi arruolatosi nell'esercito dell'Unione. La foto di Peter, scattata nel 1863 nel campo militare a Baton Rouge, ha mostrato al mondo la vera faccia della schiavitù. Nel ruolo del protagonista un Will Smith alla sua prova fisica più estrema. La tensione è alta, la violenza non è edulcorata. Purtroppo la scrittura tende a sottolineare troppo ogni cosa, non permettendo al film di spiccare davvero il volo.
Perché ci piace
- La prova di Will Smith: la più estrema della sua carriera.
- La fotografia di Robert Richardson.
- L'interpretazione di Ben Foster.
- La capacità di Antoine Fuqua di mantenere alta la tensione.
Cosa non va
- La scrittura per niente raffinata di William N. Collage.
- Le scene di violenza sono dure: chi si impressiona particolarmente a guardarle potrebbe fare fatica.