"Spero proprio di non vedere 'Quarantenni in quarantena'... è la mia paura più grande... Noi italiani abbiamo sempre la deriva della commediaccia..." Ce lo ha detto, con il suo solito humour, Nicola Guaglianone, quando gli abbiamo chiesto che storie vedremo sullo schermo nel periodo che arriverà dopo l'emergenza del Covid-19. Parliamo di film e serie tv che usciranno tra un anno, un anno e mezzo. È stata proprio una sua intervista, a Map Magazine, a stimolare la nostra curiosità. Non si tratta ovviamente di scrivere per forza film e serie sul Coronavirus, ma di capire in che scenario saranno ambientate le storie. Siamo sicuri che il pubblico non giudicherà finto un abbraccio appassionato o un film totalmente noncurante del dramma che stiamo vivendo e avremo vissuto? Questo si chiedeva Guaglianone nell'intervista. Anche non volendo girare storie sul Covid, il vero problema è se cambierà stabilmente il "paesaggio" sociale, ha fatto notare Fabio Bonifacci sul suo profilo Facebook. Tra un anno e mezzo, quando usciranno i film che si stanno scrivendo adesso, ci sarà in giro gente con le mascherine? Se due vanno a cena, come sarà il ristorante? L'autobus o il treno saranno pieni o distanziati? "Stai parlando con un ipocondriaco, molti miei personaggi già vivevano così" ironizza Nicola Guaglianone. "Se mettevo due amici al bar e uno voleva offrire un sorso di birra dalla sua bottiglia all'amico, già in pre-covid avrei detto: no grazie...".
I piccoli gesti quotidiani e la forza della storia
Scherzi a parte, sono tutte domande che i nostri sceneggiatori si sono posti e continuano a porsi. "La difficoltà, quando siamo entrati in questo mondo straordinario, è stata proprio quella di non riuscire a immaginarsi il futuro, il contesto in cui muovere i personaggi" riflette Nicola Guaglianone (sceneggiatore di Lo chiamavano Jeeg Robot, Indivisibili, Benedetta follia). "Quando sei legato all'attualità il film nasce già vecchio. Quando arrivò l'euro sembrava strano, quando noi parlavamo ancora in lire, che nei film i personaggi dessero per scontato che si ragionasse in euro". "Io credo che ci saranno dei piccoli gesti, che erano quasi dei gesti eccezionali, che ora diventeranno la normalità" continua Guaglianone. "Al pari delle nostre nonne che avevano fatto la guerra e avevano il frigo e il congelatore pieno di cibo, e dicevamo 'cucini e surgeli come nonna', noi diremo ai nipoti ' ti lavi le mani come nonno'. Questo rituale di lavarci le mani a lungo ce lo porteremo avanti per un bel po'". "È un problema che mi sono posto in modi diversi, scrivendo film sulla politica come Benvenuto Presidente! e Bentornato Presidente" ragiona Fabio Bonifacci (autore degli script di Si può fare e Diverso da chi?, oltre che dei film di cui sopra). "La politica cambia ogni settimana, ogni mese, e ti trovi a dover prevedere il futuro. Scrivere per un periodo in cui le cose potrebbero essere diverse è molto difficile. La possibilità di errore esiste, ma l'importante è porsi la domanda. Già avere una buona domanda aiuta, poi qualcuno azzeccherà i dettagli, qualcuno li sbaglierà. È questione di come uno studia le cose, ma anche di fortuna". "Credo che la cosa vada compensata su un terreno che in apparenza non c'entra nulla, che è la forza della storia" continua Bonifacci. "Se ci sono dei dettagli sbagliati, ma la storia è forte, uno ci passa sopra con più facilità. Lo prendo come stimolo: scrivere storie forti e belle è il nostro obiettivo quotidiano, usiamo questa storia per farlo ancora di più".
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Ci saranno ancora gli abbracci
"Mi sono posta questa domanda, ma la risposta è soggettiva" ci spiega Barbara Petronio (sceneggiatrice delle serie tv Suburra e Romanzo criminale - La serie). "Mi pongo questa domanda quando guardiamo serie o film antecedenti al Covid-19. Vedere persone che si abbracciano non mi ha disturbato, non l'ho sentita una cosa anacronistica. L'abbraccio, il contatto è nel nostro DNA, l'uomo è un animale sociale. Anche se il Covid-19 dovesse continuare a stare con noi per diverso tempo, io sono tra quelli che pensano che le abitudini di contatto fisico forse possano cambiare con gli estranei, ma credo che con qualcuno che ami sia inevitabile abbracciarsi". "Rispetto ad adottare usi e costumi più attenti rispetto alle tematiche che stiamo vivendo nelle storie non la ritengo una scelta auspicabile" continua la sceneggiatrice. "Io avrei voglia di vedere abbracci tra le persone, a meno che non parliamo di film con scenari apocalittici, dove questo diventa l'argomento del film. Se penso alle serie che sto scrivendo, non le scrivo pensando a questi scenari. Se uno lo deve fare, lo deve fare in modo realistico: le persone con le mascherine, fargli lavare le mani. Cosa mi dà in più dal punto di vista narrativo? Se è solo per essere più contemporanei, sono convinta che la storia dell'umanità è stata costellata di pandemie e poi si è tornati alla normalità". "Nel corso del lockdown, a seconda del livello dell'emergenza, le mie opinioni sono cambiate" ci confessa Stefano Sardo (sceneggiatore de La doppia ora e delle serie 1992, 1993 e 1994). "In certi momenti si aveva l'impressione di uno scenario completamente e inesorabilmente trasformato. La mia sensazione del momento è molto diversa da quello che vivevo 50 giorni fa. Faccio fatica a mettere nelle cose che sto scrivendo, se sono ambientate nell'attualità, qualche riferimento concreto, anche nelle abitudini del lockdown e del distanziamento sociale. Le mascherine si usano sempre meno, il distanziamento sociale è sempre meno rispettato. Se dovesse ridursi tutto al fatto di lavarsi le mani di più, chi se ne frega". "Ho l'impressione che qualsiasi abitudine uno andasse a mettere in una storia, invece di aggiornare il film alla realtà, lo ancorerebbe a un momento particolare, che potrebbe essere già superato quando il film uscirà in sala. Inseguire l'attualità renderebbe obsoleto quel racconto" ragiona lo sceneggiatore. "Quanto agli abbracci, penso che in realtà le persone che si vogliono abbracciare si abbracceranno, e che una delle funzioni di una storia sia quella di superare quel momento là".
Ma noi saremo cambiati? Avremo voglia di ridere?
Ma la questione è più profonda. Quella del Coronavirus è stata anche una crisi economica che avrà cambiato le condizioni di vita medie della gente. E il lockdown potrebbe aver portato dei cambiamenti profondi nel nostro equilibrio. "Quello che ci porteremo dentro è un cambiamento emotivo, un'emergenza psichiatrica già iniziata, dove, in un momento del genere, si fanno i conti con frustrazioni, delusioni, psicopatologie, scene di violenza, come la persona in treno che si è incavolata con il tipo senza mascherina" fa notare Nicola Guaglianone. "Quello che si cerca in momenti di grande frustrazione è una valvola di sfogo che funzioni come quella della pentola a pressione. Questo mi fa paura: la frustrazione e la disperazione, il senso di impotenza in molti di noi possono trovare una declinazione violenta". "Credo che dal punto di vista filosofico, questo virus abbia rappresentato il ritorno della realtà" analizza Fabio Bonifacci. "Si viveva tutti quanti in un mondo in cui sì, ci sono i problemi ma non c'è mai il Male, il vero dramma. Si tendeva a rimuovere il Male, la malattia, la morte. La tendenza adolescenziale della società è stata superata, siamo tutti cresciuti, ci siamo confrontati tutti con la nostra fragilità e la nostra impotenza. Questo cambia i gusti. La gente avrà voglia di ridere, ma ridere in modo più serio, con meno fughe ed evasioni, ma con una risata più intrisa di problemi veri, un po' come nella classica Commedia all'Italiana più che come nella commedia pura. In generale ci sarà la richiesta di racconti più seri, che non sfuggano ai quesiti esistenziali che ci siamo posti, anche senza affrontarli direttamente, però lasciandoli tra le righe". Ma, parlando di generi, "ci sono tante storie possibili" analizza Stefano Sardo. "Ad esempio dei family nevrotici che si sono costruiti nell'esperienza dei due metri di clausura, coppie che si stavano lasciando. A me l'esperienza del lockdown ha fatto venire in mente il dramedy, non il dramma".
Quali storie racconteranno cinema e serie tv?
Ma quali saranno, allora, le storie che vedremo al cinema e nelle serie tv nel futuro prossimo? Come saranno le storie d'amore, quelle dove il contatto è fondamentale? Mentre a Hollywood si pensa che si possano girare con la computer grafica, intanto c'è chi pensa a che storie scrivere. "Nel mio nuovo incarico mi capita di leggere molto di più rispetto a prima: arrivano romanzi, soggetti e spunti con la tematica Covid-19, con il distanziamento, le mascherine, i guanti. Li trovo tutti poco interessanti" ci confessa Barbara Petronio. "Una buona storia è più forte del Covid-19. Se leggessi una bella storia d'amore di due che durante una pandemia trovano il modo di amarsi e la storia fosse bella non avrei nulla in contrario". "Ci ho pensato ovviamente" ci risponde Guaglianone. "Se la storia nasce da un amore impossibile le storie di questo tipo hanno sempre funzionato. Pensa ad A un metro da te, quei ragazzi che non si potevano avvicinare perché avevano due malattie che non potevano stare in contatto. Dipende tutto dall'idea. Se è un'idea nata da un amore che non può essere vissuto a livello carnale se ne possono inventare tante. Lo stesso Twilight parla di questo: la chiave del successo della saga era l'idea di non poter vivere passionalmente l'amore. L'idea di adattare copioni esistenti a queste circolari e dare un colpo al cerchio e uno alla botte mi sembra un'idea fallimentare". Ma in questi giorni si sono sentite spesso anche storie tragiche, che con l'amore non hanno niente a che fare. "L'isolamento ti mette di fronte ai tuoi demoni, dai quali non puoi scappare" commenta Nicola Guaglianone. "Diciamo tutti che bello stare a casa, in famiglia. Ma non dimentichiamoci che è in famiglia accadono le tragedie. Verranno fuori tante storie di costrizioni, sia fisiche che psicologiche. Pensiamo a quelle donne che non potendo andare da nessuna parte, hanno vissuto con uomini violenti". "Ci saranno dei personaggi che si ritroveranno di fronte a una scala di valori, e delle percezioni nei confronti di temi importanti" riflette lo sceneggiatore. "Pensiamo alla giustizia. O al fatto che fino a ieri il pericolo erano gli immigrati che rubavano le nostre donne e il nostro lavoro, tutte scemità populiste da campagna elettorale. Adesso il pericolo chi è? È il tuo vicino che starnutisce in ascensore. Credo che i personaggi, come tutti noi, cambieranno punto di osservazione su dei temi molto importanti: il senso della vita, il tempo".
La politica è sempre interessante
E probabilmente cambieremo anche punto di osservazione sulla politica. "Fino a ieri si pensava alla politica come un privilegio" ragiona Guaglianone. "Oggi pensiamo alla popolarità di un uomo come Conte, un uomo qualunque che si è trovato di fronte a un'emergenza mondiale ed è stato bravo". A questo aspetto ha pensato anche Stefano Sardo, che con i suoi 1992, 1993 e 1994 ha raccontato una stagione della politica in modo molto interessante. "A me intriga molto la vicenda politica di Conte, questo Designated Survivor che si trova all'improvviso a gestire la più grossa crisi post seconda guerra mondiale da uomo un po' da Oltre il giardino, da uomo che è finito a fare il premier per un gioco di contrappesi" ci racconta lo sceneggiatore. "La politica italiana offre sempre degli spunti, ma anche questi invecchiano e devi trovare degli archetipi molto più forti, storie che si possano concludere. Salvini sembrava destinato a governare un ventennio, ma questa cosa non sembra più attualità".
Il post Covid-19 come il post 11 settembre?
E poi potrebbe arrivare il momento in cui affrontare di petto il mondo del Coronavirus, guardare in faccia la realtà, come fece l'America con l'11 settembre che fu raccontato da un film come La 25a ora. Probabilmente ora non è ancora il momento. "Vedere adesso un film o una serie che parla di Covid-19 lo troverei un po' respingente" ci risponde Barbara Petronio. "Ci siamo ancora dentro a questa tragedia, come tutte le cose ha bisogno di un tempo di digestione di questa materia per tirarla fuori al meglio. Prima di due o tre anni non vorrei vedere una cosa che parla di questo". "Non penso che serva aspettare qualche anno per parlarne" è invece l'idea di Stefano Sardo. "Credo che l'esperienza del lockdown, dello stare chiusi in casa per più di due mesi, si possa raccontare già da oggi. È un periodo che si è concluso, l'abbiamo vissuto, ed era un'esperienza drammaturgia pura, mettevi i personaggi a convivere forzatamente, e poteva essere un device di racconto molto fertile. Personalmente non ho nessun problema né a raccontare una storia nata lì, né a pensare che sia eticamente sbagliato perché c'è della gente che è morta. Roma città aperta lo hanno girato che era carne viva. Se hai una cosa da dire la puoi dire. Ci potrebbe essere una resistenza del pubblico a un racconto pedissequo del dramma, ma non vuol dire che raccontarlo voglia dire fare un racconto pedissequo". "Può succedere adesso, tra due anni, tra dieci anni" riflette Fabio Bonifacci. "È chiaro che ci saranno anche i film sul Covid-19, ci saranno tante proposte. La differenza la farà il taglio con cui si sceglie di raccontare la storia. Sono stati fatti tanti film sulla Prima Guerra Mondiale, ma quello che la maggior parte degli italiani ricordano di più è La grande guerra, ed è del 1959, la Prima Guerra era finita da 40 anni. C'è la potenza della storia: due vigliacchi che muoiono da eroi. Ha trovato la chiave per raccontare cosa è stata quella guerra per l'Italia. È una bella sfida, ci troveremo in molti. Si tratta di avere illuminazione. Ma non va cercata".
Come racconteremo il Covid-19 nei prossimi anni?
Ma come potrebbe essere un film che racconta l'esperienza di questi mesi? "Diventa anche interessante" ci spiega Nicola Guaglianone. "Adesso ci troviamo noi e gli americani a dover trattare la stessa cosa. Fino a ieri gli scenari apocalittici erano un'esclusiva del cinema americano, tsunami, tornadi e terremoti rappresentavano le paure di un determinato popolo. I film di zombi erano una reazione alla paura del nucleare. Oggi ci troviamo di fronte, tutti gli sceneggiatori, a poter raccontare la stessa cosa. Ce la possiamo giocare ad armi pari. È interessante trovare chiavi di racconto originali sullo stesso tema". "Io penso che ci siano tantissimi livelli per affrontare una cosa di questo tipo" riflette Stefano Sardo. "C'è il livello fiction, che sarebbe raccontare l'emergenza di un reparto ospedaliero, le famiglie che vengono separate, una serie di cose legate all'esperienza umana più dolorosa". Per quello che attiene all'esempio de La 25a ora, "si tratta di capire come ne usciremo, come siamo cambiati da questo senso di precarietà in tutto quello a cui ci dedichiamo in questi giorni" continua lo sceneggiatore di 1994. "Questo è un altro paio di maniche. Se tu sei un buono scrittore in qualche modo fai i conti con due stati d'animo profondi. E influenzano anche i progetti che non sono destinati a parlare di quello. E in qualche modo quei progetti possono diventare metafore più funzionali al racconto di quel momento rispetto ad altre che raccontano la cronaca di ciò che è accaduto. La 25a ora è l'analisi di un sentimento. A un certo punto ci dovremo fare i conti, e per il dramma cronachistico alla Diazci vorrà un po'... possibile che ci sia un rifiuto tornare angoscia pura". "Sull'11 settembre uscì anche il documentario di Michael Moore" ricorda Barbare Petronio. "A caldo, se Michael Moore facesse un documentario sul Covid-19 me lo vedrei subito. Se il grande Spike Lee facesse un film sul Coronavirus tra due tre anni lo vedrei volentieri. Credo che lui, come tutti i grandi artisti, abbia bisogno di un periodo di digestione di questa cosa, perché ci siamo ancora troppo dentro. Non sappiamo ancora se i nostri figli andranno a scuola a settembre, non si può scrivere su qualcosa che stiamo vivendo".
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