Lukas Dhont è tornato: dopo il bellissimo esordio Girl, vincitore della Caméra d'or come miglior opera prima al 72º Festival di Cannes, il regista belga quest'anno è tornato sulla Croisette, questa volta in concorso, con Close. E anche stavolta non è tornato a casa a mani vuote: il film è stato celebrato con il Grand Prix Speciale della Giuria.
Nelle sale italiane dal 4 gennaio, Close è la storia di due adolescenti: Léo e Rémy, 13 anni, interpretati dagli attori esordienti Eden Dambrine e Gustav de Waele, sono sempre stati amici. Quasi fratelli. Lavorano insieme raccogliendo fiori con le rispettive famiglie, mangiano insieme, dormono insieme. Vanno anche a scuola insieme. Con il passaggio alle medie però il loro rapporto molto stretto comincia a far chiacchierare i compagni. Sono solo amici o in realtà si amano? La cattiveria del mondo esterno scuote brutalmente questo legame.
Lukas Dohnt, dopo Cannes 2022, ha portato il film a Roma, dove abbiamo potuto incontrarlo. Tra coreografie e sentimenti come superpoteri, ci ha dato anche una sua opinione sulla classifica di Sight and Sound dei 100 migliori film della storia del cinema, che quest'anno vede in vetta il film della sua connazionale Chantal Akerman.
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Lukas Dhont: da Girl a Close, scrive film come spettacoli di danza
Dicevi che scrivi come un coreografo o un ballerino. Puoi spiegare meglio questo concetto?
Prima di diventare regista volevo essere un ballerino. Ricordo questo momento: avevo 12 anni e potevamo esibirci in classe in un piccolo spettacolo. Io ho deciso di fare un assolo di danza su una canzone. Ricordo che, dopo l'esibizione, avevo profondamente imbarazzato i miei compagni di classe, perché mi muovevo in un modo che era considerato da ragazza. E ho smesso di ballare in pubblico. Ballavo solo tra le 4 pareti della mia stanza. Così ho cominciato il mio viaggio da regista. Mia madre mi ha dato una videocamera e ho cominciato a filmare la vita, tutto.
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Ma il desiderio di diventare ballerino non si è mai spento. È rimasto un sogno nascosto dentro di me. Quindi, durante i miei anni alla scuola di cinema, ho fatto tutti i miei stage con dei coreografi. Cerco sempre di tenermi vicino al mondo della danza. Al posto dei dialoghi uso i corpi, le espressioni, la musica e le immagini per trasmettere un'emozione. È la regola di uno spettacolo di danza: comunicare cose attraverso i corpi, i suoni e le immagini. Quindi, quando ho iniziato a scrivere film, ho cercato di trovare un linguaggio che fosse vicino all'idea di uno spettacolo di danza. Certo, uso anche le parole, ma penso che la maggior parte delle emozioni siano trasmesse dai corpi degli attori. Da come guardano il mondo. Penso che lo sguardo del film permetta al pubblico che lo guarda di provare ciò che provano i personaggi. Semplicemente da come li trasmettono attraverso gli occhi e i movimenti. È questo che intendo quando dico che scrivo come un coreografo.
Close: crescere e avere paura dei sentimenti
A proposito di sentimenti: ho molto amato che il film mostri quel momento delle nostre vite in cui capiamo che, quando si cresce, si ha paura delle proprie emozioni. Secondo te perché abbiamo così paura?
Penso perché impariamo che le emozioni spesso sono considerate una debolezza dalla società. Viviamo in una società che spesso si mostra molto brutale e violenta: è importante creare un'armatura per poter sopravvivere in questo mondo. Quindi la vulnerabilità e la tenerezza sono cose a cui non diamo abbastanza valore, anche se sono molto importanti per noi. Forse oggi le cose stanno cambiando, grazie alla maggiore discussione sulla salute mentale e la necessità di essere profondamente connessi, anche grazie alle emozioni. Da ragazzo, quando stavo crescendo, mi sono reso conto che la mascolinità in questo mondo comporta una serie di caratteristiche precise: indipendenza, controllare le emozioni, tutte aspettative che non sono mai stato in grado di mantenere. Ora, per la prima volta, comincio a vedere quella che ho sempre considerato la mia debolezza, ovvero la mia vulnerabilità, le mie emozioni, come il mio superpotere.
Lukas Dhont commenta la classifica dei 100 migliori film di Sight and Sound
Questo è il tuo secondo film ed è meraviglioso: sei un grande astro nascente del cinema. Vorrei chiederti cosa pensi della classifica dei 100 più grandi film della storia del cinema di Sight & Sound, che esce ogni 10 anni. Molti vecchi critici stanno dicendo che, visto che stavolta molte più persone hanno votato, tra cui giovani, donne, neri, i vecchi classici sono minacciati dai nuovi. C'è Jordan Peele, il film di una donna è al primo posto. Cosa diresti a queste persone? Per me è una cosa positiva: vuol dire che il cinema è un organismo vivente. Per altri no. Tu cosa pensi?
La nostra professione è talmente legata alla soggettività! Abbiamo tutti un gusto diverso e certamente ci sono dei titoli che non si possono non menzionare. Ma qualcosa come i migliori film di tutti i tempi è molto relativa: dipende dal modo in cui vedi il mondo. La cosa che davvero mi entusiasma è che un'opera come Jeanne Dielman di Chantal Ackerman venga celebrata. Ricordo di aver visto il film quando avevo 18 anni e mi ha messo di fronte a come il tempo e la messa in scena potessero mostrare tendenze suicide. In questo caso di una donna. Con una tale eleganza e rilevanza. Quindi vedere riconosciuto un film come quello, di una regista belga come me, che considero una delle più importanti del nostro paese, è una sensazione potente. Mi porto via questo dalla lista: la celebrazione di cose che non hanno sempre avuto la stessa visibilità. È una cosa bellissima.