Benedetta Orsi ha vent'anni, gioca in difesa, ed è un punto fermo della squadra della sua città, il Sassuolo, che nel calcio femminile, come in quello maschile, oggi è un modello. Benedetta Orsi, insieme a Carolina Morace e Barbara Bonansea, è la protagonista della puntata dedicata all'Italia di Campionesse, docu-serie disponibile in streaming dal 2 dicembre, gratis e in esclusiva su Rakuten TV, nella collezione Rakuten Stories. Campionesse è un viaggio attraverso diciassette città europee e la storia di diciannove donne. Parliamo di tre generazioni di calciatrici di oltre otto nazionalità e che rappresentano sei paesi, di calciatrici che attualmente giocano per sei dei migliori club di calcio del mondo. Ognuna di esse ha una storia unica, ha affrontato sfide personali, sociali e culturali, ma sono tutte unite dalla stessa passione.
A rappresentare l'Italia sono Benedetta Orsi, difensore del Sassuolo e della nazionale, Carolina Morace, vera leggenda del calcio femminile in Italia e oggi allenatore della Lazio, e Barbara Bonansea, attaccante della Juventus e della nazionale. Campionesse ci piace per come alterna il campo al fuori campo, le immagini del calcio a quelle delle città dove vivono le campionesse, e come, in modo semplice, ci raccontano il passato e il presente di queste calciatrici. Accanto a Benedetta Orsi, per qualche sequenza, vediamo anche Betty Vignotto, la prima campionessa di calcio femminile in Italia, ambassador e presidente onorario del Sassuolo femminile. Il Sassuolo è stato tra i primi a prendere a livello femminile già una prima squadra, perché l'input della FIGC era di allestire solo una squadra di bambine. La prima squadra femminile del Sassuolo esiste già dal 2016-2017. È da qui che parte la nostra intervista con Benedetta Orsi.
Giocare con i maschi non ha mai rappresentato un limite
Che cosa significa per lei giocare nel Sassuolo? Che piazza è il Sassuolo femminile?
Il Sassuolo femminile segue le orme della squadra maschile, sia a livello di organizzazione che di storia. Entrambe sono partite dal nulla. Noi eravamo addirittura la Reggiana. Nel momento in cui è stato richiesto di avere una squadra femminile ai club maschili, il Sassuolo quando è subentrato è subentrato al 100% fin da subito, con tutti gli strumenti, i campi e tutto ciò che ci serviva per essere professioniste. È stata una crescita graduale, siamo cresciuti come se fossimo un dovere, per il maschile. Ma hanno sempre creduto in noi. E credo sia questo il motivo per cui stiamo facendo grandi risultati. La gente ci ha supportato fin da subito, anche se giocavamo a Reggio Emilia, al Mirabello, i tifosi erano presenti e tuttora quando giochiamo a Sassuolo ci sono tante persone che vengono a vederci, anche se non sono di questo mondo.
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Essere una ragazza in un mondo maschile non le ha mai dato problemi. Come ha vissuto la cosa?
In realtà non ho mai avuto la fortuna di giocare prima in una squadra maschile e poi in una femminile. Giocavo a tennis e non facevo parte di questo mondo. A calcio giocavo con gli amici senza società o campionati, era puro divertimento. Quando ho dovuto smettere con il tennis ho iniziato a giocare in una squadra parrocchiale vicino a casa mia e inizialmente era solo un gioco, spesso non eravamo neanche abbastanza ragazze in squadra per giocare una partita. Poi sono passata alla Reggiana dove le cose erano organizzate, c'erano le maglie, il campo sempre disponibile e gli allenamenti erano numerosi durante la settimana. Poi è arrivato il Sassuolo, la fase da professionista. In ogni caso, giocare con i maschi non ha mai rappresentato un limite, o un motivo di discriminazione. Anzi, probabilmente ero quella, calcisticamente parlando, più voluta da tutti.
Qualcuno le ha mai detto che non era uno sport per ragazze?
Più che persone che mi dicessero che era uno sport maschile c'era lo stupore. Quando dicevo: "io gioco a calcio", c'erano tutta una serie di domande. "Ma giochi con i maschi? "Giochi con le ragazze?" "Siete più maschi o femmine?". Non ho mai avuto qualcuno che abbia contrastato questo mio percorso. La mia famiglia in primis. Anche sentendo altre storie, sono stata fortunata.
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Senza quell'incidente di percorso non sarei mai passata al calcio
Che cosa vuol dire avere come presidente onorario una leggenda come Elisabetta Vignotto? Che consigli le ha dato?
Di consigli, a livello calcistico, me ne ha dati tanti. Ma credo che la differenza l'abbia fatta più nel cercare di inculcarci, anche quando eravamo dilettanti, quella voglia di essere professioniste e comportarci da tali. In qualsiasi situazione e in qualsiasi momento. Si tratta di cose come pulire gli scarpini dopo l'allenamento, cercare di mangiare sano prima delle partite, non fare i risvolti al pantalone della tuta perché magari era lungo. Era molto rigida su queste cose. Era vecchio stampo. Ma credo che sia questo che abbia fatto la differenza nell'entrare in questo professionismo che sta arrivando.
Pensa mai all'operazione alla spalla che ha fatto da spartiacque nella sua carriera? Senza sarebbe stata una tennista?
Ci penso tanto perché è la realtà dei fatti. Senza quel problema non mi sarei mai affacciata al mondo del calcio. Ma semplicemente perché all'epoca era poco conosciuto e perché era più semplice intraprendere un percorso in uno sport che come lo fanno gli uomini lo fanno le donne e viene percepito allo stesso modo. Il tennis mi piaceva e avrei continuato senza ombra di dubbio. Se non ci fosse stato questo incidente di percorso non mi sarei mai avvicinata al calcio.
Il calcio, rispetto al tennis, è uno sport che prevede il contato fisico. Dopo la convalescenza ha mai avuto paura nelle entrate, nei contrasti?
Dopo l'operazione ho fatto molta riabilitazione, ho preso coscienza della cosa, ho preso più fiducia, fisicamente parlando. Si trattava di una ferita aperta e niente di invalidante. Per il medico avrei potuto giocare a tennis nonostante l'intervento alla spalla. Si era raccomandato di scegliere uno sport dove non sono previste troppe botte. E io giustamente ho scelto lo sport meno fisico che esista! Non penso questa cosa mi abbia influenzato. Quando giochi non vai a pensare alla spalla.
Il sogno di diventare capitano
Alla sua età magari una ragazza ha voglia di divertirsi, avere del tempo libero. Il calcio le impone molte rinunce?
Sì, devo sacrificare tutto. Fare la calciatrice e farlo a questi livelli non significa assolutamente farlo come lo facevo agli inizi. Due allenamenti a settimana, non c'era professionismo, non c'era niente che mi impedisse di fare la mia vita normale. È normale che facendo la calciatrice come lavoro hai delle responsabilità, dei doveri, e di conseguenza ti dà tante soddisfazioni ma al tempo stesso ti leva tante libertà che altre amiche hanno: poter uscire quando vogliono, poter dire "mi organizzo un fine settimana", qualsiasi cosa sembra una cosa normale per noi non lo è perché abbiamo la settimana organizzata. Il tempo libero dove dedicarti alla vita privata è molto limitato. E ne soffro ma non ne soffro al tempo stesso, perché riesco a ritagliarmi i miei spazi. L'unico campo dove sono limitata è lo studio, perché non avendo tempo non posso dedicarmi ad altro, ho provato con scarsi risultati: mi ero iscritta all'università ma mi sono fermata dopo un paio di mesi. È il classico ragionamento che facevano a scuola: o studi o giochi a pallone. Credevo fosse una cosa inconcepibile, ma adesso, a questi livelli, è così
Quanto è forte il sogno di diventare il capitano del Sassuolo?
Non è il classico sogno che viene espresso da tutte le calciatrici... è molto più facile sentir dire "voglio raggiungere la nazionale", "voglio giocare competizioni importanti". Ma quelle magari arrivano da sé. Ma quando sei in una squadra che rappresenta anche la tua città, è doveroso sentire il bisogno di arrivare ad essere il pilastro fondamentale della squadra e della città. Sarebbe il coronamento di un percorso iniziato con questa società. È una cosa che oggi non è possibile, ma non tanto per qualità ed età. È più una questione di sentirsi pronti a farlo. Cose che non dipendono dalla giocatrice in sé. Nel momento in cui capiranno, o forse non lo faranno mai, che potrò rappresentare questa squadra e questa città appieno, quello sarebbe il mio sogno
Cosa le è piaciuto della confezione del documentario?
È bello che si veda il passaggio tra passato, presente e futuro, che si mettano insieme tre visoni differenti, tre modi diversi di vivere il calcio. Vedi il calcio femminile italiano, e non solo, a 360 gradi. Senti i pareri di persone che vengono da epoche diverse, che hanno passato cose diverse. Secondo me sarà utile alle persone per capire come è nato il calcio femminile in Italia, come tante persone lo hanno coltivato. Siamo fortunate noi giovani, e lo saranno in futuro tante bambine, a poterlo vivere in modo differente da come è stato vissuto grazie a tutti i passaggi che sono stati fatti in questi anni.