Civiltà perduta: nel lato oscuro di Charlie Hunnam, James Gray plasma il suo Fitzcarraldo

Forse è proprio quello che vuole James Gray, distrarci da tutto ciò che finora ha contato nel suo cinema per farci assaporare l'ebrezza di una vita dedicata alla scoperta.

James Gray ha sete di avventura. Almeno così sembrerebbe a giudicare dall'ultimo film, Civiltà perduta, che si distacca dalla precedente produzione intimista made in USA per andare alla scoperta di location misteriose e lussureggianti. L'occasione, per il regista, nasce dal romanzo non-fiction di David Grann, The Lost City of Z: A Tale of Deadly Obsession in the Amazon. Il libro narra la storia di Percy Fawcett, militare ed esploratore inglese che, tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, compì una serie di viaggi per mappare le regioni inesplorate dell'Amazzonia per conto della Royal Geographical Society of London. Fawcett ha fornito a James Gray la molla per abbandonare New York ed esplorare altre porzioni del mondo attraverso l'obiettivo della sua macchina da presa.

Civiltà perduta: un primo piano di Charlie Hunnam
Civiltà perduta: un primo piano di Charlie Hunnam

Percy Fawcett compie un percorso contrario a quello delle figure al centro di molto cinema di James Gray. Finora il regista aveva avuto un occhio di riguardo nei confronti degli immigranti, dei derelitti, di coloro che sono costretti ad abbandonare la propria casa o la propria patria per rifarsi un'esistenza migliore (possibilmente) in un luogo a cui non appartengono. Percy Fawcett è un avventuriero, un esploratore, un militare con una solida posizione economica e una bella famiglia che decide di mettere a repentaglio ciò che possiede per placare la sua sete di conoscenza. Inevitabile, per Gray, porre al centro di questa storia inediti dilemmi morali: fino a che punto è lecito penetrare in terre straniere per esplorarle e carpirne i segreti? Perché il bagaglio culturale occidentale ci spinge a ritenerci superiori alle popolazioni indigene? Vivere un'esistenza tranquilla insieme ai propri affetti ci rende meno meritevoli di chi mette a repentaglio la propria vita per ampliare i confini della conoscenza?

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Natura vs. cultura

Civiltà perduta: Robert Pattinson e Charlie Hunnam in una scena del film
Civiltà perduta: Robert Pattinson e Charlie Hunnam in una scena del film

Civiltà perduta è un pamphlet biografico dall'impostazione classica. Un film diviso tra vecchio e nuovo mondo, tra l'Inghilterra rigida e formalista e l'Amazzonia selvaggia, vitale e pericolosa. Dualismo perfettamente incarnato dall'interprete di Percy Fawcett, un Charlie Hunnam a tutto tondo capace di smettere i panni del militare eroico e discliplinato per vestire quelli dell'esploratore divorato dalla sete di avventura. Civiltà perduta si svolge a cavallo tra due mondi opposti, antitetici sotto ogni punto di vista. Per restituirne i contrasti, James Gray compie un lavoro imponente sul piano visivo ricreando la vecchia Inghilterra in cui dominano interni dai toni scuri, grigi e marroni, per poi tuffarsi nella lussureggiante giungla amazzonica. La costruzione di questi due mondi, in cui le lunghe digressioni esotiche e selvagge sul fiume o nella foresta, gli scontri con gli indigeni e la lotta per la sopravvivenza hanno la meglio sulla parte inglese, per una corretta fruizione richiede un'immersione totale nella visione che solo il grande schermo, necessario per questo film, può fornire.

Civiltà perduta: una scena del film
Civiltà perduta: una scena del film

Più che dalla biografia tout court, James Gray sembra affascinato dalla dimensione selvaggia, dall'attrazione verso il lato oscuro del suo eroe pronto ad abbandonare per anni la famiglia lasciando la moglie (una volitiva Sienna Miller) da sola a crescere i figli mentre lui, in preda al senso del dovere nei confronti del lavoro, ma anche di un profondo ego, compie le sue esplorazioni per portare alla luce le tracce di un'antica civiltà perduta. Nei confronti domestici con Charlie Hunnam, Sienna Miller conferma il proprio talento tratteggiando il ritratto di una donna forte e indipendente, figura ante litteram in un ambiente rigidamente maschilista, e sfruttando al meglio il poco spazio dedicatole dal regista. L'interesse di James Gray si concentra, però, altrove, la parte europea fa da cornice a un film che, nella volontà del sua autore, vuole diventare il suo piccolo Fitzcarraldo o Apocalypse Now. Attratto dalla dimensione avventurosa, Gray si lascia andare a spettacolari sequenze in cui l'uomo si trova a dover affrontare la forza della natura, le malattie o le minacce che provengono dal cuore della foresta. Inebriato dagli umori, dall'adrenalina e dall'abbandono delle inibizioni della civlità, il regista sembra poco interessato a uno sviluppo narrativo uniforme e insiste sui pochi concetti che gli stanno a cuore.

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Oltre i confini della conoscenza

Civiltà perduta: Sienna Miller in una scena del film
Civiltà perduta: Sienna Miller in una scena del film

James Gray si conferma ancora una volta raffinato assemblatore di cast. A fianco di Charlie Hunnam, che ha la bellezza di un Brad Pitt ma, mancando dell'aura di divismo che circonda il collega, ha conservato la capacità di "sporcarsi le mani", e Sienna Miller, Gray scommette su Robert Pattinson. Nascosto dietro una folta barba e un paio di occhiali, il divo di Twilight risulta irriconoscibile nei panni del braccio destro di Percy Fawcett, Henry Costin, fedele e taciturno compagno di spedizioni. Percy Fawcett ed Henry Costin rappresentano i valori di chi è pronto al sacrificio non per il mero denaro, ma perché ha veramente a cuore l'evoluzione della conoscenza. Di fronte alla derisione dei colleghi inglesi della Royal Geographical Society, increduli di fronte all'ipotesi dell'esistenza di una cultura indigena evoluta, Fawcett rappresenta la visione illuminista, portatrice di valori positivi e di un afflato umanista che lo eleva dalla media dei conterranei rendendolo una figura attuale ancora oggi.

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Civiltà perduta: Robert Pattinson in una scena del film
Civiltà perduta: Robert Pattinson in una scena del film

Mai banale, James Gray sa costruire pellicole che lavorano in profondità, scavando nell'animo dei personaggi. Stavolta l'impresa è ardua, visto che il film copre oltre 20 anni di storia scanditi da tre missioni in Amazzonia (nella realtà furono molte di più). Costretto a condensare il racconto limitandosi ai momenti essenziali per dare respiro alle esplorazioni, il regista si trova a dover tratteggiare i personaggi in pochi tocchi. La confezione è ottima, ma la mole di materiale fa sì che, a visione conclusa, la fretta pesi sul risultato finale. Così, nonostante i 140 minuti di durata, si resta con la voglia di conoscere più a fondo i personaggi, di saperne di più sulle scoperte di Percy, di avere più tempo per assorbire la lezione da lui impartita. O forse è proprio quello che vuole Gray, distrarci da tutto ciò che finora ha contato nel suo cinema per farci assaporare l'ebrezza della scoperta pura e semplice.

Movieplayer.it

3.5/5