È un tempismo impressionante quello con cui When We Rise si prepara ad approdare sugli schermi americani, nel febbraio 2017, in coincidenza con l'inizio della Presidenza del repubblicano Donald Trump. Una coincidenza presa di petto dal creatore e co-regista della miniserie televisiva della ABC, Dustin Lance Black, ospite questo sabato al RomaFictionFest, il quale non ha dribblato le domande riguardanti l'attualità e la politica, ma al contrario ha ribadito la necessità di continuare a raccontare storie del genere.
Lo sceneggiatore quarantaduenne, del resto, ha sempre dimostrato un profondo interesse per il tema dei diritti civili. Nato in California ma cresciuto in Texas, con tutte le difficoltà di un adolescente omosessuale appartenente a una famiglia conservatrice e di fede mormone, Black si è fatto apprezzare prima come autore televisivo, firmando alcuni episodi della serie Big Love, e nel 2008 grazie al copione di Milk, il film di Gus Van Sant sull'attivista Harvey Milk, che gli è valso l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Dopo aver realizzato lo script del J. Edgar di Clint Eastwood nel 2011, ora Dustin Lance Black torna a raccontare il movimento per i diritti della comunità LGBT, a partire dalla celeberrima rivolta di Stonewall nel 1969, con When We Rise, miniserie in sette puntate con un cast corale che include Guy Pearce, Mary-Louise Parker e Rachel Griffiths, mentre fra i registi ritorna Gus Van Sant, che ha diretto le prime due puntate.
Dustin Lance Black: i diritti dei gay da Milk a When We Rise
Dustin, nel tuo discorso di ringraziamento per l'Oscar incoraggiavi i giovani LGBT a non sentirsi discriminati: da allora, hai visto dei miglioramenti nella società?
Penso che la maggiore difficoltà per le persone LGBT, e per tutte le persone che si sentono isolate perché ritenute diverse, sia proprio la solitudine, perché è la solitudine a spingere ad azioni terribili come il suicidio. Quello che io posso provare a ottenere con il mio lavoro è far sentire queste persone meno sole, perché nel mondo ci sono persone come loro e che combattono per loro, cercando di far sì che le loro vite siano migliori. Rispetto all'uscita di Milk ci sono stati dei miglioramenti ma anche passi indietro, e ora ci troviamo in un momento storico in cui si sente parlare addirittura di costruire muri. La miniserie racconta una generazione che lottò per conquistare i propri diritti, e purtroppo verrà trasmessa in un periodo in cui è tristemente necessaria.
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Quali sono le principali differenze fra When We Rise e un film come Milk, anch'esso incentrato sulla lotta per i diritti LGBT?
When We Rise è molto diverso da Milk perché non è un progetto su un singolo personaggio, ma la storia di una comunità di persone diverse che collaborano per raggiungere l'uguaglianza. È stato un processo durato quattro anni: innanzitutto ho dovuto trovare e raccogliere le storie vere di singoli individui, che provenissero da vari movimenti per i diritti civili. Inoltre volevo costruire queste storie su persone che hanno lottato e sono sopravvissute a questa lotta, perché volevo far capire al pubblico che ce la possiamo fare: troppo spesso infatti nei biopic, come ho fatto anch'io con Milk, gli individui coraggiosi finiscono per morire, mentre stavolta volevo un finale diverso.
Hai pensato subito di tornare a collaborare con Gus Van Sant?
Non avevo subito in mente Gus quando ho iniziato a scrivere la miniserie, ma dopo è stato il primo regista a cui mi sono rivolto. Ma voglio specificare che questo non è solo un mio progetto, è un lavoro corale, come indica il "noi" nel titolo, e la diversità è rappresentata anche dalle persone che vi hanno contribuito: Gus ha diretto due episodi, ma fra i registi, gli sceneggiatori e gli attori della miniserie ci sono uomini e donne, gay ed etero, bianchi e neri. Inoltre ho voluto dei veri transessuali per interpretare personaggi transgender.
Pensi che nell'ultimo decennio siano cambiate le modalità di rappresentazione dei personaggi LGBT al cinema e in televisione?
Nello scorso decennio sì, questa rappresentazione è cambiata moltissimo perché si è scoperto che anche le storie a tema LGBT possono riscuotere successo; ma è in televisione che abbiamo visto i cambiamenti più rapidi, e la televisione raggiunge un pubblico più ampio. La TV ha modificato lo scenario stereotipato del gay maschio e bianco e ha trovato spazio anche per altre storie, per esempio con protagonisti transessuali, e questo è molto emozionante per me. When We Rise va in tale direzione: ci racconta che il movimento gay non è fatto solo di uomini bianchi, e sono contento che sia possibile assistere alla varietà dei rappresentanti di questo movimento.
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La lotta per i diritti nell'America di Trump
Hai delle preoccupazioni sulla futura presidenza di Donald Trump e quale impatto ti aspetti dalla miniserie When We Rise?
Donald Trump è un bigotto: non è solo contro le persone LGBT, ma contro tantissime minoranze e contro i diritti delle donne, però non è il primo politico del genere. Dunque dobbiamo imparare dalla storia come contrastare tutto questo e come difendere i nostri diritti. E se non puoi cambiare le menti delle persone parlando di politica e di legge, allora devi provare a cambiare i loro cuori e lo fai raccontando storie, perché questo è l'unico mezzo a disposizione. Dobbiamo far appello alle nostre storie per combattere un'amministrazione carica di odio, come si intuisce già a partire dalle scelte compiute da Trump per il proprio governo. Tutte le persone, non solo quelle LGBT, devono usare le loro storie personali come fossero delle spade: in fondo ogni singolo essere umano fa parte di una minoranza, in un modo o nell'altro, e quindi è una responsabilità di tutti noi.
Quali ritieni che dovrebbero essere oggi le priorità della politica americana?
La priorità assoluta sarebbe la parità di stipendio e il diritto al lavoro per tutti, a prescindere dall'orientamento sessuale e dal colore della pelle, perché tutti devono avere la possibilità di lavorare, mentre in alcuni Stati degli USA oggi si può essere descriminati e licenziati anche solo per essere gay o lesbiche. E la parità di salario fra uomini e donne è un'altra priorità, dovrebbe essere il primo provvedimento di una giusta amministrazione.
Quali parole vorresti rivolgere a quei ragazzi che stanno prendendo coscienza della propria omosessualità?
Ai ragazzi che realizzano di essere persone LGBT, vorrei dire innanzitutto che non siete soli, che ci sono state e ci sono persone che hanno combattuto e combattono per il vostro diritto all'uguaglianza e alla sicurezza. Nel pilot di When We Rise viene pronunciato un discorso su come l'isolamento sia la cosa più pericolosa per le persone LGBT, e sulla necessità di fare coming out: ogni giorno in cui si rimane non dichiarati, questo ferisce un po' la nostra anima. Il coming out può sembrare un passo difficile, ma è il primo passo per sentirsi meglio.
Perché secondo te esistono ancora dei tabù legati al coming out per i personaggi pubblici?
A Hollywood, la paura del coming out deriva dagli agenti e dai manager, non dagli studio né tantomeno dagli attori. Dato che gli agenti investono tantissimi soldi ed energie in giovani aspiranti attori, a causa di idee obsolete non vogliono che qualcosa possa danneggiarne il potenziale commerciale e impediscono loro di fare coming out. Ma oggi si sta scoprendo che questa è una paura infondata, e ci sono sempre più attori dichiaratamente gay. Si tratta però di una scelta che richiede forza e coraggio: non sei obbligato a farlo, ma se sei un personaggio pubblico e ti dichiari omosessuale, questo potrà ispirare tantissime persone delle generazioni più giovani.
Sei più fiducioso o pessimista sui progressi dei diritti civili nella società di oggi?
Purtroppo il percorso della storia è come un pendolo che oscilla avanti e indietro, e quando l'oscillazione torna indietro, come sta accadendo oggi, bisogna stare allerta e combattere. Non si tratta solo di diritti LGBT, ma anche di uguaglianza etnica e di parità dei sessi: dobbiamo far sì che tutti siano trattati con umanità.
Come mai hai scelto proprio la città di Roma per la première mondiale di When We Rise?
Non è una coincidenza che l'anteprima mondiale avvenga qui. Nella serie c'è un personaggio chiamato Roma Guy, un personaggio realmente esistente e con questo nome, proveniente da una grande, affettuosa famiglia di origine italiana, come mostrato anche nella serie. Qui a Roma io ho sempre avvertito il calore della famiglia, in Italia il valore della famiglia è sempre stato fortissimo, e trovo bellissimo che l'anteprima di When We Rise si svolga qui: sono venuto a far conoscere le mie famiglie alle famiglie italiane. Ed è vero che l'Italia ha ancora molta strada da fare in termini di diritti LGBT, ma ci possiamo arrivare soltanto bevendoci un bicchiere di vino insieme.