I fatti: dal 18 al 22 settembre c'è stato il primo appuntamento di Cinema in Festa. Cinque giorni in cui il biglietto del cinema è costato appena 3,50 euro. Il primo appuntamento, perché, dovete sapere, il "progetto" sarà ripetuto due volte all'anno per ben... cinque anni. Una "festa" che comprende oltre duemila sale, ingloba a sé una programmazione canonica, anteprime (tra cui diversi film passati a Venezia 79) e, secondo i vari comunicati, ha previsto la partecipazione attiva di registi e interpreti protagonisti di appositi incontri e masterclass. Un format che, il condizionale è d'obbligo, dovrebbe celebrare l'esperienza cinematografica, facendo sì che il pubblico si riappropri di quello spazio meraviglioso chiamato sala. L'operazione di (ri)coinvolgimento ricalca la celebre Fête du cinéma che si tiene annualmente in Francia, nata però nel 1985. Un periodo storico totalmente opposto e distante da quello che viviamo; un periodo che non soffriva di ansie, di paure, di costi elevati, di crisi di idee. Per giunta, il format è nato in un Paese che non ha mai sofferto di marcate crisi di settore, con i propri prodotti che viaggiano di pari passo (o quasi) ai grandi titoli di Hollywood. L'ultimo esempio? Bullet Train: in Italia le presenze, al 16 settembre, sono 304 mila, mentre in Francia la cifra complessiva sfiora il milione e mezzo.
Quindi, la prima domanda che sorge: perché ricalcare un format anacronistico che potrebbe a sua volta inflazionare l'offerta? Davvero provare a concentrare il pubblico in cinque giorni, proponendo una visione a prezzo stracciato, può riavvicinarlo alla sala cinematografica? Davvero il problema è il costo del biglietto a scoraggiare il pubblico? E se invece i problemi fossero altri, ben più radicati e meno superficiali? Proviamo in qualche modo a rispondere ai dubbi che sorgono, e proviamo per quanto possibile, a dare delle risposte oggettive ad una crisi acuita dalla pandemia. Prima cosa: le restrizioni non ci sono più e il Covid non sembra più una giustificazione plausibile. Calcolando che Spider-Man: No Way Home, in piena emergenza sanitaria, ha sfiorato i 30 milioni di euro. Quindi sì, da una parte la pandemia ha accelerato un processo (quello dello streaming, su cui torneremo più avanti), ma dall'altra non è più una scusa che regge, né tantomeno deve essere un alibi da sfruttare. Il dubbio, in questo caso, è che "Cinema in Festa", che ha comunque intenti lodevoli (ma affievoliti da una comunicazione rugosa, limitata a sponsorizzazioni social, a banner pubblicitari e comunicazioni all'interno delle sale che "acchiappano" solo i clienti abituali), venga usato come un palliativo capace di "risolvere" parzialmente il problema due volte l'anno, lasciando poi un buco di incassi nei giorni precedenti e successivi alla rassegna.
Gli incassi che non brillano
Prima del Covid ci sono state giornate a prezzi scontati (a 2€!) e, al netto di dichiarazioni di facciata, non sono state particolarmente apprezzate dagli esercenti. Il motivo? Il bar non incassa (la prima fonte di sostentamento di un multiplex è il food and beverage) e sistematicamente, una settimana prima e una settimana dopo, c'è un vuoto d'ingressi. Tant'è che anche questa volta abbiamo registrato un calo: secondo Cinetel il week-end dall'8 all'11 settembre ha registrato un -28.8% rispetto alla settimana precedente. E qui c'è una nota a margine decisamente dolente: le uscite italiane tendono a mandare in negativo il botteghino. Il signore delle formiche di Gianni Amelio, presentato a Venezia 79, si è piazzato al secondo posto nel week-end 8-11 settembre, incassando 430 mila euro suddivisi in 64 mila spettatori. Per l'appunto il week-end precedente il secondo posto era di DC League of Super-Pets, che ha guadagnato 755 mila euro su 115 mila spettatori. I motivi? Non per forza qualitativi (come dimostra il film di Amelio), in quanto molti film italiani di ottima fattura sono stati ignorati, o non hanno il tempo necessario di affermarsi. In questo caso entra in gioco la promozione stessa, dato che Il Signore delle Formiche si sta ritagliando il giusto spazio, ed è anzi al primo posto con un milione guadagnato (dati aggiornati al 20 settembre). E ci domandiamo: senza biglietto scontato, avrebbe comunque incassato? Per noi sì, perché il passa-parola è ancora importante e il pubblico, al contrario di quello che si crede, cerca ormai la qualità. È anche vero che purtroppo il pubblico italiano guarda spesso di traverso le nostre produzioni, ripiegate su formule vecchie, generi stantii e una comunicazione rivolta quasi esclusivamente agli addetti ai lavori, al pubblico cinefilo o ad un pubblico generalista che guarda distrattamente i servizi culturali in coda ai telegiornali. Ecco che uno dei grandi problemi del cinema italiano è, appunto, il cinema italiano stesso: tra i primi dieci incassi del 2022 non c'è un film italiano, mentre nel 2021 troviamo solo Me contro te - Il mistero della scuola incantata con 5 milioni. Questo spalancherebbe le porte a un certo discorso, se pensiamo che nel 2021 sono stati distribuiti 153 film di produzione o co-produzione italiana, ovvero il 43,3% del totale. Su 153 solo il film dei Me Contro te, per giunta a target strettamente limitato, è riuscito ad entrare nella top 10. Numeri che dovrebbero far riflettere, aprendo un interrogazione sul senso che il cinema italiano sta (intra)prendendo.
In questo senso "Cinema in Festa" non appare una soluzione lungimirante e si ferma all'istantanea, in quanto la programmazione è un punto fondamentale del discorso: tiriamo fuori titoli passati come Avatar (ma solo dal 22 settembre) e Spider-Man: No Way Home, che probabilmente a prezzo intero avrebbero comunque incassato, e film come Top Gun: Maverick ampiamente a fine corsa, nonostante porti ancora incassi. Sfogliando la programmazione che cade tra il 18 e il 22 le novità attrattive non sono moltissime. Minions 2 è all'ultimo giro, la riproposta Spider-Man: No Way Home - The More Fun Stuff Version (con 11 minuti di scene inedite) non ha entusiasmato troppo, l'anteprima di Beast con Idris Elba ha segnato appena 10 mila presenze, considerando anche che l'unico film di prospettiva è Don't Worry Darling di Olivia Wilde ma, uscendo il 22 settembre, avrà a disposizione un solo giorno di rassegna. Troppo poco. I numeri del 18 settembre? La prima giornata di Cinema in Festa si chiude con un +186% rispetto a domenica 11, ma con un sonoro -45% rispetto a tre anni fa. Il motivo? Quello indicato: una mancanza di prodotto e una promozione non pubblicizzata a dovere. Fattore rimarcato dalla crescita dei numeri infrasettimanali, superiori in proporzione a quelli di domenica. Il motivo? Gli spettatori hanno scoperto tardi la promozione.
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L'esperienza, non la quantità
La strada intrapresa dalle sale si avvia verso una certa selettività in funzione di un'esperienza cinematografica che valga la pena essere vista, appunto, sul grande schermo. Per questo, ci domandiamo, non c'è un titolo da almeno 8 milioni garantiti schedulato fino a Black Panther: Wakanda Forever, in uscita il 9 novembre? Una voragine di quasi due mesi, che poi si andrà a scontrare con un inverno atipico in quanto ci saranno i Mondiali di Calcio. Nonostante l'assenza degli Azzurri, i Mondiali sono un evento, e storicamente tolgono presenze al cinema. E no, la scusa dello streaming non tiene, dato che i numeri anche in questo senso sono stabili da anni, e la crescita tra il 2020 e il 2022 è stata tutt'altro che esponenziale (circa il 4%). Per dirla in breve, la distribuzione streaming toglie alla sala un numero davvero basso di spettatori, in quanto le stesse TVOD (che offrono prime visioni a poche settimane dall'uscita theatrical) non navigano di certo nell'oro, registrando utili risicati e concentrati solo su pochi, pochissimi titoli. E le SVOD, come Netflix o Disney+? È fuorviante credere che tolgano audience alle sale, in quanto i loro prodotti originali sono un'offerta parallela e non certamente preponderante rispetto alle uscite cinematografiche. Per giunta, alcuni original movie di Netflix hanno una distribuzione in diverse sale selezionate prima dell'uscita streaming, ottenendo un ottimo riscontro di pubblico (vedi alla voce È Stata la Mano di Dio). Non possiamo credere infatti che i titoli licensed, spesso passati in chiaro in tv, siano da considerare dei diretti rivali della sala. E poi le piattaforme, per quanto variegate, non sono certo una novità recente, tali da giustificare tra l'altro una migrazione tanto accentuata di pubblico. Su questo punto c'è molta più organicità: gli italiani vanno meno al cinema, e chi ci va cerca lo spettacolo, il grande attore, il cinema come pura forma di intrattenimento. Perché andare a vedere quei titoli italiani costruiti seguendo vetuste regole televisive che, per giunta, hanno anche l'ardire di rivendicare uno spazio theatrical? Ritorniamo allora sulla qualità, sull'onestà e sulla riconoscibilità, ingredienti fondamentali da cui far ripartire il settore produttivo e distributivo italiano. I nomi, gli autori, gli attori ci sono, c'è la voglia e c'è la scrittura. Sfruttiamo la bellezza narrativa che possediamo e smarchiamoci finalmente dalle etichette.
Nonostante potrebbe non bastare (non abbiamo di certo la verità in mano), ecco l'ennesima idea sballata: allungare le windows a 90 giorni, tra sala e streaming. Un discorso che potrebbe avere un senso per alcuni titoli (vedi Top Gun: Maverick), ma che non può essere applicato ai titoli italiani, in quanto la quasi totalità viene soppiantato da altri film (esteri) dopo appena una settimana di programmazione. Il rischio è creare una sorta di fallout, con la maggioranza dei film che finisce per passare inosservato sia in sala che in streaming. Che senso ha produrre e distribuire per un pubblico che, di fatto, non esiste? In questo senso bisogna cominciare a mollare l'automatismo tra produzioni e finanziamenti statali, puntare sulla qualità e non sulla quantità, così da spingere il pubblico italiano a rivalutare l'imprescindibilità della sala senza confonderlo con una rassegna che svaluta il prodotto e, in parte, lo stesso spettatore.
A riguardo è emblematico il post social di un cinema storico come il PostModernissimo di Perugia, che si è detto contrario all'iniziativa spiegando i motivi: il biglietto è vitale, e i cinema multiplex come gli indipendenti applicano già tariffe speciali e promozioni, tutto l'anno. Per giunta, sottolineano che l'emorragia di pubblico italiano non sia riconducibile al prezzo del ticket, in quanto è al di sotto di altri paesi europei (in Svezia la media è di 14 euro e in Francia di 10,5, contro i 9 dell'Italia), e che "Cinema in Festa" sia progettato solo come uso consumistico del cinema. Quasi lo stesso discorso del Cinema Beltrade che su Facebook si dissocia per i modi applicati e per lo scopo - pur essendo un cinema che partecipa all'iniziativa - sottolinenando quanto il prezzo del biglietto non sia, appunto, il problema della crisi. Aggiungiamo noi che la visione consumistica e deprezzata va in totale controtendenza al cinema come evento unico e come esperienza a tutto tondo. Oggi il pubblico insegue lo stupore agganciato a storie di facile riconoscibilità (qui si aprirebbe una parentesi enorme, e Top Gun: Maverick torna ancora come esempio calzante), e nelle sale cerca quell'experience che fa la differenza. Per esempio, è accorta la scelta di UCI Cinemas di insistere sulla catena LUXE (meno posti a sedere ma divanetti al posto delle poltrone) e sulla tecnologia IMAX, coccolando così il pubblico affezionato e, intanto, agganciando chi non frequenta abitualmente la sala. A guardar bene il punto focale è proprio questo: ristabilire un immaginario attorno alla sala e ricreare una connessione e uno scambio diretto con il pubblico. Senza inseguire proclami, sconti e soluzioni che, per l'ennesima volta, potrebbero rivelarsi circostanziali e dall'efficacia limitata.
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