Il 9 agosto 1969, Sharon Tate, astro nascente di Hollywood e moglie del regista Roman Polanski, da cui aspettava un figlio, fu assassinata, insieme ad altre tre persone nella sua villa di Cielo Drive, dai alcuni membri della Manson Family. A 50 anni dal terribile delitto, che a Hollywood è stato accolto come il segno della "perdita dell'innocenza", ancora non riusciamo a liberarci della mente perversa che ha partorito questo disegno di sangue, Charles Manson, la cui storia viene raccontata nel film Charlie Says.
Nel 2019 sono uscite diverse opere che raccontano la sua storia: Sharon Tate - Tra incubo e realtà, che racconta l'ultima giornata di Sharon Tate, interpretata da Hilary Duff; C'era una volta a... Hollywood di Quentin Tarantino, in cui l'attrice è Margot Robbie, e la seconda stagione della serie Netflix Mindhunter, prodotta e diretta da David Fincher, in cui Charles Manson ha il volto di Damon Herriman (che ha ripreso il ruolo anche nel film di Tarantino).
Non è finita: il 22 agosto è uscito nelle sale italiane, dopo essere passato nella sezione Orizzonti della 75esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, anche Charlie says, film di Mary Harron che percorre una strada poco battuta, ovvero raccontare la Manson Family dal punto di vista delle donne che vivevano allo Spahn Ranch insieme a Manson (Matt Smith). Prendendo spunto dal libro di Karlene Faith The Long Prison Journey of Leslie Van Houten: Life Beyond the Cult, Charlie Says si concentra sulle figure di Leslie Van Houten, Patricia Krenwinkel e Susan Atkins, interpretate rispettivamente da Hannah Murray (Gilly in Il trono di spade), Sosie Bacon e Marianne Rendón.
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Charlie says: Charles Manson dal punto di vista delle donne
Attualmente tutte in carcere a scontare la condanna all'ergastolo per omicidio di primo grado, Leslie Van Houten, Patricia Krenwinkel e Susan Atkins erano giovanissime quando hanno incontrato Charles Manson e ognuna di loro, per motivi diversi, si è fatta completamente soggiogare dal suo carisma: "Quando ho letto la sceneggiatura non riuscivo a capire come fosse possibile che qualcuno possa decidere di entrare in una setta" ci ha detto Sosie Bacon, cha abbiamo incontrato al Lido di Venezia insieme alle altre due attrici, proseguendo: "Poi, quando ho visto il video del New York Times di Patricia oggi, che si vede anche alla fine del film, in cui dice che tutto ha avuto origine dal semplice desiderio di essere amata, ho cominciato a capire. Studiando la sua storia ho trovato una ragazza insicura a causa del suo eccesso di peluria corporea, che si sentiva poco attraente e veniva spesso respinta dagli uomini. Quando qualcuno come Charlie, bello e carismatico, ti sceglie, la tua vita cambia, soprattutto se non ti sei mai sentita amata. Da questo punto di vista sento di potermi immedesimare con lei: è per questo che ho sentito di dover dare un aspetto vulnerabile al personaggio. Voleva semplicemente avere un ragazzo: sembra assurdo ma questo desiderio è una forza potentissima."
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Di Susan Atkins, detta Sexy Sadie, Marianne Rendón ci ha detto: "Non puoi giudicare il tuo personaggio: ha preso decisioni molto diverse dalle mie, ma ha avuto anche una vita diversa. Sua madre è morta quando era molto giovane e si è ritrovata a vivere una vita davvero selvaggia. Ne ha parlato nel suo libro di memorie, anche se è noto che inventava storie e alterava i fatti. Che poi è anche uno dei motivi per cui le altre sono finite in prigione: perché Susan, condannata per un altro crimine, si è vantata di aver compiuto gli omicidi e ha trascinato con sé anche gli altri. Per questo è rimasta in isolamento in carcere, perché c'era tensione tra lei e gli altri membri della Famiglia."
Hannah Murray sul suo approccio con la figura di Leslie Van Houten invece: "Per me è stato più facile: il viaggio di Leslie comincia quando Patricia e Susan sono già indottrinate. Lo script era molto preciso: mostra come Charlie, a poco a poco, mini le sue sicurezze. La prima volta in cui Leslie incontra Charlie sembra davvero carismatico: queste ragazze non erano idiote, ma sono state plagiate. Prima di incontrarlo erano giovani donne intelligenti e quindi non ho trovato difficile immedesimarmi in lei: quello che vorrei la gente portasse a casa dopo aver visto il film è che forse, nelle circostanze sbagliate, una cosa del genere potrebbe succedere a tutti. Siamo animali sociali, non siamo fatti per vivere in isolamento: la connessione può essere una delle cose più belle della società, ma allo stesso tempo può anche rendere le persone incredibilmente vulnerabili. Queste donne hanno cercato la propria realizzazione cercando l'approvazione di un'altra persona, ma era quella sbagliata."
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E se Charles Manson fosse diventato un cantante famoso?
Nel film Charlie Says viene dato spazio alle aspirazioni musicali di Charles Manson: il rapporto con i Beach Boys, la creazione delle sue canzoni, la frustrazione di non riuscire a sfondare. Cosa sarebbe successo se Manson fosse diventato davvero una rock star? Per le attrici: "La sua volontà di essere un musicista e il rapporto con i Beach Boys è molto affascinante, così come la sua connessione con molte persone di Hollywood: non oso pensare cosa sarebbe accaduto se avesse avuto successo. Magari sarebbe stato un bene e gli omicidi non sarebbero avvenuti, o forse sarebbe andata ancora peggio."
Ragionandoci a mente fredda sembra impossibile che qualcuno si faccia plagiare al punto da commettere degli omicidi, eppure ancora oggi l'influenza di Manson si diffonde come una malattia, come dimostra questo aneddoto raccontato dalle tre attrici: "Mentre stavamo provando per una scena, ripetendo i suoi sermoni e le sue canzoni davanti a un bar, ci si è avvicinata una donna che ha detto: è Charlie? Faccio yoga ascoltando i suoi dischi, era un grande musicista. Siamo rimaste di sasso. È incredibile! All'inizio abbiamo pensato che fosse una cosa in pieno stile Los Angeles, poi abbiamo realizzato che è una cosa completamente folle e strana."
Ancora incredula Hanna Murray: "C'è una strana fascinazione per le persone che hanno ucciso: guardiamo documentari e ascoltiamo podcast, c'è una strana curiosità per gli assassini, che personalmente non mi diverte per niente. Il pericolo è che qualcuno li trasformi in degli idoli: è una cosa davvero strana. Quando abbiamo finito le riprese sono stata sollevata. Ho detto: non voglio pensare a Charles Manson mai più! Mi sentivo come se vivessi e respirassi solo Manson in quel periodo di tempo: nei weekend sentivamo la necessità di staccare completamente il cervello, era troppo. Credo che anche le persone alla fine del film si sentiranno così."
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La difficoltà di interpretare delle assassine
Nell'approcciarsi a donne che hanno realmente compiuto dei delitti, le tre attrici hanno dovuto affrontare diverse difficoltà: si tratta di assassine, che però a loro volta sono state vittime di violenze e abusi. Interpretarle è stato complesso, come detto da Murray: "Le vittime sono le persone che sono morte, ovviamente: ti si spezza il cuore nel vedere come queste persone abbiano perso la vita. Quindi è molto controverso usare la parola vittime per delle persone che hanno compiuto degli omicidi. Ma credo che, se si considerano gli abusi che hanno subito da Manson e la loro giovanissima età - Leslie aveva 19 anni quando si è unita alla Famiglia - credo che si possa provare un po' di empatia per loro. Leslie era una persona che stava cercando un significato più profondo e, mentre era impegnata in un personale viaggio spirituale, si è unita alla setta sbagliata: oggi magari sarebbe un'insegnante di yoga. Queste donne hanno riposto male la loro fiducia."
Un attacco alla mascolinità tossica
Nel film si vede come Manson, oltre ad aver usato massicce dosi di droghe, abbia fatto il lavaggio del cervello a queste ragazze sfruttando le loro debolezze, minando la loro sicurezza con abusi fisici e psicologici. A un certo punto nel film di Mary Harron una delle ragazze dice a un'altra: "Quando un uomo ti picchia è come se stesse facendo l'amore con te". Una mentalità completamente folle e sbagliata, che però purtroppo ancora oggi non è stata debellata: "Possiamo provare a cambiare questa mentalità raccontando storie come questa: bisogna parlare di mascolinità tossica, che è una cosa reale. Inoltre è fondamentale dare più forza alla voce delle giovani donne."
Non osiamo immaginare cosa sarebbe successo se Charles Manson avesse avuto accesso ai social media, uno scenario che ha messo i brividi alle attrici: "Erano continuamente sotto effetto di droga: le ragazze ne prendevano una dose molto più alta di Manson. Le loro menti erano facilmente manipolabili. Il lavaggio del cervello che Manson ha fatto a queste ragazze è stato quasi scientifico: lo ha fatto con metodo. Charlie era l'unica tra tutte quelle persone che sembrava sapere cosa stesse facendo: molte delle sue idee erano assurde, eppure quelle persone lo hanno riconosciuto come leader, perché tutto quello che faceva sembrava far parte di un rituale. In quanto esseri umani sembriamo esserne attratti, abbiamo quasi bisogno dei rituali: se qualcuno offre questo alle persone diventa immediatamente potente. Il carisma, unita a una visione del mondo per dogmi, con la ripetizione delle stesse cose a oltranza è un mix molto potente: attraverso i social media la voglia di essere amati emerge esponenzialmente. Ci sarà sempre qualcosa che crea dipendenza: le sette esistono ancora oggi. Sono passati 50 anni ma il tempo non ha guarito questa malattia. Religione, meditazione, yoga: sono tutte cose che sembrano darci la pace interiore. La setta di Manson all'apparenza faceva la stessa cosa, ma si è macchiata anche di abusi e violenze. Le persone venerano molte cose diverse."
"Nel film vediamo che il mio personaggio legge il Libro della Rivelazione: Manson ha preso molte cose da lì, ma poi ha aggiunto idee folli come uccidere delle persone e dare la colpa alla comunità di colore per scatenare una guerra razziale. Non abbiamo messo molto di questo del film perché è davvero difficile capirlo, il pubblico si sarebbe confuso perché davvero molto di quello che diceva non aveva senso. Diceva di essere il quinto Beatles e Gesù..."
I media e la loro ossessione per il corpo delle donne
In Charlie says vediamo come Charles Manson usasse continuamente il sesso e la percezione del proprio corpo delle ragazze per tenerle in una condizione di sudditanza psicologia. Con le dovute proporzioni, per le attrici è un po' quello che fanno anche i media nel parlare del corpo delle donne: "La pubblicità ci dice sempre che siamo troppo grasse e brutte, che per diventare belle e magre dobbiamo comprare un sacco di cose, che però poi non funzionano e quindi ne compriamo altre spendendo un sacco di soldi. È un circolo vizioso e malvagio! È una grandissima distrazione: siamo così concentrate sul nostro corpo e sull'immagine che diamo che finiamo per non valorizzare le nostre qualità. Spesso mi ritrovo a pensare: sei più intelligente di così, sei migliore di così. Da questo punto di vista è molto facile capire perché Charlie abbia trovato un terreno così facile giocando con le insicurezze di queste donne. Non è colpa nostra se siamo così concentrate sul nostro corpo: è perché ce l'hanno fatto pesare per tutta la nostra vita, molto tramite i media. Non possiamo evitarlo: è come se fossimo indottrinate. Possiamo cercare di non pensarci quanto vogliamo, ma è un pensiero fisso, è dentro di noi."