"Perché dovrebbe farlo? Come può una terrorista che ha partecipato al sequestro convincersi in meno di due mesi..." "Ma tu perché vuoi sempre una spiegazione logica? Perché di colpo ha orrore dell'assassinio! Perché non ci crede più! Anzi, lei si infuria con se stessa per essere stata così cieca e così stupida! Deve fare qualcosa..."
Il volto di Maya Sansa, su cui si riflettono determinazione, rabbia e inquietudine, è lo specchio attraverso il quale sono rievocati i fatidici cinquantacinque giorni della prigionia di Aldo Moro, dal sequestro del 16 marzo 1978 in via Fani al ritrovamento del cadavere del Presidente della Democrazia Cristiana. Evento spartiacque della lunga "notte della Repubblica", il caso Moro avrebbe segnato un punto di rottura nella storia politica italiana: il tramonto del compromesso storico, l'inizio del declino per il terrorismo rosso, ma anche una simbolica "perdita dell'innocenza" che avrebbe scosso le fondamenta della fiducia nei confronti dello Stato. Un'epoca che nel 2003, a venticinque anni di distanza da quei fatti, sarebbe stata raccontata magistralmente da Marco Bellocchio in uno dei suoi capolavori, Buongiorno, notte, con una coraggiosa miscela fra cronaca politica e una prospettiva più intima e personale.
A quasi vent'anni di distanza da Buongiorno, notte, presentato in concorso e premiato per la sceneggiatura alla Mostra del Cinema di Venezia (e al centro delle polemiche per la mancata assegnazione di un riconoscimento più prestigioso), Bellocchio torna a parlare del caso Moro in un'altra opera che, fin dal titolo, rimanda al suo film precedente: Esterno notte, un dittico che arriverà nelle sale italiane diviso in due parti, la prima il 18 maggio (in contemporanea con la proiezione al Festival di Cannes) e la seconda il 9 giugno, per poi approdare in autunno sulla RAI in tre episodi. Un progetto inevitabilmente molto atteso, dopo il vasto successo de Il traditore (quasi ottocentomila spettatori in Italia nel 2019 e sei David di Donatello), e la cui uscita offre anche l'occasione di riapprezzare quel primo cimento del regista emiliano con la vicenda di Aldo Moro.
Marco Bellocchio e gli anni di piombo
Se il cinema di Marco Bellocchio è percorso spesso da una componente onirica e surreale, che talvolta affiora a increspare il realismo della narrazione, la concessione al fantastico, alla licenza rispetto alla fedeltà storica, è uno dei presupposti di Buongiorno, notte, a partire dalla sua protagonista. Chiara, giovane componente delle Brigate Rosse, allude alla figura di Anna Laura Braghetti, complice del rapimento di Aldo Moro e co-autrice del libro Il prigioniero, che ha costituito la base della sceneggiatura; a interpretarla nel film è la ventisettenne Maya Sansa, che proprio Bellocchio aveva fatto esordire quattro anni prima ne La balia. La mattina del 16 marzo la vediamo in nervosa attesa in un appartamento di Roma, prima davanti al televisore, poi mentre sussulta all'udire il rumore degli elicotteri della polizia, segno inequivocabile che qualcosa è accaduto, che non si può più tornare indietro.
Fin dalle prime sequenze, Bellocchio rifiuta l'approccio da docu-drama che aveva caratterizzato, nel 1986, Il caso Moro di Giuseppe Ferrara, con Gian Maria Volonté. Buongiorno, notte non punta a sfidare l'iconicità delle immagini e dei filmati dell'agguato di via Fani (le auto crivellate di proiettili, i corpi riversi in strada); semmai prende in prestito i documenti di repertorio, insieme a spezzoni di notiziari e varietà televisivi, inserendoli a corredo di una pellicola che, più dei fatti veri e propri, sembra interessata a indagare le motivazioni dei brigatisti, gli umori culturali degli anni di piombo e le crepe pronte ad aprirsi in un'ideologia antisistema che mostrerà tutta la sua fragilità. Una fragilità che, per l'appunto, prende forma nello sguardo sempre in tensione della Chiara di Maya Sansa, la cui apparente durezza (il tentato rifiuto di badare al figlio neonato della vicina di casa, l'ostentata indifferenza verso il collega Enzo) verrà scalfita da dubbi, ossessioni e rimorsi sempre più incalzanti.
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L'immaginazione ci salverà?
Qual è il ruolo di Chiara nella società del suo tempo? L'adesione alla lotta armata e la crociata contro il "potere democristiano" sono la vita che la ragazza si è scelta, in quella famiglia d'adozione capeggiata dal risoluto Mariano di Luigi Lo Cascio; ma Chiara mantiene ancora dei legami con la sua famiglia d'origine, che si riunisce in una luminosa domenica di primavera per ricordare l'eroismo della Resistenza sulla melodia dell'inno antifascista Fischia il vento. Buongiorno, notte è innanzitutto il dramma di una donna sospesa fra due dimensioni che si somigliano solo in superficie: il glorioso passato partigiano dei parenti di Chiara non ha nulla a che spartire con la violenza e i rabbiosi proclami delle BR, come le fa osservare il bibliotecario Enzo di Paolo Briguglia. Sarà proprio la tenerezza un po' sfrontata del giovane nel rivendicare che "l'immaginazione è reale" a innescare la crisi morale di Chiara, suggerendole che forse un altro finale è possibile.
Mentre a Paolo Briguglia è affidato un personaggio dai tratti quasi allegorici nella sua schiettezza così limpida e affettuosa, il polo opposto della crisi di Chiara è incarnato dall'Aldo Moro di un superbo Roberto Herlitzka, il cui ritratto del leader della DC risulta ancor più autentico e dolente per l'assenza di virtuosismi mimetici. Per Chiara, Moro è una presenza quasi fantasmatica: un'immagine distorta spiata dal buco della serratura; la voce proveniente da una cella per fare appello a residui di umanità e di compassione (dei brigatisti, ma anche dei membri delle istituzioni, refrattari a ogni ipotesi di trattativa); l'uomo che di notte abbandona il suo nascondiglio ed esce dall'appartamento di via Montalcini, incamminandosi in una Roma deserta alle prime luci dell'alba. Ma se l'attacco di Shine on Your Crazy Diamond accompagna questo sogno di libertà e di redenzione, è sempre sulle note dei Pink Floyd che Bellocchio giustappone le riprese del funerale di Moro: a ricordarci che purtroppo, come sosteneva Chiara, "L'immaginazione non ha mai salvato nessuno".