"Mai" è una brutta parola. Non lascia speranze, denota una chiusura definitiva e senza appelli. Dimostra, soprattutto, chiusura mentale quando pronunciata con spregio o sufficienza in risposta al suggerimento di provare qualcosa, che sia un piatto esotico, un libro, un film o una serie. "Mai" è la risposta di chi ha già deciso, senza nemmeno un curioso assaggio, che qualcosa non fa per lui, per un'idea costruita sul sentito dire o, nel migliore dei casi, su un rapido sguardo e valutazioni sbrigative e superficiali. A volte per un atteggiamento un po' snob che ci fa sentire superiore a quel qualcosa che ci è stato proposto.
"Mai" è la risposta che ci siamo sentiti dare più di una volta nell'ultimo mese quando abbiamo deciso di omaggiare una serie che amiamo e rispettiamo come Buffy - L'ammazzavampiri, quando abbiamo suggerito, a chi ancora non la conosceva, di provare a guardarla. Non per far contenti noi, ma per il bene loro. E non perché riteniamo che sia una pietra miliare della relativamente breve storia della televisione, e in quanto tale sarebbe bene conoscerla, ma perché con slancio altruistico ci piacerebbe che anche altri provassero le emozioni che la serie di Joss Whedon ci ha lasciati nel cuore, ancora vive e calde nei giorni in cui la serie compie i suoi primi vent'anni.
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Perché questa diffidenza?
Eppure una diffidenza c'è, è inequivocabile, e non vogliamo liquidarla con superficiale semplicità, piuttosto cerchiamo di comprenderne le motivazioni. Va detto che Buffy è arrivata in TV nel 1997 con un biglietto da visita poco accattivante, ovvero il brutto film sceneggiato dallo stesso Whedon ma distrutto da Fran Rubel Kuzui. Se qualcuno ha avuto modo di guardare quella pellicola datata 1992, i primi zoppicanti episodi di Buffy possono diventare la conferma di dubbi già esistenti. E a poco serve quel "devi solo superare la prima stagione" che un po' tutti diciamo ai novizi, perché può avere l'effetto contrario di scoraggiare ulteriormente.
C'è poi il tema, semplice e fumettoso della prescelta per combattere vampiri e mostri, un'idea che nel mondo dei comics è più comune, seppur spesso coniugata al maschile, e che può evocare sensazioni e impressioni ben diverse da quello che la serie di Whedon è e diventa col passare del tempo. Se poi avete avuto la sventura di iniziare la visione in italiano, peggio ancora guardando qualche frammento facendo zapping ed indugiando su Italia 1 che nel 2000 ne ha iniziato la programmazione nostrana giusto il tempo di ascoltare dialoghi mal tradotti e vedere un mostro plasticoso, il gioco è fatto: difficilmente sceglierete di iniziare il vostro viaggio verso Sunnydale.
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Perché Buffy?
A tutti quelli che nonostante tutte queste incertezze hanno la curiosità di capire, di chiedere un semplice "perché dovrei guardare Buffy?", di risposte ne avremmo tante. Ne abbiamo parlato in diretta, l'abbiamo scritto in numerosi articoli in questi giorni, ma proviamo a ripeterlo e sintetizzarlo. Da una parte per l'importanza nel panorama televisivo contemporaneo: senza Buffy (e senza Whedon, ovviamente), non avremmo avuto serie come Dark Angel o Alias, né tutti i personaggi femminili forti che hanno costellato il cinema e la TV degli ultimi due decenni, perché la Slayer (o Cacciatrice che dir si voglia) di Sarah Michelle Gellar è l'icona del Girl Power, uno dei primi personaggi femminili forti del mondo della televisione.
In secondo luogo per il valore narrativo della serie, per la maturità abbinata alla carica emotiva, per la capacità di divertire e commuovere (a volte quasi contemporaneamente) nel seguire l'evoluzione e crescita (letterale, dall'adolescenza all'età adulta) dei protagonisti. Per i personaggi, tutti i personaggi e non solo l'eroina del titolo che è attorniata da una banda di figure memorabili, da Willow al suo mentore Giles, dal tenebroso Angel all'altra Cacciatrice Faith e al meraviglioso Spike: figure di uno spessore tale da poter sorreggere una serie propria a loro volta (ed Angel l'ha fatto, nello spin-off che da lui prende il nome, mentre altri hanno avuto l'onore di episodi che li hanno messi in primo piano, dando loro la meritata ribalta). "Dovete solo superare la prima stagione", lo ribadiamo, perché serve a superare quella fase di assestamento e transizione, in cui la visione di Whedon ha preso definitivamente forma.
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Un mito replicabile?
Se ancora non vi abbiamo convinti, ci giochiamo un'ultima carta: tendiamo a pensare che fenomeni come quelli di Buffy siano ormai difficilmente replicabili, che miti o icone come lo sono stati il personaggio della Gellar o Mulder e Scully è difficili che si ripresentino. Per creare un mito c'è bisogno di pubblico e tempo ed è difficile che oggi, data la vastità e frammentazione dell'offerta, le due cose possano presentarsi contemporaneamente: il pubblico si può conquistare col tempo, ma quel tempo raramente viene concesso senza avere abbastanza pubblico. Più semplice che si dia spazio e sostegno ad opere derivate da fonti già esistenti, come fumetti, romanzi, film, piuttosto che all'idea originale di un autore. A meno che non sia lo stesso Whedon, che ha alle spalle una storia ed un potere che gli consentirebbero di avere carta bianca per creare quello che gli pare, almeno nelle sedi giuste. La speranza è che accantoni l'idea di lavorare presso uno dei principali network, che gli darebbero mezzi ma non libertà, e si rivolga a realtà nuove (Amazon, Netflix o chi per loro), pronte a dirgli l'unica parola che ha bisogno di sentirsi dire: "stupiscici!" Siamo sicuri che saprebbe farlo di nuovo.