Danzando sul cristallo, la recensione: la performance della caduta

La nostra recensione di Danzando sul cristallo: dopo l'Italia, gli Stati Uniti e la Francia, anche la Spagna ha il suo thriller psicologico nell'ambito della danza classica.

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Danzando sul cristallo: un frame del film

Balli, volteggi; a ogni passo sei calamita sul palco, sei cibo per gli occhi; poi ecco che scivoli, cadi, crolli, senza più rialzarti. Come cercheremo di sottolineare in questa recensione di Danzando sul cristallo, ancora una volta il mondo della danza si fa correlativo oggettivo di un vortice ombroso interno, un palcoscenico adombrato di ambizione, dolore, e traumi inflitti e mai superati. Prendendo in prestito le lezioni tenute da maestri come Dario Argento, Luca Guadagnino), Darren Aronofsky e, non ultima, dalla serie TV francese L'Opéra (intensa e capace di arrivare dritto al cuore dello spettatore, come abbiamo sottolineato nella nostra recensione) il regista Jota Linares tenta di reduplicare i passi intrisi di mistero e angoscia, per portare sul palco del cinema-TV di Netflix, una pellicola che ambisce a essere thriller, finendo per limitarsi a un patchwork di generi abbozzati, ma mai compiuti.

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Danzando sul cristallo: una scena

Non è thriller, non è dramma, sa solo ciò che non è Danzando sul cristallo: un tentativo di prendere un'arte elegante, pura, magnetica come il balletto classico, e gettarla negli antri più oscuri della mente umana, adombrata di timori ancestrali e responsabilità a cui si è incapaci di rispondere. Eppure in questo meccanismo qualcosa va storto, la tensione viene lasciata galleggiare in superficie senza entrare nello strato più epidermico dell'animo umano. Forgiato di tecnica e scelte filmiche interessanti, Danzando sul cristallo si riduce a essere un balletto dall'estetica curata che non arriva al cuore del proprio pubblico, incastrandosi al confine con la platea, perché frenato da uno sviluppo narrativo curioso di prendere una e cento vie, senza finire mai il proprio complesso itinerario. Come Giselle, Danzando sul cristallo prende vita dalla morte per reincarnarsi in una pellicola multi-sfaccettata, posta alla ricerca della propria natura senza trovarne nessuna che la caratterizzi veramente.

DANZANDO SUL CRISTALLO: LA TRAMA

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Danzando sul cristallo: una foto del film

L'ombra della morte aleggia sul Ballet Clàsico Nacional di Madrid e non solo per la produzione di Giselle. La prima ballerina non ha retto il peso della tensione, della paura, lasciandosi cadere dal tetto del teatro. Al suo posto viene scelta Irene, altra anima fragile, tanto caparbia sul palco, quanto insicura davanti a una bilancia, o a un metro per misurarsi vita e fianchi. È un animo solitario, Irene. Poi il destino vuole che sul suo cammino incappi Aurora, altra anima fragile, problematica, oppressa dalla madre, che trova nella danza il suo luogo felice. Tra le due si instaura un rapporto di amicizia sempre più profondo tanto da sfociare nel morboso. E così la danza si tramuta in strumento di difesa e di attacco, isolamento e torre d'avorio in cui nascondersi, scappare, colpire, sia gli altri che se stesse.

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DANZE CLAUSTROFOBICHE DI FANTASMI DEL PRESENTE

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Danzando sul cristallo: una sequenza

C'è un qualcosa di claustrofobico che circonda il microuniverso portato in scena da Jota Linares in Danzando sul cristallo. Chiusi tra le mura di spazi interni, sballottolati tra sale prove, locali angusti e camere da letto opprimenti, i personaggi vivono di aria compressa, riciclata, pesante; non riescono mai veramente a riempirsi i polmoni e sentirsi vivi. Una mancanza di ossigeno che va ad appesantire quella zavorra interna che li annienta, indebolisce, fatta di ambizione mista a senso di inadeguatezza, paura dell'insuccesso e complimenti mancati. Il peso del proprio ruolo schiaccia sempre più le protagoniste di Danzando sul cristallo, lasciando che a farle danzare sia la leggerezza della fantasia e dell'immaginazione, una spinta leggiadra che le conduce in universi paralleli, ampi, liberi dai morsi dell'angoscia e dei fantasmi del presente. In quel look anni Ottanta del personaggio di Irene (memore di quello di Jennifer Beals in Flashdance) si riscontra già l'incapacità della ragazza di vivere il presente, e trovarsi a suo agio in un mondo a cui ambisce, con la paura di esservi risucchiata. Una mancanza di legami interpersonali profondi, la sua, tradotta cinematograficamente da un'alternanza continua di campi e controcampi che isolano il volto di una ragazza incapace di condividere il proprio spazio con qualcuno che non sia Aurora. María Pedraza (Toy boy, La casa di carta), con quell'aspetto da eterna bambina-sognatrice, riesce a trovare un legame con il proprio personaggio, offrendo luci e ombre di una dialettica interna in perpetuo contrasto. Una lotta giocata sulla forza dell'attrazione che coinvolge anche il personaggio di Aurora, così saturnina e cupa, sia nell'aspetto che nel comportamento, portata in scena con fare convincente da Paula Losada. Un gioco di riflessi speculari contrastanti a livello interpretativo che non riesce però a scalfire quella sfera di cristallo plasmata da pagine di sceneggiatura che hanno inglobato le proprie attrici, impedendo loro di entrare a fondo nella dinamica dei loro personaggi. Presta-corpi di figure danzanti e di sguardi ora persi, ora infusi di solidarietà femminile, le due attrici si fanno contenitori di psicologie tratteggiate a metà. Per quanto provino a colmare queste mancanze, si sente vivo e tangibile il gap che separa le loro Irene e Aurora da un pubblico incapace di giustificare le azioni delle protagoniste perché impossibilitato a comprendere la forza scatenante le motivazioni che stanno dietro ai gesti delle due ragazze. E così la danza dell'interpretazione si fa vuota, impotente, scheggiata come una sfera di cristallo.

QUADRI ESPRESSIONISTI SVESTITI DI CATARSI

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Danzando sul cristallo: una sequenza del film

Che qualcosa di spettrale viva tra le mura del balletto è dichiarato esplicitamente sin dalle prime battute del film, quando un verde fantasmagorico, colorato dall'incontro del regno dei morti e quello dei vivi, tinge l'ultimo gesto della prima ballerina prima di gettarsi nel vuoto. Un quadro espressionista, preso in prestito dall'Hitchcock de La donna che visse due volte, in cui la morte apre le danze in un balletto nefasto, eseguito sempre in punta di piedi, nell'attesa di cadere di nuovo e lasciarsi trascinare nel buio del sonno profondo. Quello compiuto a livello fotografico è solo un prologo interessante di una rete di scelte registiche e visive che donano alla pellicola un senso di inquietudine e angoscia pronta a cogliere il proprio spettatore, destandolo dal sonno dell'illusione. Giocando sull'immediatezza dell'aspetto visivo, il regista si dimentica però di porre altrettanta attenzione sul comparto narrativo, lasciando muovere sullo schermo caratteri abbozzati di corpi deteriorati dalla sete di approvazione, ma mai veramente oggetti di immedesimazione e comprensione spettatoriale. L'arco di involuzione di Aurora e Irene è un segno tracciato a metà. Lo spettatore entra nel loro mondo, viaggia sulla loro linea esistenziale discendente, fino a quando qualcosa ne blocca il passaggio. Manca una vera catarsi, un climax narrativo che generi la caduta di queste due anti-eroine, una bomba che scoppi in loro e le esalti a protagoniste dell'azione, e non semplici strumenti passivi degli eventi. Danzano e colpiscono, le nostre, si fanno angeli del palcoscenico e diavoli dell'insicurezza, senza però far tralasciare una motivazione reale dei propri comportamenti e delle proprie azioni. Una falla narrativa che la controparte tecnica-visiva non riesce a colmare, lasciando che l'opera si presenti sullo schermo compiuta a metà.

LOTTE DI CONTRASTI

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Danzando sul cristallo: un'immagine del film

"Una prima ballerina non può avere amiche sul palco", e a quanto pare nemmeno fuori. Ecco perché le sue protagoniste si circondando di specchi, di riflessi che prendono la propria identità e la sputano fuori sotto forma di un'esistenza altra, fittizia, irreale. Irene non è più Irene, ma Giselle è in un universo fragile, come il cristallo, e pronto a ferire, tagliare, dissanguare se imploso sotto il peso delle responsabilità, delle ambizioni e delle aspettative. Quello delle due protagoniste è un universo abitato da luci e ombre mai nascoste, ma esaltate; un ambiente dove tutto è in lotta e in contrasto, e per questo a colorarlo sono l'alternanza di due colori complementari come il verde di un universo spettrale, e il rosso sia della passione (quella di un'amicizia morbosa che sembra suggerire molto altro) ma anche del sangue e della vendetta. Un universo dove le principesse addormentate dalla ragione vengono manipolate da direttrici ora matrigne cattive, burattinaie che giocano con le reti psicologiche delle proprie ballerine. Nei loro occhi, braci fiammeggianti nascoste sotto espressioni letargiche lanciano sguardi carichi di ingiusti giudizi e attacchi personali, memori di quelli violenti di Miss Tanner nel Suspiria di Dario Argento, o recriminatori della Mrs. Danvers nel Rebecca di Alfred Hitchcock. Eppure, in questo gioco di duelli, le due forze non sembrano incontrarsi veramente mai. Lo scontro viene perpetuamente rimandando, finendo per indebolirsi e perdersi nel corso del tempo di visione.

DANZE PERFETTE SENZA CUORE

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Danzando sul cristallo: un momento del film

Prodotto di matrice spagnola, la sua struttura narrativa prende vita dalle ceneri di una serialità televisiva che tenta di riprodursi tra le fila cinematografiche. Un processo di riciclaggio di idee e scrittura che non previene il deterioramento dello sviluppo di un intreccio composto da parti pronte a sfilacciarsi, indebolite perché orfane di una base solida su cui nascere, crescere ed evolversi. Il regista cura in maniera maniacale l'aspetto visivo, complice una macchina da presa che danza con i propri ballerini, oppure che si ferma a osservare le proprie protagoniste da vicino, catturandone uno sguardo in camera colmo di mostri e fantasmi impossibili da rivelare a voce, ma tradotti da un uso del grandangolo che prende e distorce il mondo circostante. Ma il suo è un processo che tralascia l'aspetto discorsivo dell'opera, quello di uno sviluppo interiore che parte da un punto di avvio senza trovare la giusta evoluzione che giustifichi il suo punto di non ritorno. Giocata su brandelli narrativi, Danzando sul cristallo è una figura dal viso bellissimo, ma dal corpo amputato. Presi singolarmente, gli episodi che la compongono appaiono interessanti, passi compiuti in maniera impeccabile, ma se osservati nella loro totalità appaiono indefiniti, abbozzati. Danzando sul cristallo è pertanto un'opera costruita in potenza. Un vestito bellissimo, magnetico, cucito perfettamente, incapace però di trovare il giusto corpo da coprire. È una ricetta cucinata alla perfezione, ma insipida al gusto. Un ballo eseguito tecnicamente in maniera perfetta, ma senza cuore. Danzando sul cristallo è un film che balla, ma senza le fondamenta solide di una sceneggiatura forte, scivola, rompendosi, senza capacità di rialzarsi.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di Danzando sul cristallo, sottolineando quanto l'apparato tecnico non riesca a colmare una lacuna narrativa che indebolisce la resa finale di un film che tanto poteva offrire e poco ha dato.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
3.4/5

Perché ci piace

  • La performance delle protagoniste.
  • Il contrasto fotografico e cromatico.
  • L'uso delle superfici riflettenti.
  • Le riprese dinamiche.

Cosa non va

  • Lo sviluppo dell'intreccio.
  • Il tentativo di toccare vari generi senza svilupparli a fondo.