C'è stato un tempo in cui lavorare con Walt Disney non era facile. Uno dei primi che se ne accorse fu Ub Iwerks, l'animatore tra i più famosi ad aver affiancato Walter nei suoi primi anni di vita imprenditoriale. Ricordato come The Hand Behind the Mouse per aver dato vita a Topolino quando per Disney era solo un pensiero, negli anni Trenta decise di abbandonare sia Walt che suo fratello Roy per trovare qualcos'altro in quell'industria dell'animazione che stava per sbocciare, grazie alla concorrenza che i fratelli Fleischer e la Metro-Goldwyn-Mayer oltre alla Warner Bros. stavano allestendo per contrastare l'estro di Disney. Iwerks tornò con Walt nel 1940, ma il suo primo Oscar lo vinse per le innovazioni nel settore dell'animazione, fino a essere candidato nel 1964 con Alfred Hitchcock per Gli Uccelli.
Se quando Walt Disney era vivo era difficile lavorare con lui perché significava costruire un'abitazione sulla bocca di un vulcano sperando non eruttasse mai, tra un litigio con Roy e un'idea visionaria, non è stato altrettanto facile costruirsi una carriera nell'azienda di Burbank dopo la morte di Walt. Un'azienda inarrestabile, che nel tempo ha fagocitato di tutto e di più, diventando un colosso e trasformando quello che era solo il nome di un uomo nato a Chicago in un marchio dal valore inarrivabile: Ub Iwerks fu il primo a provare a scappare, per tenere in vita la sua creatività e la sua arte, ma dopo di lui ce ne sono stati diversi che hanno tentato e sono riusciti a evadere da quei binari, da quei paletti, per inseguire un sogno più grande. Quello nel quale, molto probabilmente, lo stesso Walter Elias Disney credeva, finché fu in vita.
La nostalgia di Walt e il richiamo di Anastasia: Don Bluth
Il primo a mettere in atto una vera fuga dalla Walt Disney, tra l'altro dando vita a un ammutinamento in pieno stile, fu Don Bluth. Tra i più famosi e importanti animatori e produttori cinematografici, Bluth aveva lavorato per 37 anni in Disney, per alcuni anni anche al fianco proprio di Walter Elias, soprattutto nel 1955, quando lavorò come assistente di John Lounsbery a La bella addormentata nel bosco. Tra alti e bassi, l'animatore ebbe un periodo distaccato dalla Disney, salvo poi ritornarvi quando oramai Walt era morto, per lavorare su Robin Hood ed Elliot il Drago Invisibile, del quale fu direttore dell'animazione.
La differenza sostanziale tra i due periodi, quello sotto la guida di Disney e quello successivo, con Wolfgang Reitherman a tirare le fila, fu il principale motivo che spinse nel 1979 Don Bluth, insieme a Gary Goldman e altri 16 animatori, a lasciare gli studios di Burbank. Nessuno spazio alla creatività, nessun tentativo di rischiare, nessuna volontà di esplorare ciò che la fantasia poteva portare ad avere: i tempi in cui, negli anni '40, Disney sconvolse il cinema con Fantasia erano finiti.
Bluth pochi anni dopo diede vita a Dragon's Lair, un videogioco che ancora oggi è ritenuto un successo internazionale, fino a quando Steven Spielberg non decise di finanziare il suo Fievel sbarca in America. Negli anni '80 Bluth ritrova quella vena artistica che tanto desiderava poter esprimere nel suo periodo americano e dai suoi studi di Dublino produce, in fila, Alla ricerca della valle incantata (1988) e Charlie - Anche i cani vanno in paradiso (1989), due pietre miliari dell'animazione degli anni Ottanta.
È solo il preludio alla sua grande rivincita, perché nel 1997 Bluth realizza Anastasia per conto della Fox Animation Studios, incassando 186 milioni di dollari in tutto il mondo e fornendo una valida alternativa ad Hercules, che in Disney incassò 252 milioni di dollari: una cifra più alta di Bluth, ma una delusione immensa per il Rinascimento avviato da Jeffrey Katzenberg. La volontà di raccontare storie diverse, partendo da una base angosciante, da una condizione di vita ai margini, diffondendo una vena di malinconia furono i pilastri sui quali basò la sua animazione Bluth, che nell'estinzione dei dinosauri, nella morte di un cane e nella caduta dello Zar trovò le chiavi di volta per le sue storie, senza vincoli espressivi, senza paletti emotivi e col desiderio di ritrovare quella verve che aveva visto a Burbank quando Walt era in vita.
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Dal Rinascimento alla Dreamworks: Jeffrey Katzenberg
Katzenberg non subì minimamente quel successo di Anastasia, perché nonostante il Rinascimento sia stata una sua creatura dal punto di vista concettuale, lasciò Disney poco dopo Il Re Leone, lasciandola in balìa di quella non troppo lunga coda produttiva che porterà alla fine degli anni '90 a due insuccessi creativi e di incassi come Fantasia 2000 e Dinosauri.
Divenuto presidente degli Studios nel 1984, in uno dei periodi più bui dell'azienda fondata da Walt e da Roy Disney, a Katzenberg, ancor prima dell'intuizione firmata Alan Menken, si deve il successo di Chi ha incastrato Roger Rabbit? (1988) e Oliver & Company (1988), fino, appunto, a quando non decise di portare il successo di Broadway a Los Angeles, convincendo Alan Menken e Howard Ashman a dare il là con La Sirenetta, La Bella e la Bestia - il primo lungometraggio animato a essere nominato agli Oscar come miglior film - Aladdin e Il Re Leone.
In dei topoi ripetuti di film in film, Katzenberg riuscì a trovare lo spunto per risollevare le sorti dell'azienda e riportarla in auge: un protagonista orfano o comunque con un solo genitore, pronto a vivere un amore impossibile, affiancato da un famiglio, un animale da compagnia. Ariel, figlia di madre ignota, affiancata da Flounder e Sebastian, vittima di un amore irraggiungibile; Aladdin, uno straccione che desidera sposare una principessa, orfano fedele ad Abu; la Bestia, circondato da servitù, costretto a inseguire l'amore mai ricambiato e abbandonato da una famiglia ignota. Quello schema tanto semplice quanto efficace funzionò, ma Katzenberg non si sentì adeguatamente ricompensato.
Nel 1994, quindi, con Steven Spielberg e David Geffen fondò la DreamWorks, creando Il principe d'Egitto (1998), La Strada per El Dorado (2000) e Giuseppe: il Re dei Sogni (2000), al quale seguirà Shrek (2001), figlio della convinzione che l'animazione tradizionale fosse oramai ben superata. Katzenberg rimase in DreamWorks fino al 2017, mettendo la firma su film come Madagascar, Kung Fu Panda, Megamind e ovviamente Dragon Trainer. Tutti capolavori dell'animazione recente che hanno permesso a quell'estroso ed estremamente intuitivo produttore cinematografico di scrollarsi di dosso quella che per lui era diventata una casa angusta e spiccare il volo verso altre storie, altri obiettivi, altre vicende.
Dall'home video di Parigi all'origin story di Babbo Natale: Sergio Pablos
Di un calibro leggermente inferiore, ma solo perché più giovane, è Sergio Pablos.
L'animatore spagnolo arrivò a lavorare in Disney negli studi di Parigi, che negli anni Novanta hanno rappresentato un unicum nella produzione home video dell'azienda di Burbank. Da quegli studi, che inizialmente dovevano solo occuparsi di alcune animazioni dei Classici, arrivarono In Viaggio con Pippo e Zio Paperone alla Ricerca della Lampada Perduta, di cui il primo a oggi rappresenta un indubbio capolavoro della produzione home video e il secondo un ottimo sequel per la saga di DuckTales.
A Parigi Pablos si occupa proprio di Pippo, per poi passare a lavorare su Frollo, Ade e Tantor, l'elefante amico di Tarzan, fino al Doctor Doppler, per il quale ottiene la nomination per un Annie Award. Qualcosa inizia a rompersi, però, e l'animatore spagnolo decide di lasciare gli studi della Disney per passare alla Columbia prima e alla Universal dopo, dove scriverà la storia di Cattivissimo me, dando vita a un franchise che tra pochi giorni tornerà al cinema con i Minions. Una verve diversa, una comicità pura e basata su uno slapstick che non apparteneva più alla Disney, bisognosa di un altro tipo di storia.
Recuperando parte del lavoro svolto con Pippo, Pablos si lascia andare a narrazioni su altre longitudini e non necessariamente alla ricerca di una morale pedante. Bramoso di raggiungere, però, la totale e assoluta indipendenza nella creazione di una storia, Pablos arriva a fondare i suoi studios per creare Klaus - I segreti del Natale, l'emozionante origin story di Babbo Natale e di un postino di stanza al Polo Nord di nome, per l'appunto, Klaus. Una vicenda emozionante, una vera favola natalizia in grado di coinvolgere lo spettatore in un viaggio che soltanto verso la fine rivela la sua propria natura, mantenendoci sospesi fino alla fine nel domandarci cosa quel film volesse narrarci, fino a quel finale malinconico e compiacente, in grado di farci vedere Babbo Natale sotto un occhio diverso.
Klaus, recensione: Il Natale anticipato di Netflix
Dar vita ad Ariel e sognare la Cina con Netflix: Glen Keane
Sicuramente più noto ai fan Disney come nome è Glen Keane. Animatore anch'egli, ha legato la sua carriera, iniziata nel 1974, all'azienda di Burbank per aver dato vita ad Ariel de La Sirenetta e Marahute, l'aquila di Bianca e Bernie: da lì è stato poi supervisore delle animazioni de La Bella e La Bestia, Aladdin e Pocahontas. Il viaggio di Keane, iniziato negli anni Ottanta con John Lasseter e come collaboratore su Tron, Toy Story e Toy Story 2, raggiunge la sua vetta quando nel 2003 inizia a lavorare Rapunzel, per la sceneggiatura di Dan Fogelman (sì, quello di This Is Us), e il passaggio della Disney alla CGI completa, che sostituisce l'animazione tradizionale in maniera definitiva. Pur non venendo accreditato come regista a causa di problemi di salute che gli impedirono di portare a termine il suo lavoro, Keane risulta come direttore dell'animazione e produttore esecutivo.
Due anni dopo la distribuzione di Rapunzel, dopo 37 anni, la sua carriera in Disney finisce con un'invocazione alla continua ricerca, alla libertà di espressione e al non poter più sottostare ai numerosi conflitti d'interesse che esistono in un'azienda così grande come Disney. Occasione che gli è stata data firmando la sua prima regia con Over the Moon - Il fantastico mondo di Lunaria, produzione cinese per Netflix che molto ha mutuato dalla tradizione Disney, dalle canzoni fino alle suggestioni narrative. Forse di tutti, Keane è a oggi quello che più difficilmente ha saputo separarsi da ciò che ha imparato in Disney, mantenendosi ben saldo a quelle idee di Burbank che ha portato con sé. Forse per lui non era tanto il come, bensì l'ambiente il problema.
Da Mulan a riconoscere il vero mostro: Chris Williams
Arriviamo, così, a Chris Williams, l'ultimo di questa lista che ha raccontato soltanto alcuni dei protagonisti di questa fuga dalla Disney post-Walt. Premio Oscar nel 2015 per Big Hero 6 e regista di Bolt insieme a Byron Howard (anche questo scritto da Dan Fogelman, sempre quello di This is Us, sì), dopo aver affiancato due mostri sacri della Disney quali Ron Clements e John Musker alla regia di Oceania e aver contribuito alla sceneggiatura di Frozen II e di Raya and the Last Dragon, Williams decide di chiudere la sua esperienza con la Disney, iniziata nel 1998 con Mulan e durata più di vent'anni. Il motivo? Produrre Jacob and the Sea Beast, diventato poi The Sea Beast, in Italia distribuito da Netflix come Il mostro dei mari.
All'annuncio, lo stesso Williams aveva dichiarato di essere grato alla Disney per tutti gli anni trascorsi insieme, ma che l'idea di poter affrontare una produzione in totale libertà in Netflix lo eccitava troppo per lasciarsi sfuggire questa occasione: raccontare un'avventura nella quale un eroe abbandona il mondo conosciuto, sia dal punto di vista geografico che caratteriale, e si imbarca per mari sperduti alla ricerca non tanto di novità, ma di sé stesso. Una metafora di quello che ha fatto Williams, che in Jacob ci ha messo del suo, nell'andare in cerca di mostri per rendersi conto, alla fine, che era stato l'umano ad apostrofarli come tali e il suo padre putativo a convincerlo che andassero uccisi perché malvagi. Quale fosse il messaggio che Williams vede nel suo film rimarrà forte dentro di sé, quello che noi vediamo è un ottimo prodotto, realizzato fuori dalle mura di Burbank, dove l'inventiva, l'arte, la capacità di osare, è venuta meno da parecchi Classici, oramai.
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