Recensione Angeli Perduti (1995)

La storia dell'intreccio di tante storie e delle vite dei personaggi che si sfiorano appena, e poi proseguono...

Dimenticami

Una storia d'amore, violenza e solitudine.
Killer (Leon Lai), un giovane uomo spregiudicato e violento alle dipendenze di Agent (Michelle Reis), dopo aver lavorato 155 giorni nel mondo del crimine con grande successo e lauti compensi, comincia a porsi qualche interrogativo sulla sua professione, e proprio in quel momento, il suo "datore di lavoro" ha qualche timore per lo strapotere del suo terribile socio e lo licenzia. Killer le lascia un messaggio, ma non un messaggio convenzionale, bensì una canzone, da ascoltare al juke-box del bar dove avvenivano i loro incontri criminosi.
Nel frattempo, il muto He (Takeshi Kaneshiro) che di notte si concede a singolari divertimenti, finisce per perdersi dietro a Cherry (Charlie Yeung), che è stata abbandonata dal proprio uomo per una certa Blondie (Karen Mok). Insomma, la storia dell'intreccio di due (o più, a seconda di come la si vede) storie e delle vite dei personaggi che si sfiorano appena, e poi proseguono nel loro, forse interminabile, cammino della tristezza e del non raggiungimento della felicità.

Poche righe per spiegare la trama, certo non bastano per descrivere quante emozioni è in grado di suscitare questo film. Una sorta di appendice, di continuazione a Hong Kong Express, di cui riprende in pieno i temi portanti. In sostanza, la vicenda scivola via fra gli sguardi allucinati di Killer e gli struggimenti di Agent che in silenzio si masturba piangendo, l'ossessiva presenza del fumo in quasi tutte le scene, e l'uso della comunicazione indiretta(segreteria telefonica, fax, juke-box), che deforma le identità dei personaggi, nel ricordo.
Una favola moderna, che alterna momenti rapidi e violenti a lunghe e insistite sequenze nelle quali si mette al primo posto tutta la tristezza dei protagonisti.
All'ottima regia si accompagna la splendida la fotografia, opera di Christopher Doyle, che presenta toni spesso scuri, o vicini al blu, larghe zone di penombra diffusa, alle quali fanno da contraltare colori accesi e ben definiti.

Da molti il cinema di Wong Kar-Wai è stato definito "cinema dei desideri", perchè tutti i suoi personaggi anelano a qualcosa di meglio, ma nello stesso tempo si convincono di quanto sia difficile riuscire a migliorare la propria vita.
Al di là della trama, che peraltro a tratti sembra volutamente messa in secondo piano, stupisce la grande personalità del regista nell'uso di preziosismi tecnici (grandangolo, ralenti, camera a mano).
Ottimi gli attori: Leon Lai centra in pieno l'interpretazione del killer stanco del proprio sporco lavoro, la bellissima Michelle Reis che esprime un'intima sofferenza, solo con gli occhi, e anche i comprimari, che svolgono tutti il loro dovere più che bene. Insomma un cast che si mette al servizio della storia, esprimendo efficacemente i molteplici sentimenti anche solo attraverso la mimica facciale e corporea. Molto belle le musiche, in particolare la struggente "Wang Ji Ta" di James Wong cantata da Laurie Anderson.

In definitiva un viaggio onirico in un mondo malato e consapevole della sua malattia, tra picchi di felicità sconfessati istantaneamente da piccole grandi tragedie, un mondo caotico e straniante, dove ognuno ha difficoltà a trovare il suo proprio spazio e la sua collocazione ideale, un mondo da incubo eppure tanto reale da far male.