Who's here? I'm here... you're here...
Un campo lungo di New York; un battello che percorre l'Hudson; un braccio mozzato che galleggia sul fiume. L'orrore, in Cruising, emerge fin dall'incipit del film: un orrore misterioso e raccapricciante, che in qualche modo già prelude all'immersione negli abissi di una metropoli dalla doppia faccia. Quella metropoli che funge da scenario, oscuro e conturbante, del cult più tormentato di William Friedkin, il regista che nel 1971 aveva reso la Grande Mela l'agone della forsennata guerra fra "guardie e ladri" nel più importante film poliziesco della New Hollywood, Il braccio violento della legge.
L'enorme successo con Gene Hackman e Cruising sono separati da meno di un decennio, ma si tratta di un decennio fatidico per la carriera del cineasta nato a Chicago: nel mezzo ci sono infatti il maggiore fenomeno horror mai approdato sul grande schermo, vale a dire L'esorcista, e il cocente fallimento dell'ambizioso e amarissimo Il salario della paura (seguito, un anno più tardi, dal fiasco più contenuto della commedia Pollice da scasso). Cruising, che debutta nelle sale americane il 15 febbraio 1980, trainato dal carisma di una star quale Al Pacino, dovrebbe rappresentare per Friedkin l'occasione del riscatto, eppure il film non sarebbe potuto nascere sotto una stella più nera...
La morte corre sul fiume: la genesi di Cruising
Tratto molto liberamente dal romanzo omonimo di Gerald Walker, Cruising vanta con pieno diritto la pur abusata etichetta di "cult maledetto": una di quelle opere riscoperte e rivalutate nel tempo e dotate di una modernità impressionante, che sembra prescindere dal trascorrere degli anni. Nello specifico, la modernità di Cruising è legata innanzitutto alla forza con cui il film si addentra nei territori del perturbante: una forza, se possibile, perfino superiore a quella de L'esorcista, e ulteriormente accresciuta da una serie di circostanze legate a una lavorazione a dir poco travagliata. A stimolare l'interesse di Friedkin per il soggetto, all'inizio degli anni Settanta, è una catena di delitti negli ambienti omosessuali del Greenwich Village: il macabro dettaglio dei cadaveri fatti a pezzi e ripescati dalle acque dell'Hudson non è frutto d'invenzione, ma proviene direttamente dalla cronaca nera.
Da lì in poi, la genesi di Cruising assumerà un carattere leggendario: dalla spaventosa coincidenza che Paul Bateson, un radiologo diretto da Friedkin in una scena de L'esorcista, fosse stato condannato per omicidio (e sospettato di essere il killer dell'Hudson River), al boicottaggio delle riprese da parte di alcune associazioni gay, convinte che il film avrebbe delineato un ritratto negativo della comunità omosessuale di New York. Per interpretare Steve Burns, il poliziotto che si infiltra nei cosiddetti leather bar del Meatpacking District sulle tracce di un serial killer, Friedkin avrebbe voluto scritturare il divo emergente Richard Gere (nei cinema statunitensi, fra l'altro, Cruising esordirà appena due settimane dopo American Gigolò), ma Al Pacino reclama per sé un ruolo che costituisce una delle sfide più coraggiose nella filmografia dell'attore.
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Quando la città dorme: la New York da incubo di William Friedkin
Il filone sui serial killer, sottogenere la cui autentica diffusione risale ad almeno un decennio prima (da Lo strangolatore di Boston di Richard Fleischer al magistrale Una squillo per l'ispettore Klute di Alan J. Pakula), in Cruising si intreccia con la visione fosca e decadente di una città trasfigurata in (non) luogo dalla profonda valenza simbolica, uno scenario al contempo reale e immaginifico: alla New York di tutti i giorni Friedkin alterna infatti una metropoli immateriale e notturna, che si dischiude davanti agli occhi di Steve Burns - e di noi spettatori - con le sembianze spettrali e le livide tonalità espressioniste, dominate dal nero e dal blu, di un regno dell'incubo. Uno sguardo non troppo dissimile, in fondo, da quello dello scorsesiano Taxi Driver, di appena quattro anni precedente.
Ed è una New York in cui siamo condotti già nei primissimi minuti: "Un giorno questa città esploderà", commentano a denti stretti due agenti di polizia al calare del buio. Attorno a loro (e a noi), il sottobosco dei club sadomaso in cui, da lì a poco, si inoltrerà pure lo Steve Burns di Al Pacino e marciapiedi che diventano teatro di costanti approcci sessuali, a ribadire la polivalenza semantica del titolo cruising: "pattugliare", ma anche "rimorchiare". Perché nell'ambiguità risiede il nucleo tematico di un film totalmente imperniato sulla doppiezza, sulla cancellazione e ridefinizione dell'identità: "Ti andrebbe di scomparire?", è l'insidiosa domanda del Capitano Edelson (Paul Sorvino) all'agente Burns, mentre gli propone di offrirsi da esca per il serial killer. Burns è insieme il cacciatore e la preda dell'uomo a cui sta dando la caccia.
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L'occhio che uccide: sulle tracce del serial killer
Fra le ragioni alla base dell'aura nefasta sorta nel 1980 intorno a Cruising, e che ne hanno limitato il successo commerciale, si può contare probabilmente proprio la natura ibrida di un film che dei polizieschi tradizionali ha a malapena l'apparenza, e che al contrario ne incrina regole e convenzioni. Cruising, del resto, può essere definito un thriller 'sbilenco', in cui aspettarsi una piena coerenza narrativa o psicologica significherebbe rimanere inesorabilmente delusi: per i primi due terzi della durata l'indagine di Burns gira a vuoto o si infrange in vicoli ciechi; i vari comprimari, a partire dalla fidanzata di Burns, Nancy Gates (Karen Allen), non sono dotati di un vero spessore, ma fungono da mere superfici riflettenti per pensieri, timori e ossessioni del protagonista (un protagonista che, non a caso, osserviamo più volte di fronte a uno specchio).
Non solo: passo dopo passo, William Friedkin non esita a demolire il senso di realismo del racconto per accentuarne invece quella dimensione onirica che si caricherà di cupe sfumature metafisiche. Un esempio emblematico, citato in quasi ogni analisi critica del film, riguarda le tre scene di omicidio: il delitto nel motel, subito dopo il prologo, quello tra le fronde del parco e l'assassinio del cliente di un peep show a gettoni. Da una sequenza all'altra, Friedkin alterna gli stessi attori nei ruoli delle vittime e del killer, doppiato però da una singola voce, a cui fa pronunciare la sinistra filastrocca (modificata nella versione italiana) "Who's here? I'm here... you're here": la formula di un rituale di sangue celebrato sulla dicotomia fra Eros e Thanatos.
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Attrazione fatale: il sesso, la morte e l'ineluttabilità del Male
Sesso e morte: sono i due poli da cui si sviluppa il tradizionale percorso di detection, laddove ogni omicidio segna l'esito di un atto erotico appena consumato (il rapporto sessuale nel motel), ricercato e vagheggiato (l'adescamento nel parco) o proiettato su uno schermo con finalità onanistiche (il delitto del peep show, con la sagoma del coltello sovrapposta a un video pornografico, è il più suggestivo, nonché quello dai contorni visionari più marcati). Ma sesso e morte sono soprattutto le coordinate della parabola di Steve Burns: la sua diffidenza per quel microcosmo di abiti di cuoio, divise ridotte a feticci e bandane adoperate come grafemi di un linguaggio erotico, si tramuta man mano in un'inconfessabile attrazione per ciò che è nascosto, proibito, pericoloso.
Perché a suscitare la maggior inquietudine, in Cruising, è proprio l'idea di entrare in un mondo alieno ma che affonda le proprie radici nell'inconscio: un mondo in cui scoprire un "altro da sé", in cui abbandonare la maschera del quotidiano per indossarne una nuova. È quanto accade a Steve Burns, il personaggio-focalizzatore del film: se la Regan MacNeil de L'esorcista veniva posseduta suo malgrado dallo spirito di Pazuzu, e padre Damien Karras sacrificava il proprio corpo per accogliere il demonio dentro di sé e quindi distruggerlo, qui il Male è un'entità indefinita, strisciante e onnicomprensiva. È il volto celato da occhiali neri di uno sconosciuto che osserva la sua vittima dall'angolo di uno specchio, qualche istante prima di sferrare la pugnalata; è un individuo silenzioso e immobile con un cappuccio calato sul capo; è il desiderio stesso, impulso irresistibile e mortifero.
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Bersaglio di notte: il cacciatore e la preda
E in questo corto circuito fra la razionalità dell'indagine poliziesca e l'irrazionalità endemica dell'Eros, Friedkin rovescia ancora una volta la prospettiva del pubblico: per la precisione dopo un'ora di film, quando all'improvviso la focalizzazione si sposta sul giovane Stuart Richards (Richard Cox), studente di musica alla Columbia University, alternando da quel momento in poi il punto di vista da Steve Burns al presunto assassino, con effetti destabilizzanti. Perché ora è Burns, a tutti gli effetti, il predatore: pedina Stuart fra le vie di New York e nel parco, lo osserva in lontananza attraverso la finestra del suo appartamento, gli rivolge un ghigno sardonico per fargli capire di averlo preso in trappola.
Il loro incontro a Morningside Park, luogo deserto e fantasmatico, con il bagliore dei lampioni a gettare sprazzi di luce in una coltre di tenebre, è un ennesimo capolavoro di suspense: il duello fra il cacciatore e la sua preda, pronti a scambiarsi i ruoli, a specchiarsi l'uno nell'altra (non a caso Burns e Stuart sono vestiti allo stesso modo) e a lanciarsi in una ferina danse macabre di sesso e violenza. Il serial killer viene assicurato alla giustizia, l'ordine pare ristabilito... eppure, altro sangue dovrà scorrere. Il Male forse non è stato debellato, dopotutto. E mentre il film sta per chiudersi, c'è ancora spazio per un ultimo, terribile dubbio: quel dubbio sepolto negli occhi spenti di Al Pacino, in quell'indimenticabile sguardo finale verso la cinepresa, prima di dissolversi nello skyline di New York con la rapidità di un brivido.