Sì, certo, come non citare Il Quinto Elemento, distopico e costoso blockbuster made in Europe. Oppure, come non citare l'ambizioso Giovanna d'Arco con Milla Jovovich, uscito nel 1999, e perfetto crocevia tra il cinema classico e quello post-moderno di inizio Millennio. Ci mettiamo anche la dark comedy Cose nostre - Malavita, con Robert De Niro, o il sottovalutato Lucy con Scarlett Johansson, digressione distopica sul senso dell'eroe (per caso). Tutti film accomunati da un fattore: l'umanità.
Del resto, ciò che riesce meglio a Luc Besson, è fotografare la stortura umana, navigando nelle imperfezioni, nei drammi, nei meandri dell'anima, rintracciando al cinema i capi opposti di un umanità spezzata. Allora, non è un caso che Dogman sia il suo miglior film dai tempi di Léon (come scritto anche nella nostra recensione). Due film diversi, due epoche diverse, eppure lo stesso legame che li unisce, facendoli appartenere allo stesso identico mondo. Un mondo oscuro, instabile, inquieto, tuttavia mosso e smosso dalla compassione e dall'amore. Sullo sfondo, il concetto di radici e di appartenenza.
Tra Léon e Dogman, il cinema di Luc Besson
Dunque, in uno strano incrocio, ecco che il sicario di Jean Reno è in qualche modo l'anticamera di Douglas, protagonista di Dogman, interpretato da uno strepitoso Caleb Landry Jones. Ma sullo stesso piano ci sono poi gli altri elementi e le altre suggestioni: il Léon del 1994 non aveva legami se non con una pianta, essendo schiacciato in un'apatia e in una solitudine indotta dal suo essere killer spietato, ma con delle regole morali: mai uccidere donne o bambini. Né legami, né appartenenza, con l'amore scoperto negli occhi della piccola Mathilda (Natalie Portman, praticamente all'esordio), con cui instaurerà un rapporto in qualche modo salvifico.
Sì, la salvezza. Quella invocata e trovata da Douglas, ragazzino con un padre mostruoso. Un padre incapace di provare amore, riversando violenza e rabbia verso suo figlio e verso un impaurito branco di cani. Quei cani che diventeranno la famiglia di Douglas, salvandolo dall'oblio, portandolo verso una consacrazione umana avulsa dalla regolarità. Perché Douglas, a metà tra dramma e fumetto, è la rivisitazione moderna di quella solitudine storta che ha accompagnato Léon, ma è anche l'estensione di un discorso iconografico che punta dritto al cuore, all'emozione, al sentimento.
Dogman: tutto quello che c'è da sapere sul film di Luc Besson
Il viaggio di Caleb Landry Jones
E non c'è nulla di più emotivo se non lo sguardo di un cane. "Hanno gli stessi pregi dell'uomo, senza avere i loro difetti", dice Douglas nel film: "Nessun difetto tranne uno, si fidano troppo". In Dogman, presentato in Concorso a Venezia 2023, fin dal titolo, sono i cani a dettare il tono e l'umore, in un set - come vi abbiamo raccontato qui - che ha visto alternarsi un centinaio di esemplari, seguiti costantemente dai trainer. Razze e dimensioni diverse, occhi sgranati e code che scodinzolano: al centro, leggendo Shakespeare e cantando Edith Piaf, il cammino di Douglas, emblema tra gli outsider, metafora narrativa di quegli underdog dal forte respiro cinematografico, perfetto per essere declinazione sfumata, controversa figura, personaggio puro per cui fare il tifo. Una folgorazione, la stessa ritrovata 30 anni dopo la sgraziata disperazione di Léon.
Poesia e bellezza
A proposito di folgorazioni, e a proposito di legami, Luc Besson, durante il press day (qui il nostro incontro), ha detto che il talento di Caleb Landry Jones gli ha ricordato l'esplosività di Gary Oldman, che in Léon interpretava Norman Stansfield, il folle agente della DEA. "L'ultima volta che ho avuto uno shock sul set è stato con Gary Oldman, prima di Léon. Solo in quel caso mi era capitato di avere davanti un talento tanto puro. Lui e Caleb fanno parte della stessa categoria di attori".
Un legame quasi esistenziale, e possiamo dirlo: inaspettato. Inaspettato perché la filmografia di Luc Besson, tra Nikita, Léon e appunto Dogman, ha affrontato alti e bassi, non ricevendo il giusto feedback da parte del pubblico o della critica. Per questo, il percorso di Douglas, poetico e straziante, può essere letto in parallelo come se fosse lo stesso percorso del regista: Dogman, grazie all'amore spiegato da un branco di irresistibili randagi, è la ritrovata consapevolezza di un grande autore, che continua a poeticizzare e rivelare la bellezza nascosta. Che sia una pianta da innaffiare, o un cane da accarezzare.