Recensione FBI: Protezione testimoni 2 (2004)

Sebbene i circa novanta minuti di durata scorrano via senza che noi spettatori ce ne accorgiamo, il risultato finale è piuttosto prevedibile, e tutta questa comicità logorroica, infarcita per lo più di battute facili, a lungo andare finisce per stancare.

Bruce & 'Friends'

Nel 2000 Jonathan Lynn, regista di Mio cugino Vincenzo (1992) e Signori, il delitto è servito (1985), ci propose FBI: Protezione Testimoni, commedia poliziesca che vedeva Matthew Perry, star del telefilm Friends, nei panni di Oz, dentista in attesa del divorzio, e Bruce Willis in quelli di Jimmy "Tulipano", killer professionista con una taglia sulla testa, entrambi ricercati da qualcuno che voleva eliminarli.
Oggi, a due anni di distanza da quello strepitoso successo, Willis e Perry tornano, nuovamente affiancati da Amanda Peet (Identità), Natasha Henstridge (Specie mortale) e Kevin Pollak (I soliti sospetti), nel sequel FBI: Protezione Testimoni 2 (in originale The Whole Ten Yards), al cui timone di regia troviamo questa volta Howard Deutch, autore, tra l'altro, di diversi episodi del serial horror televisivo Tales from the Crypt e delle teen-comedy Un meraviglioso batticuore (1987) e Bella in rosa (1986).

Oz è a Beverly Hills quando sua moglie Cinthya, ora incinta, viene rapita da Franckie Figs, che credevamo morto nel primo film, il quale esegue gli ordini del boss criminale di Chicago Lazlo Gogolak. L'intento di Lazlo è quello di spingere Oz a ricontattare Jimmy, il quale è in possesso di dieci milioni di dollari rubatigli. Però Jimmy, convinto che in realtà Lazlo voglia ucciderlo, decide di mandare a Los Angeles, al suo posto, l'amica Jill. Inoltre si ritrova in preda ad un forte stress emotivo dopo aver scoperto di essere sterile.

La pellicola apre all'insegna della risata con una sequenza che, scandita da un montaggio notevolmente frammentato e permeata di un particolare humour nero che ricorda il Quentin Tarantino di Pulp Fiction, vede Amanda Peet intraprendere una divertente conversazione con Bruce Willis. Ci viene quindi poi riproposto il personaggio imbranato di Matthew Perry e si prosegue con una sequela di situazioni ed individui che sembrano presi in prestito dai cartoni animati (su tutti Lazlo/Kevin Pollak, con un ridicolo accento russo).

L'intero lungometraggio, come il precedente capitolo, fonde momenti comici, all'insegna della follìa a tutti i costi, come si può già semplicemente intuire dalla trama, e vicenda da thriller poliziesco, basandosi soprattutto su equivoci e situazioni esilaranti, tra cui potremmo citare almeno quella del bagagliaio dell'automobile. Spalleggiato dal divertente Perry, Bruce Willis affronta la vicenda con la solita, invariabile espressione che da ormai circa vent'anni ci accompagna nei suoi film. E sebbene i circa novanta minuti di durata scorrano via senza che noi spettatori ce ne accorgiamo, il risultato finale è piuttosto prevedibile, e tutta questa comicità logorroica, infarcita per lo più di battute facili, a lungo andare finisce per stancare. D'altra parte, nel reparto produzione troviamo due nomi noti dei peggiori c-movies: >Joseph Merhi, regista di vere e proprie polluzioni su celluloide quali Mayhem (1986) e Freshkill (1987), e Andrew Stevens, figlio dell'attrice Stella, apparso in circa settanta lungometraggi che spaziano dal mainstream (Fury) al trash più puro (Il mio amico Munchie).

Nonostante tutto, il pubblico sembra apprezzare questa (almeno per ora) mini-serie. Questione di gusti.