Recensione Alien Vs. Predator (2004)

Si procede per sovraesposizione effettistica, battute lapidarie, situazioni grottesche e modulazioni del climax sfruttando le potenzialità autogenerative del cinema in termini di presa sull'immaginario, parallelamente alla forza del marketing.

Due mostri videoludici a confronto

Scoperta un'antica piramide dallo stile azteco, egiziano e cambogiano, seppellita niente meno che in Antartide, un team di scienziati ed avventurieri messo insieme dal miliardario Charles Bishop Weyland e guidato dall'esploratrice Alexa Woods si reca in missione sotto il ghiaccio. Ad attenderli ci saranno due specie aliene in lotta tra loro ed il risultato sarà ovviamente una battaglia all'ultimo sangue.

Alien Vs. Predator nasce da un progetto che la Fox ha in carniere da più di dieci anni, parallelamente a quando il regista Paul W.S. Anderson cullava tale idea e comunque è presente in forma di suggestione finale già in Predator 2. Accantonato per vari anni il progetto cinematografico, questa particolare commistione ha preso corpo in altri due medium molto vicini al cinema (specie a quello contemporaneo): il fumetto e il videogioco. Sono stati infatti la Dark Horse nelle sue tavole e la Rebellion nel lontano 1998 con un gioco per PC a darci per primi in pasto questo apocalittico scontro. Ed è in virtù di questa genesi, che il film prende le strade della commistione tra cinema e videogioco ed è stato affidato al regista di Resident Evil.

Prendete una squadra di ricercatori e di tecnici avventurosi, qualche avventato spaccone, una donna-eroina carismatica ed affascinante, una commissione con la volontà di lasciare la propria firma nella storia e l'incontro con due simpatiche forme innaturali in combutta tra loro. Mescolate il tutto in una cornice fracassona, ironica e citazionista e la portata è pronta, ma non per questo facilmente digeribile.

Se può essere fuorviante analizzare un prodotto così sbilanciato sull'aspetto videoludico, rispetto a quello cinematografico, con gli usuali strumenti della critica , allo stesso tempo non è sufficiente, come forse si farà, parlare di serialità, intrattenimento senza pretese, gusto del gioco con le icone del genere per sdoganare acriticamente un film così privo di anima da trasformare l'ostentata ricerca del divertimento spesso in noia. Questo perchè, per assumere i connotati cinematografici (nell'eventualità ci sia questo progetto, auspicabile dal sottoscritto) l'ormai affermato, ma non codificato cinema technoludico (moderna frontiera evolutiva del cinema di fantascienza nella definizione coniata da Matteo Bittanti) deve probabilmente farne proprie alcune essenziali caratteristiche, che in molti titoli vengono trascurate.

Per quando sia un medium strutturalmente portato al continuo mutamento e all'ibridazione, il cinema, specie quello fantastico, vive di sapienti e precise strategie narrative e fa dell'attesa e del mistero la freccia più appuntita del suo arco. Una freccia che titoli come Alien Vs. Predator sembrano non voler scagliare, forse perché troppo interessati ad attrarre un pubblico giovane (che nell'idea delle produzioni non vuole un film vero e proprio) e che arriva nella grande sala considerandola un intrattenimento di secondo livello rispetto al videogioco.

Si procede quindi per sovraesposizione effettistica, battute lapidarie, situazioni grottesche e modulazioni del climax sfruttando le potenzialità autogenerative del cinema in termini di presa sull'immaginario, parallelamente alla forza del marketing. Ad ogni modo, chi vi scrive, senza prescrizioni morali, premette di amare più il cinema del videogioco; ed è proprio questa mancanza di lavoro sulla tensione, insieme ad una fredda digitalizzazione di mostri che abbiamo amato in altri modi, più che una certa banale pretestuosità e una trascurata scrittura dei dialoghi, a lasciare delusi nel film di Paul W.S. Anderson. Al botteghino l'estrema, scontata sentenza.