Sono sguardi che non lasciano scampo quelli dei fratelli Safdie. Ammonizioni che prevedono una caduta nel baratro di personaggi attraenti, magnetici, eppure imprigionati in fardelli emotivi e ossessionanti che li porteranno giù, nell'oscurità del proprio inferno personale. Un'autocombustione che stravolgerà la loro vita, criminali poco provetti e figli di un gioco di inganni e sfortune. Good Time e Diamanti Grezzi sono gemelli eterozigoti nati dallo stesso grembo creativo, diversi eppure così simili nella struttura e nella loro colonna vertebrale fatta di cadute dei propri (anti)eroi e pochi ridestamenti. In occasione del suo recente rilascio su Netflix, mettiamo a confronto Good Time e Diamanti grezzi, pietre preziose di giorni poco felici diretti da Josh e Benny Safdie.
Macchine a mano per riprese soffocanti
È uno sguardo ravvicinato che tutto coglie in un esasperante iperrealismo quello dei due fratelli Safdie. Con la forza della propria camera a mano, i registi infondono linfa vitale toccando, o solo sfiorando, i propri personaggi. Nulla sfugge alla loro indagine, che sia un semplice sospiro, o una goccia di sudore. Come un nefasto presagio, la sequela di piani ristretti soffoca i protagonisti, liberi e allo stesso tempo detenuti nella loro prigione mentale. Non c'è nessun accenno di assoluzione nello sguardo cinematografico dei due fratelli registi: la loro è una fredda rappresentazione della realtà, riverbero cinematografico di ciò di cui veniamo a conoscenza tutti i giorni attraverso i vari mass-media. Perfino la fotografia, così cinerea e desaturata, ammicca a uno sguardo che giudica senza lasciarsi coinvolgere e intenerire. Gli unici colori vividi, saturi, sono quelli del sangue, o della vernice viola, che macchiano le banconote tenute in mano da Howard, o in uno zainetto da Connie e Nick Nikas. Perché nel mondo di questi due film è tutto una questione di soldi: soldi rubati, strappati con l'inganno, e quasi mai guadagnati. Il denaro si fa dunque miccia che accende il motore dell'azione; il cuore di un corpo meccanico pronto a sostituirsi a quello prosciugato dei due protagonisti. Nessuna empatica comprensione traspare nella testimonianza dei due registi dinnanzi alle botte, i calci, i pugni e gli atti violenti sferrati ai danni di Howard in Diamanti Grezzi (qui la nostra recensione), e agli ostacoli che invadono la via della salvezza di Connie in Good Time. Tutto si veste di sguardi impersonali e oggettivi, che si limitano a registrare il mondo che si trova a loro vicino, rendendo così tutto paradossalmente vero e umano.
Musica che sovrasta i pensieri
Ai propri protagonisti i registi danno poco tempo per elaborare un piano. La loro mente corre a mille miglia, sovraccaricata di informazioni da elaborare nell'arco di pochi secondi. Non c'è un attimo di respiro. La mente riflette mentre la bocca proferisce a manetta una sequela di parole sparate al ritmo di una mitragliatrice. A esacerbare questi momenti di continua elucubrazione è la colonna sonora. La musica, predominante tanto da sovrastare il reparto dialogico, acuisce quel senso di confusione mentale che investe i protagonisti, estendendosi all'esterno, per riempire ogni singolo millimetro visivo sulla scena. È una musica che fa a gara con monologhi sparati a raffica e incapaci di incontrare l'interesse dell'altro (tramutandosi così in semplici dialoghi): è quanto accade nella scena della macchina in Good Time, e - ancor di più - nell'incipit di Diamanti grezzi, dove l'incontro per una vendita diventa un concerto techno in cui l'obiettivo finale è disorientare lo spettatore, lanciandolo senza paracadute nella vita incasinata di Howard.
Spazi aperti come prigioni interiori
Sebbene quello a cui appartengono è un mondo al confine con quello criminale, né Howard, né Connie, vengono mai immortalati tra le strette pareti di una prigione. A loro le sbarre non servono. Entrambi vivono già reclusi in un carcere, quello mentale. E così spazi aperti, o ampi ambienti come i corridoi degli ospedali, dei ristoranti, delle banche svaligiate (Good Time) o dei negozi in cui rifugiarsi (Diamanti Grezzi) si richiudono su se stessi, tramutandosi in labirinti claustrofobici, premonizioni spaziali di quella gabbia interiore in cui i due personaggi si stanno auto-imprigionando e il cui unico spiraglio di libertà è la morte, o le manette ai polsi.
La caduta degli (anti)eroi
Stando a quanto imposto dai canoni della sceneggiatura tradizionale, a ogni caduta dell'eroe segue una risalita. Ma i protagonisti di Good Time (qui la nostra recensione) e Diamanti Grezzi non sono eroi. Per loro non c'è alcuna elevazione verso una rivendicazione personale; il loro cammino verte su continue discese segnate da tradimenti e destini infausti. A ogni passo compiuto in una New York affollata, o corsa sfrenata tra parchi divertimenti e sale di ospedali, corrisponde un avvicinamento alle porte del proprio inferno personale. Nella caccia alla ricchezza, in Diamanti Grezzi Howard baratta tutto, dagli anelli, alle gemme, arrivando perfino a mettere in ballo ciò che è impossibile valutare, come la propria casa, la famiglia, il lavoro, perfino la propria amante. Connie in Good Time fa di tutto per ricongiungersi con il fratello, ma la sua natura di antagonista di se stesso lo porta a non raggiungere mai l'oggetto della propria quest, fallendo ogni tentativo di successo. Non c'è perdono o assoluzione per Connie e Howard, figuriamoci un barlume di riscatto. L'ombra del giudizio è sempre stata lì, prona su di loro sotto forma di macchina da presa.
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Il passato e una terra straniera
Sia i fratelli Nikas di Good Time, che il personaggio magnificamente interpretato da Adam Sandler in Diamanti Grezzi sono ombre che prendono vita nell'arco di una visione. Non hanno passato, e probabilmente nemmeno un futuro. Sono flash esistenziali che nascono e muoiono nel momento in cui si accende - per poi spegnersi - la macchina da presa. Allo spettatore non è riservata alcuna informazione pregressa circa quella che è stata la loro esistenza, la loro origine. Sta al pubblico rimettere insieme i pezzi lasciati qua e là tra nel corso dei dialoghi per costruire il loro passato diegetico e scoprire chi sono, da dove vengono e apprendere al meglio dove andranno. Nessuno si paleserà davanti alla cinepresa per dirci che Connie è un ladruncolo, e tanto meno che Howard è un gioielliere indebitato fino al collo per le sue azzardate scommesse. Sono le azioni, i loro sguardi, i casini in cui si ritroveranno a parlare per loro.
Robert Pattinson e Adam Sandler: l'estrapolazione del talento
Da una parte abbiamo un attore da un potenziale attoriale senza freni, bloccato da quel pregiudizio spettatoriale che tende a individuarlo ancora come il vampiro di Twilight; dall'altra abbiamo il vincitore di numerosi razzie awards, protagonista di pellicole dalla comicità discutibile, che ha dimostrato le proprie capacità attoriali (si pensi a The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach) se ben diretto da un autore dalla visione forte e sicura. Da una parte abbiamo Robert Pattinson, dall'altra Adam Sandler: sono loro i due attori sulle cui spalle i fratelli Safdie hanno deciso di lasciare il peso di opere profonde, difficili, facilmente fallibili se non costruite sulle giuste corde da un punto di vista performativo. Nonostante la loro limitata filmografia, i due registi sanno quale cinema vogliono creare, e la scommessa di puntare su nomi come Pattinson e Sandler può ritenersi ampiamente vinta. Occhi sbarrati, performance sommessa e giocata spesso in sottrazione, quasi a voler annullare il proprio personaggio nascondendolo dagli occhi degli altri, per Robert Pattinson in Good Time; caratterizzazione sopra le righe, urlata e fisica per un uomo auto-illusosi che la fortuna busserà alla propria porta per Adam Sandler in Diamanti Grezzi. Insieme i due attori danno corpo e anima ai personaggi a loro affidati, rendendoli reali e credibili. Li rendono, cioè, semplicemente uomini, e non più solo immagini in movimento.