Dopo l'anteprima alla 70° edizione del Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, il film Dopo la guerra diretto da Annarita Zambrano è stato presentato a Bologna, città dove è in parte ambientata la storia.
Giuseppe Battiston è un ex-militante di sinistra che si rifugia in Francia per evitare le conseguenze legali previste in Italia per le sue azioni. Secondo la Dottrina Mitterand infatti, gli ex terroristi possono trovare asilo oltralpe ed egli decide di scappare con la figlia adolescente, cercando di ricostruirsi una nuova vita lontano dal caos del passato. Intanto in Italia la sua famiglia prova a dimenticarlo, anche se le ferite sono aperte e gli eventi riportano a galla vecchi rancori e un dolore ancora vivo e devastante.
Il Biografilm Festival 2017 ha ospitato la regista Annarita Zambrano e i due interpreti Barbora Bobulova e Giuseppe Battiston, che ci hanno raccontato la loro visione di un film ambizioso e personale, all'ombra della tragedia di Marco Biagi del 2002. Per riflettere su un passato che può servire a non ripetere gli stessi errori ed analizzare il nostro Paese da diversi punti di vista.
Dopo la guerra potrebbe essere considerato un film sulle vittime collaterali del terrorismo?
Annarita Zambrano: Questa era l'idea, essendo stata io stessa una vittima collaterale, poiché all'epoca ero piccola ma ne ho risentito comunque in un certo modo. Questo è un film sulle debolezze umane e sulla capacità degli uomini di cambiare idea una volta che hanno deciso qualcosa. Un film sull'idea di come nasce la violenza, come si perpetra e quanto ci vuole per assopirla o meno.
Leggi anche: Dopo la guerra: l'Italia, il terrorismo e quel senso di colpa
Il passato non si dimentica
Si avverte il distacco delle nuove generazioni riguardo al passato?
Annarita Zambrano: Ho cercato di fare un film più umano possibile. C'è un'amarezza per le persone che hanno vissuto quel periodo storico, ma anche una sofferenza per coloro che hanno fatto scelte sbagliate e i loro cari. Io ho cercato di fare un cammino indagando su come si arriva a questa amarezza che resta dopo. Come è possibile che l'Italia abbia smesso di interessarsi a tutto, diventando un paese ignorante dove non essere ignorante implica uno sforzo gigantesco? La famiglia italiana di vittime che presento nel film, perchè aspetta per parlare? Nel vittimismo non bisogna riposarcisi sopra.
Gli attori hanno seguito facilmente Annarita Zambrano in questa avventura?
Giuseppe Battiston: In realtà questo film è stata un'occasione di parlare di un ex terrorista e sollevare una riflessione sul terrorismo in sè. Parla del tentativo di fuga di un ex terrorista e la sua decisione di non sottoporsi alla giustizia italiana. Non è avvenuto in lui un percorso di analisi di quello che accaduto. Il mio personaggio è una figura molto importante per cercare di capire la scelta di praticare il terrore a qualsiasi livello, cosa scatena questo nel tempo e nelle persone intorno. Era importante girare a Bologna perchè è il luogo di provenienza di quest'uomo a cui è rimasta una sorella che prova un dolore inesprimibile. Poi avviene questo assassinio di un docente universitario che, in qualche modo, ricorda l'omicidio di Marco Biagi. Questo fatto riporta a galla tutto il passato torbido e non analizzato, ma ancora famoso. Famoso non solo per chi ha praticato il terrore, ma anche per chi lo ha subito, la famiglia da una parte e le istituzioni dall'altra. A mio parere la forza di questo film è che non vuole dare risposte, ma sollevare altre domande in modo che questa fotografia di un terrore passato in qualche modo ci faccia pensare al terrore presente. L'Italia ha scelto di non analizzare quello che è successo, soprattutto in questa città dove ancora brucia quello che è accaduto.
Il ricordo di Marco Biagi
Anche se si avverte il riferimento alla morte di Marco Biagi, perchè non è stato ricostruito fedelmente questo evento? E perché hai deciso di girare a Bologna, per una semplice esigenza narrativa?
Annarita Zambrano: Tutti abbiamo bisogno di finzione soprattutto quando si parla di una storia così viva. Non volevo mettermi nella situazione di una ricostruzione indelicata, non volevo fare un film su Marco Biagi, quindi si tratta di una presa di posizione per non raccontare precisamente una storia. Bologna l'ho scelta perchè volevo una città che avesse vissuto questo dolore da vicino, una città piccola dove si sente più lo sguardo degli altri e il giudizio, qualcosa che Roma non offre. La scelta di girare molto in interni è stato poi un modo di rendere la chiusura di questa famiglia, che è rimasta ripiegata su se stessa.
La notizia della morte di Marco Biagi all'epoca che effetto ha avuto su di voi? Dove eravate in quel momento?
Annarita Zambrano: Io già vivevo in Francia da un po', ero a Parigi e il 2002 è stato un anno politicamente intenso con le elezioni Chirac-Le Pen, con il popolo sceso in piazza per votare contro Le Pen che era passato al secondo turno. Un po' come quello che è successo adesso, con la gente che ha votato Macron per scongiurare il peggio. La stessa cosa con dieci milioni di voti in meno, ma all'epoca questo fatto ha portato ad un cambiamento di rotta. La storia ci appartiene, quindi io ho parlato di questo argomento dal mio punto di vista, su quello che resta dopo quel periodo e quei fatti per una responsabilità di trasmettere quello che è successo e non fare un'appropriazione indebita di un soggetto.
Leggi anche: Cannes 2017: cinema italiano protagonista con Zambrano e De Paolis, la Kidman presenta Top of the Lake
La ribellione delle giovani generazioni
I ragazzi in questo film sembrano più maturi rispetto ai genitori. Cosa ne pensi?
Annarita Zambrano: Ci sono stati degli ideali che si sono trasformati in cenere e in violenza. La base del movimento del 1977 era una base doverosa. Il fatto che i giovani si ribellino ad un paese di vecchi che non li rappresenta e legifera al posto loro mi sembra una cosa giusta. Ma che siano poi presi in ostaggio da atti di violenza è un'altra cosa. Il dovere dei giovani è quello di ribellarsi. Ribellarsi al jobs act per esempio è giusto da parte loro.
Dopo aver visto questo film si rimane un po' con un senso di amarezza, con l'idea che forse cambiare le cose è troppo difficile. Che ne pensi?
Giuseppe Battiston: Un po' sì, ma aiuta anche la consapevolezza che non bisogna aspettare troppo prima di interrogarsi sulle cose. Il film fa anche passare l'idea che non si vive di passato ma il passato, in qualche modo, va chiuso e va capito e analizzato, per renderlo una lezione per il futuro. Forse siamo ancora in tempo, ma dobbiamo lavorarci.
Qual è in questo senso la responsabilità del cinema secondo te?
Giuseppe Battiston: Il cinema diventa un atto politico, ma la cosa importante è che non diventi mai un atto fazioso. L'importante è non sostituirsi alla collettività, ma che un film ci faccia lavorare con la testa per comprendere qualcosa. Il cinema ha un valore civile altissimo.
Il terrorismo all'interno della famiglia
Il tuo personaggio è duro in un certo momento del film quando rivela alla figlia la verità sul fratello e il passato?
Barbora Bobulova: Lei umanamente cerca solo di proteggere sua figlia come tutte le madri e, non parlando mai del passato e del fratello fa semplicemente questo. Però poi il passato viene a galla e, nonostante viva in una casa isolata fuori città e il marito sia un giudice, lei decide di rompere questo silenzio.
Tu quindi sei una delle vittime di questa guerra e di un fratello scomodo. Sei rimasta sorpresa di avere l'offerta di un ruolo così da una regista italiana che vive in Francia?
Barbora Bobulova: Sì sono rimasta molto stupita di questo fatto, perché mi è capitato qualche provino di film che trattavano questo argomento molto italiano. Capivo che però qualcosa delle mie origini disturbava i registi. Invece Annarita è una controcorrente che voleva un'attrice estranea ai fatti. Mi ha scelto proprio perchè ero senza pregiudizi e neutrale. Ed è stato molto bello far parte di questo film.
Annarita Zambrano: Lei doveva concentrarsi sull'indifferenza umana, e la parte italiana riguarda una specie di vittimismo e sofferenza umana, quindi volevo una persona estranea alla situazione, che non avesse un pregiudizio politico.