De Maria, Mezzogiorno e Scamarcio presentano La prima linea

Alla sua quarta regia televisiva, il regista lombardo sceglie un tema tema importante e doloroso della storia italiana: quello del terrorismo che, nella seconda metà degli anni Settanta, sconvolse e indignò l'Italia non solo per il numero di vittime che provocò, ma soprattutto per la cieca determinazione con cui operava.

Per la sua quarta regia cinematografica, Renato De Maria sceglie un tema importante e doloroso della storia italiana, le cui ragioni ancora adesso si discutono e le sui responsabilità non si sono mai del tutto risolte: quello del terrorismo che, nella seconda metà degli anni Settanta, sconvolse e indignò l'Italia non solo per lo sconcertante numero di vittime che provocò, ma soprattutto per la cieca determinazione con cui operava, senza farsi scrupoli di fronte alla morte, nemmeno la più ingiusta e pretestuosa. E' proprio dal punto di vista di una delle figure di spicco di Prima Linea, organizzazione terroristica fondata dai reduci di Lotta Continua, che De Maria sceglie di raccontare la sua visione del fenomeno: l'evasione di Susanna sarà infatti il pretesto per descrivere, attraverso lunghi e intensi flashback, il cammino del suo compagno Sergio che, dai movimenti operai, lo condurrà alla lotta armata e, infine, alla presa di coscienza dei propri errori. Ad interpretare Sergio Segio, al cui libro Miccia corta il film è liberamente ispirato, è Riccardo Scamarcio, affiancato da Giovanna Mezzogiorno nel ruolo di Susanna. Alla conferenza stampa, oltre al regista e ai protagonisti erano presenti lo sceneggiatore Sandro Petraglia, i produttori Andrea Occhipinti per Lucky Red e Jean-Pierre e Luc Dardenne.

Di quali consulenze di siete serviti in fase di sceneggiatura? Le frasi del film sono quelle che lo stesso Segio usa nel proprio libro?

Renato De Maria: Abbiamo utilizzato una documentazione molto vasta, partita dai libri sul terrorismo, alcuni dei quali scritti anche dai giudici che avevano lavorato in quell'ambito, per arrivare alla trasmissione di Zavoli. Inoltre abbiamo incontrato anche Sergio e Susanna per entrare completamente nella loro storia. In un certo senso però tradiamo il libro di Sergio, perché tutto il discorso biografico del film è tratto da una lettura più vasta e da un rapporto diretto con gli interessati.
Sandro Petraglia: I dialoghi sono nostri, perché il libro non racconta molti degli aspetti più privati, e per esempio abbiamo anche inserito ex novo Piero, il giovane compagno di Sergio.

I vostri personaggi sembrano impossibilitati a relazionarsi con il mondo reale. Come avete lavorato su questo aspetto?

Giovanna Mezzogiorno: Non è stato facile interpretare questa donna, anche perché in un passato recente, quando mi è capitato di veder interpretare dei terroristi al cinema, ho visto personaggi poco interessanti, perché troppo umanizzati o dall'eccessiva durezza. Io non volevo portare questo sullo schermo, volevo che Susanna fosse quella che ho incontrato, una donna determinata, coerente, che non ha lasciato mai il percorso che aveva scelto. Ma è anche una persona vitale, sicuramente che prova una grande amarezza. E' stato difficile mettere insieme questi due livelli, bisognava dare l'idea di questa estraneità, di questa incapacità di relazionarsi con il mondo. Che è anche uno dei motivi del loro fallimento, l'aver creato questa trincea con la realtà.

Riccardo Scamarcio: Io sono partito dalla trasmissione di Zavoli, che contiene proprio un'intervista a Segio, e ho visto in lui una sorta di implosione, ho visto un uomo ricurvo: un'impressione confermata poi dal nostro incontro. E' una persona molto logica, pacata, e questa implosione è stata la chiave che mi ha permesso di rappresentarlo per com'era in quei momenti. Il film è il racconto del momento in cui prende coscienza, è una lenta agonia verso l'accettazione della sconfitta.

Questo film non esprime alcuna compassione per i protagonisti. Come siete riusciti a non dare alcuna giustificazione alle loro azioni?

Renato De Maria: Io sono rimasto molto colpito dall'età di Sergio e Susanna, lui aveva venticinque anni quando c'è stato l'assalto al carcere, e quindi ancora meno all'epoca del suo primo omicidio. Questo per me è stato motivo non di pietas, ma mi ha portato a voler capire. E la spiegazione che mi sono dato è che vivessero in maniera del tutto separata dal loro mondo, portando a un livello troppo alto la conflittualità, in un avvitamento sempre più veloce verso la violenza, verso una dimensione paranoica della vita. Si trattava di una separazione anche fisica, che li faceva vivere il mondo attraverso una parete, o un vetro. Mi sono reso conto dell'importanza di questo aspetto quando sono andato a Liegi ad incontrare per la prima volta i Dardenne, e il fatto che io volessi mettere in luce proprio il tema della separazione dal mondo li ha convinti a partecipare al progetto. Ho capito che la strada da percorrere era questa: dentro c'è anche la pietas, ma la cosa più importante era far vedere questo vetro, che entra perfino dentro la loro anima.

Giovanna Mezzogiorno: C'è come una camera d'aria tra loro e la sfera emotiva, altrimenti cose come quelle non possono avvenire. Questa separazione, questo muro, è l'ideologia.

Questa è una storia molto lineare, di una persona che vive il suo credo fino in fondo. Questa scelta è dovuta a una vostra volontà di semplificare o ad altro?

Sandro Petraglia: Abbiamo cercato di stare dentro la storia dei personaggi, e abbiamo scaricato il contesto solo sulla parte iniziale, in cui si racconta l'origine dello stragismo. Altre cose poi le facciamo dire al compagno che abbiamo immaginato con Sergio all'inizio della sua militanza. La storia d'Italia è complessa, i terroristi poi sono sempre molto ansiosi di raccontare il loro contesto, e non è sbagliato denunciare cose come i servizi segreti deviati. Ma per noi era più importante il fatto che fossero giovani, innamorati, e che invece di una vita normale abbiano scelto questo. Gli incontri con loro sono stati faticosi, duri, abbiamo fatto anche domande molto pesanti. Abbiamo capito che per loro, in quel delirio, sparare a qualcuno non era sparare a una persona, ma sparare a una funzione. Segio scrive che ha pensato il proprio libro con il sentimento di quei giorni, ma io non volevo fare un film così. Abbiamo allontanato il punto di vista, presentando un Segio che era già dissociato da quello di quegli anni, per dare a lui quella distanza che è la nostra.

Andrea Occhipinti: L'idea forte che viene dal libro è quella della struttura, che racconta piano chi sono i personaggi. E' questa forza che ha fatto si che potessimo coinvolgere anche collaboratori importanti come i Dardenne.

Jean-Pierre e Luc Dardenne: Ringraziamo Occhipinti per averci mandato questa sceneggiatura, dalla quale siamo stati del tutto sedotti, su cui si riannodano i fili della grande scuola del cinema italiano, che è uno dei pochi che parli della propria storia. E lo fa attraverso l'itinerario di un uomo che racconta di avere la consapevolezza di essere un assassino, ma che voleva un mondo migliore. Poi abbiamo sentito il punto di vista del regista, cioè il voler raccontare la storia di un uomo che è fuori dalla realtà, ma anche il tragitto inverso, il tornare nella comunità dopo aver ucciso un padre, o essere responsabile della morte di qualcuno che era lì per caso. Non era facile, creare un film che non fosse un tribunale ma la storia di una persona, e devo dire che è stata una scommessa vinta. Poi ci volevano i protagonisti, e ringrazio anche loro per aver dato carne e sentimenti a Sergio e Susanna. Un'altra scommessa vinta è stata proprio fare di Sergio e Susanna due personaggi a sé, fatti anche dagli attori. E' straordinaria, poi, la grande ironia del film, nel parlare di terrorismo attraverso una storia d'amore, una storia che però è un insuccesso, come se la morte non potesse dar vita all'amore. E', come ha detto Scamarcio, un ritmo di agonia. Mi ha colpito poi vedere queste macchine in cui loro viaggiavano sempre, che sembrano un corteo funebre, che trasporta i cadaveri di tutte le loro vittime ma anche del loro amore.

Si vedono spesso film fatti dalla sinistra sulla propria storia, mentre non si vedono mai pellicole sul terrorismo di destra, magari fatte da intellettuali di destra. Come mai?

Giovanna Mezzogiorno: Io credo che, essendo l'Italia un paese tendenzialmente di destra e cattolico, la sinistra si senta sempre in dovere di giustificarsi, mentre la destra ha l'arroganza di non farlo.

Riccardo Scamarcio: E' anche vero che forse si tratta di un processo ribaltato: adesso la destra è al potere e può permettersi l'arroganza, ma forse in passato anche la sinistra ha fatto errori di questo tipo.

Come siete riusciti a non trasformare i vostri personaggi nei soliti belli e dannati?

Riccardo Scamarcio: Quando mi propongono un ruolo, mi pongo il problema di come riuscirò a creare un appeal, ad interessare il pubblico. In questo caso, il mio scopo era quello di aiutare a comprendere cosa ci fosse nella testa di questa persona.

Giovanna Mezzogiorno: Siamo due attori, e se un ruolo ci piace semplicemente lo accettiamo. Non capisco perché si debba pensare che Susanna e Sergio fossero brutti, quando per di più in realtà erano entrambi bellissimi. Queste sono osservazioni volutamente polemiche, mentre l'importante è solo se il film riesce nel suo intento, se fa riflettere.

Come commentate la vostra rinuncia al finanziamento ministeriale?

Jean-Pierre e Luc Dardenne: Credo che sia la prima volta che un produttore, Andrea in questo caso, prende una decisione simile, perché ritiene che un certo finanziamento potrebbe inquinare il proprio lavoro. La scelta di Andrea è un atto di fede, di fede in questo film, e credo che questo coraggio vada sostenuto, e che sia più forte di ogni polemica. E' un peccato non tanto il non aver avuto i soldi, ma che le autorità abbiano reagito in questo modo.

Perché fare questo film proprio oggi?

Renato De Maria: Io sono incappato in questo libro casualmente, nel 2006, e mi sono innamorato della sua struttura narrativa, e del fatto che trattasse di un pezzo di storia che nessuno ha raccontato, perché tutti si concentravano sulle Brigate Rosse e l'omicidio Moro. Io volevo raccontare una storia diversa, e penso che trent'anni dopo sia giunto il momento di riflettere su questo.

Sergio Segio e Susanna Ronconi cosa ne pensano del film? Nella nuova prefazione al proprio libro, Segio lo critica in più punti. E per quanto riguarda le associazioni delle vittime?

Andrea Occhipinti: Entrambi hanno visto il film, anche perché bisognava decidere la dicitura "liberamente tratto" per quanto riguarda il libro. Per le associazioni non sono previste proiezioni, ma le copie sono a disposizione. Voglio ribadire, in contrasto con alcune notizie che ho letto, che la sceneggiatura non è mai stata letta dalle famiglie delle vittime, addirittura io a titolo personale ho informato il figlio di Alessandrini e gli ho chiesto se voleva leggerla, e mi ha risposto che voleva astenersi da ogni polemica.
Sandro Petraglia: Noi abbiamo sempre avuto un atteggiamento leale nei confronti di Sergio e Susanna, abbiamo fatto leggere loro il soggetto e li abbiamo informati di ogni cambiamento. Quando abbiamo spiegato a Sergio come volevamo far iniziare il film, ci ha risposto che sarebbe stato rassicurante vedere subito il mostro dietro le sbarre, ma per noi non si trattava di questo, quanto di un nostro bisogno di libertà espressiva: è stato un rapporto franco in questo. Il Ministro ha poi dichiarato che non era opportuno finanziare un film sul terrorismo, e questo è assurdo, come sarebbe stato assurdo far leggere la sceneggiatura alle famiglie delle vittime. Siamo andati ad un incontro con loro ed è stato tremendo, non avevano nemmeno letto nulla e noi già ci sentivamo colpevolizzati.

Giovanna Mezzogiorno: Non è giusto qui riportare le parole di Sergio e Susanna, ma io un po' me lo aspettavo che non fossero contenti di questo film. Qui manca il loro grande sogno rivoluzionario, il romanticismo, la passione. Questo è un film crudo e duro, e questo non potevano saperlo prima di vederlo.

Renato De Maria: Io sono stato libero di fare il film come lo volevamo fare, e non avrei mai accettato di sottopormi a certi percorsi, come il vaglio del ministero o dei familiari delle vittime. Io ho cercato di rendere al meglio il contesto sociale in cui Sergio viveva, ma non poteva esserci tutta la storia del movimento rivoluzionario degli anni Settanta. Si deve scegliere un punto di vista, a me era piaciuto il tono crepuscolare del suo racconto, ma abbiamo comunque fatto un film legato al rigore dei fatti.

Come mai non avete descritto i margini di consenso che il terrorismo in quegli anni aveva, come anche il contesto familiare di Susanna?

Renato De Maria: Ci sono diverse scene che alludono al consenso operaio, ma per inserirne altre non c'era spazio narrativo, il nostro punto di vista si colloca già alla fine del terrorismo, quando questo è già separato dalla vita politica. Lo stesso vale per Susanna, avevamo in effetti girato delle scene con sua madre, ma le abbiamo tolte ancora per il discorso di prima: la separazione del terrorista dalla realtà è in effetti la realtà in cui vive.

Questo è il film che volevi fare?

Renato De Maria: Avrei preferito girarlo in un altro clima, è brutto che a un professionista non venga concesso di girare in un contesto sereno. Era una situazione non piacevole, preferivo che ci fosse più rispetto per l'opera. A Caravaggio le tele le toglievano due giorni dopo che le aveva esposte, ma se non altro non gli veniva impedito di dipingere.