Quasi dieci anni fa Rocky Balboa lo aveva riportato sul ring, prima virtuale e poi drammaticamente reale, in un film nel quale si prendevano già le distanze in maniera decisa dalla storia raccontata nella saga e nella sua vita precedente. Dalla morte di Adriana agli scontri col figlio e il nuovo impegno come 'vecchia gloria' nel ristorante di famiglia, Sly era riuscito comunque a dare una nuova possibilità al suo storico personaggio.
Un'operazione che sembra perfettamente riuscita ancora una volta in Creed - Nato per combattere, settimo film della serie che potrebbe, in veste di spinoff, porsi come primo di una nuova inattesa prosecuzione. La scelta di Michael B. Jordan come figlio dell'indimenticato Apollo e il toccante background affidato a una notevole vena interpretativa dimostrata da Stallone stesso rendono tutto possibile. Come emerge anche dalle dichiarazioni raccolte ai piedi del ring della Front Street Gym di Filadelfia, in 'casa' dello Stallone Italiano...
Una saga rinnovata
È toccante vedere la trasformazione che segue la malattia. L'esperienza sul set l'ha fatta pensare all'eredità che lascerà?
Sylvester Stallone: In effetti sì. In tutta onestà, quando arrivi sul set e ti siedi, sei ancora te stesso. Un'ora e mezza dopo ti trasformi in una persona malata. Sì certo, avevo il trucco, ma mi chiedevo: "è davvero quello che tante persone vivono ogni giorno? Questo è il loro destino...". Mi sono detto che avevo una responsabilità enorme e che dovevo prenderla molto sul serio. Ed è quello che ho fatto. Mi ha anche aiutato nella recitazione: sono diventato più comprensivo e informato; soprattutto nei confronti delle altre persone e dei loro destini, pericolosi, pieni di disperazione e dolore. Ma a proposito della mia morte, l'orologio segna il tempo. È cosi per tutti noi. Ogni giorno hai le stesse possibilità e può capitare di ammalarsi. Questo mi ha aperto gli occhi, ho davvero pensato alla mia mortalità. Credo che questa sia la risposta più deprimente che abbia mai dato in vita mia! Ero contento quando sono arrivato, ma dopo questo sono pronto a uccidermi! Non voglio più vivere.
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Ripensando al passato, qual è stato il suo primo pensiero nel sentire la proposta del film?
Ho detto di no! Era stato talmente faticoso realizzare l'ultimo, anche se sono stato molto contento di Rocky Balboa. E che fosse la conclusione della saga di Rocky. Non sentivo il bisogno di andare oltre. Per cui ho abbandonato subito l'idea. Ma c'erano degli elementi in favore che mi hanno spinto a ripensarci. Uno in particolare è emerso dopo circa un anno e mezzo e mi ha fatto pensare al fatto che la mia storia era stata raccontata, è vero, ma che c'erano delle generazioni che non erano state considerate da quando era nato Rocky a oggi. La loro storia non era stata raccontata. E questo mi ha fatto cambiare idea, mi sono pentito della mia ristrettezza di vedute.
Magari non avrà pensato potesse durare tanto. Ma oggi cosa le manca di più?
Ovviamente Adriana. La 'numero uno' (che pronuncia in italiano, ndr). Lei è stata il cuore e l'anima di tutto. Più in generale, pensavo proprio l'altro giorno a cosa avessi lasciato indietro ai tempi della genesi di Rocky, ma la cosa fantastica di questo personaggio e di queste storie è la loro capacità di restare vivi senza effetti particolari o inseguimenti di auto o senza far esplodere qualcosa, che è quel che faccio di solito (ride, ndr). Seriamente, non ci sono proiettili, niente parolacce o sesso, niente. Almeno fino ad ora... Ma non sarebbe Rocky, altrimenti, lui non lo farebbe. E credo sia il motivo per cui è diventato un vero fenomeno. La generazione degli anni '70, quando ho realizzato il primo film, non era la stessa di quando è uscito il terzo. E cosi sarà anche per questo film; ci stiamo spostando a un nuovo livello. E ne sono orgoglioso. È il settimo film, ma è anche il primo in un certo senso. La storia di Rocky è finita, di fatto; e inizia quella di Creed.
L'erede ufficiale
Michael, con Creed sei stato investito di una eredità datata circa 40 anni... Cosa provi: gratitudine, pressione, ansia?
Michael B. Jordan: Più che altro mi sono sentito onorato di entrare in questo mondo leggendario, rimasto sulla breccia per 40 anni... E di aver meritato la fiducia di Sly per interpretare questo personaggio. Lo considero un onore. Grazie a tutto il team, poi, all'intero cast, posso dire di non essermi mai sentito più al sicuro. E pronto a prendermi dei rischi, cogliere le occasioni, sperimentare. Sly ha fatto la cosa più importante, una gran cosa nei miei confronti: ha fatto sì che non sentissi nessuna pressione, che non percepissi la preoccupazione della competizione, del confronto. Mi ha permesso di essere solo me stesso, e fare quello che ci si aspettava che io facessi.
Come Adonis Creed, quanto è stato severo con te Sly in fase di allenamento?
Sly mi ha sempre detto, e lo conferma anche adesso, che lavoro troppo, e mi sforzo troppo. Per quanto riguarda il mettermi in forma, avevamo tempo. Ho parlato tanto con Ryan Coogler, il regista, prima di girare il film e ho avuto i tempo di cambiare la mia dieta in maniera drastica, e di allenarmi. Erano cose che sono andate in parallelo: allenarmi e fare la dieta. Ryan mi ha circondato di persone che sanno tanto della boxe, quindi ho cercato di assorbire quello che sapevano, come una spugna. Allo stesso tempo, cercavamo di trovare uno stile per il personaggio di Donnie, per decidere che tipo di combattente sarebbe stato. Abbiamo analizzato alcuni pugili storici e abbiamo capito che potevamo usarli e inserire qualcosa di loro nella personalità di Donnie. Ho imparato molto da Timothy Bradley, Tony Bellew, e da Andre Ward.