Un bel giorno senza dire niente a nessuno me ne andai a Genova e mi imbarcai su un cargo battente bandiera liberiana. Feci due volte il giro del mondo e non riuscii mai a capire che cazzo trasportasse quella nave, ma forse un giorno lo capii: droga!
È il monologo cult di un vero film cult. Avrete capito immediatamente che stiamo parlando di Borotalco, il terzo film di Carlo Verdone. Il 22 gennaio del 1982 usciva nelle sale, e si capì subito che sarebbe stato un grande successo. E pensare che, prima di girare il film, Carlo Verdone stava pensando di lasciare il cinema. Borotalco coglie il Verdone sceneggiatore e attore in stato di grazia, contornato da una serie di attori scelti alla perfezione, e con le musiche di Lucio Dalla a fare non solo da colonna sonora al film, ma da motore della storia. Borotalco è uno di quei film che, ogni volta che passano sullo schermo di una tv, che sia generalista o una piattaforma di streaming, è impossibile non fermarsi a guardare. Lo si vede e lo si rivede, recitando le battute a memoria, insieme a chi è con noi, in una sorta di rito collettivo. Borotalco ha quarant'anni, ed è invecchiato benissimo. È un film straordinariamente attuale.
Sergio, Nadia, Manuel Fantoni e I Colossi della musica
Sergio Benvenuti (Carlo Verdone) è fidanzato con Rossella (Roberta Manfredi). Lei vorrebbe sistemarsi, e così desidera suo padre, Augusto (Mario Brega), che ha in mente di lasciare loro il suo negozio di alimentari. Sergio però vorrebbe ingranare con il suo lavoro, quello di venditore porta a porta per l'azienda I colossi della musica. Non è un granché, come venditore: così chiede a Nadia Vandelli (Eleonora Giorgi), una che sta facendo grandi numeri, di incontrarla per farsi dare qualche consiglio. Lei gli propone un incontro nel luogo del suo prossimo appuntamento, il lussuoso attico di un architetto di nome Manuel Fantoni (Angelo Infanti). Nadia non si presenta. Così Sergio conosce Manuel e rimane affascinato dai suoi racconti. Tanto che, quando si presenta l'occasione, pensa di sostituirsi a lui.
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Grazie a Pasquale Ametrano
Comico, romantico, scoppiettante, anche sottilmente drammatico, Borotalco è il film più importante di Carlo Verdone. È lui stesso a dire così. Dopo i suoi primi due film, Un sacco bello e Bianco, rosso e Verdone, Sergio Leone, che li aveva prodotti, e Medusa erano molto contenti. Leone però aveva altri progetti e non era in grado di seguire più Verdone. Il contratto non fu rinnovato, ma nessuno lo disse al regista e attore romano: c'erano solo i giorni che passavano e un telefono che non squillava. Verdone pensò che la sua carriera al cinema fosse finita lì. Pensò anche di tornare all'università e andò a cercare il suo professore di storia delle religioni. Ma scoprì che si era suicidato. Sembrava la trama grottesca di uno dei suoi film. Eppure poi il telefono squillò: era Mario Cecchi Gori che aveva visto, in ritardo, Bianco, rosso e Verdone: era rimasto affascinato da un personaggio, Pasquale Ametrano, l'emigrante che resta muto per tutto il film per poi sfogarsi alla fine. Cecchi Gori, però, disse a Verdone di puntare su un unico personaggio.
Un film leggero come una nuvola, come Borotalco
Borotalco è questo, il primo film di Verdone che non è a episodi, che non punta su quelle maschere che si portava dietro da anni, dai suoi show teatrali e televisivi, e che erano un appiglio rassicurante. Fare un film con un personaggio unico, un film più classico, voleva dire avere una storia forte, personaggi e snodi credibili, più approfonditi, voleva dire mettersi la faccia senza nascondersi dietro tic e parrucche. Insomma, era tutto un altro mondo, l'incontro con il cinema vero e proprio. Verdone ci mise un anno, e sei soggetti, prima di trovare l'idea giusta. Il titolo venne fuori un po' per caso, mentre Verdone spiegava l'idea a Eleonora Giorgi, che sarebbe stata la protagonista femminile, al telefono. "È un film leggero come una nuvola, come borotalco". Cecchi Gori fu subito convinto dal titolo, disse "mi piace, titolo geniale". Ma non sapeva che la Manetti & Roberts fu subito pronta a fare causa alla prodizione. Si fermò però di fronte al successo del film.
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Il cargo battente bandiera liberiana
Borotalco è un film che si ricorda per la trama, per gli attori, ma anche e soprattutto per alcune battute cult. Il monologo del cargo battente bandiera liberiana è nella storia del cinema comico italiano. "La frase mi venne in mente perché faceva parte di un monologo che avevo fatto anni prima in radio" ha raccontato di recente Verdone in tv. "Così lo ripresi e lo affidai a Manuel Fantoni. Certamente non so dire perché queste frasi rimangano poi nell'immaginario del pubblico". Rimangono perché dentro c'è del genio, una certa dose di nonsense, immagini evocative. C'è un autore in stato di grazia. Perché le battute di Borotalco e le scene cult sono di livello altissimo.
Una serie incredibile di battute cult
"Me so dovuto buttà dar treno a Maccarese" dice Sergio, ancora in giacca bianca come da ruolo, una volta assunta l'identità di Manuel per conquistare Nadia, al compagno di stanza Marcello (Christian De Sica) che lo ha spinto a prendere un treno da Roma a Parigi per mantenere la finzione che ha messo in piedi. "Ciao Lucio... stai stai stai" che Sergio dice, davanti a un cane ringhioso, nella roulotte di Lucio Dalla, fingendo di parlare con lui e di consegnargli la canzone che ha scritto Nadia. "Secondo te di che segno è Dio ?", dice una riflessiva Nadia a quello che ormai crede sia Manuel e di cui crede di essersi innamorata. "...ma Dio è tutto indecifrabile" risponde serioso lui, ormai nel personaggio. "Ma tu vuoi mettere Cuticchia Cesare con Manuel Fantoni? Non senti come appoggia bene" dice Angelo Infanti, ormai svelata a Sergio la vera identità. E potremmo andare avanti all'infinito.
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Mario Brega, le olive greche e le scarpe a Via Veneto
Ma c'è una scena che è un vero film nel film. è l'incontro tra Sergio e il suocero Augusto, interpretato da Mario Brega, per la terza volta consecutiva accanto a Verdone. Suadente e minaccioso, paterno e inquietante, Augusto prima fa assaggiare a Sergio quel prosciutto che è "dolce, un zucchero" e di quelle olive che "assaggiale, so greche!" "Allora, come so?" chiede a uno spaesato Sergio. "Sò bone, sò greche", risponde lui. Mario Brega andava spesso da Leone e arrivava con cassette di frutta e verdura, e gliele faceva assaggiare con le mani, proprio come fa con Verdone nel film. Ma poi Augusto vuole capire se il ragazzo ha intenzioni serie. Per fargli capire quanto tenga alla figlia, gli racconta di quel giorno in cui l'aveva portata a prendere un paio di scarpe a Via Veneto, e due malintenzionati avevano osato fare un commento su di lei. "M'ha dato un cazzotto in bocca. Me lo so guardato, ho sputato e j'ho detto: manco er sangue m'hai fatto uscì. J'ho dato un destro in bocca, m'è cascato pe' terra come Gesù Cristo. J'ho rotto er setto nasale, j'ho frantumato le mucose e je dicevo: arzate, a cornuto, arzatee! Era pieno de sangue, a ettolitri. Me lo so guardato, me so girato, me so risistemato la giacca Mi fija m'ha detto: che è successo? Niente, due de passaggio. Namo a comprà le scarpe". Quel racconto è un episodio realmente accaduto nella vita di Brega, una rissa con l'attore americano Gordon Scott durante le riprese del film western Buffalo Bill - L'eroe del Far West, che Brega amava raccontare spesso.
Un cast perfetto: Christian De Sica, Eleonora Giorgi, Angelo Infanti e Isa Gallinelli
Brega fu lasciato libero di improvvisare e così nacque una scena storica. È anche quando certi tasselli vanno al posto giusto un po' per caso che nascono i grandi film. Mario Brega è la punta di diamante di un cast che annovera Eleonora Giorgi, spumeggiante come una classica ragazza degli anni Ottanta, che non abbiamo mai visto così bella e affascinante; Christian De Sica nel ruolo di Marcello, ragazzo burino con velleità artistiche (è memorabile il numero in cui, insieme a Verdone, canta una vecchia hit degli anni '60, On Broadway dei Drifters, con il suo dialetto a metà fra il napoletano ed il ciociaro). E poi c'è Angelo Infanti, affascinante playboy al cinema e nella vita, che Carlo aveva conosciuto grazie a Sergio Leone, nei panni di Cesare Cuticchia/Manuel Fantoni: per il ruolo si era pensato a Vittorio Gassmann, ma Verdone aveva sempre lavorato con attori poco conosciuti e scelse Angelo. E ancora, Isa Gallinelli, la coinquilina di Nadia con cui parla solo di sesso e di uomini ("fatte servì") e Roberta Manfredi, la fidanzata di Sergio, che in fondo è una sorta di Furio al femminile ("quante volte ti ho detto che tu i vestiti te li devi venire a comprare con me").
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Moana Pozzi, Troisi e il nudo
In Borotalco c'è anche una giovane Moana Pozzi, non ancora diventata una star del cinema hard: fa la parte di una ragazza straniera che accoglie Sergio a casa di Manuel, ed è anche la pin-up raffigurata in un poster nella camera di Sergio e Macello. Verdone l'aveva incontrata a casa di Massimo Troisi, e la ritrovò facendo i sopralluoghi per la casa di Nadia nel film, a Trastevere. Visitando la casa, non si vedeva la camera in cui dormiva una delle coinquiline, alle 12.30. Era la ragazza a casa di Troisi, e indossava solo un paio di slip. Verdone le offrì una parte e, in ufficio il giorno dopo, le disse che era quella dell'amante che si fa la doccia. "Nessun problema con il nudo" risposte Moana. E non poteva essere altrimenti.
Lucio Dalla e la causa
La Manetti & Roberts non fu l'unica a pensare di fare causa a Cecchi Gori e Verdone per Borotalco. Ci aveva pensato anche Lucio Dalla. Ma facciamo un passo indietro: Lucio Dalla e gli Stadio sono molto più che la colonna sonora di Borotalco. Lucio Dalla è l'idolo di Nadia, ed è il motivo che la spinge da Sergio/Manuel, che finge di conoscerlo e di portargli una canzone scritta da Nadia. Con Dalla, gli Stadio e il loro tastierista Fabio Liberatori si decise di evitare "marcette, tristi clarinetti, sottolineature grottesche, armonie goffe e povere, melodie scadenti" che all'epoca erano la norma per le commedie. Degli Stadio ascoltiamo Chi te l'ha detto? e Grande figlio di puttana: proprio per inserire questa canzone sui titoli di coda si decise di modificare il finale del film. Lucio Dalla, invece, firma i brani Cara, L'ultima luna (è la canzone dei i titoli di testa) ed estratti strumentali di Meri Luis e Futura. La canzone che Eleonora Giorgi cerca di far recapitare a Dalla è Un fiore per Hal (testo di Lucio Dalla e musica di Fabio Liberatori, voce di Ricky Portera, il chitarrista degli Stadio): la ascoltiamo nella scena finale. Ma l'oggetto del contendere finì per essere il poster del film, in cui il nome di Lucio Dalla era enorme, e quello di Verdone piccolissimo. "Non si fa così. Ora vedo il film, se non mi piace ti faccio causa" disse Dalla a Verdone. Ma il film fu un successo, Dalla lo vide in una sala strapiena, seduto per terra. E tutto andò a posto.
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Manuel Fantoni e la galleria di mitomani
In un incontro con il pubblico di tanti anni fa, Carlo Verdone ribadì ancora una volta l'importanza di quel film. Erano passati tanti anni, oggi ne sono passati ancora altri, e Borotalco ci sembra sempre attualissimo. Perché parla della mitomania, del nostro desiderio di essere qualcun altro: più sicuro di sé, più affascinante, più sexy, più di successo. Di essere qualcuno che possa essere ammirato, se non amato, che è un modo per non sentirsi soli. Negli anni Ottanta bastava un accappatoio, o "una camicia che ho comprato a Saigon, con la quale non puoi toppare", fumare la sigaretta in un certo modo. Bastava inventarsi una storia, chiacchierare, chiacchierare, consapevoli che "sò tutte fregnacce". Oggi ci sono i social media, ci sono le immagini più che le parole, ma c'è sempre quella voglia di raccontarla più grossa di quello che è. La dinamica, la voglia che anima tutto questo, è la stessa. Vi immaginate come sarebbe la storia di Borotalco oggi, ai tempi dei social? Certo, un film così oggi non si potrebbe più fare. "Oggi non si potrebbe girare Borotalco, non ci sono l'atmosfera e l'ottimismo di quell'epoca, oggi siamo impauriti" ha dichiarato di recente Carlo Verdone.
Manuel come Enzo, Oscar e Armando
Manuel Fantoni, uomo dai trascorsi leggendari e dalle amicizie sterminate, il cui spirito permea prima il personaggio di Cesare Cuticchia, cioè Angelo Infanti, e poi quello di Sergio Benvenuti (a proposito, il nome è un omaggio a Sergio Leone e allo sceneggiatore Leonardo Benvenuti) è in buona compagnia tra i mitomani della carriera di Carlo Verdone. C'era stato Enzo, il ragazzo che sognava le vacanze a Cracovia e raccontava le sue avventure ai portantini dell'ospedale in Un sacco bello, e ci sarebbe stato Oscar Pettinari, l'aspirante attore di Troppo forte che faceva la stessa cosa con le comparse a Cinecittà. Ci sarebbe stato, parecchi anni dopo, Armando Feroci, mattatore di Gallo Cedrone, che millantava una discendenza da Elvis Presley. E ancora, Verdone avrebbe trasferito ad altri personaggi questa caratteristica: ne L'amore è eterno finché dura c'è un personaggio bellissimo, la mitomane di Gabriella Pession che incontra Carlo allo speed date.
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A proposito di donne
A proposito di donne, l'attualità di Borotalco sta anche in questo elemento. È un racconto dove i ruoli in qualche modo sono ribaltati, una cosa che, al cinema, sarebbe arrivata solo molti anni dopo. Non sono più gli anni Sessanta e Settanta dei conquistatori un po' malandrini come Tognazzi e Gassman. Gli uomini ora sono insicuri, impacciati, titubanti, e i grandi conquistatori, come Manuel Fantoni, in fondo sono solo un simulacro, una finzione di quelli che furono. Ad avere una marcia in più sono le donne come Nadia, intelligenti, indipendenti, intraprendenti. Se Carlo Verdone ci sta leggendo, sappia che, anche se un nuovo Borotalco oggi non è possibile, ci piacerebbe trovare tutto questo nel suo nuovo film. Il ruolo delle donne oggi, la mitomania, la società dell'apparire e dei social. Oggi sarebbe tutto molto più amaro. Ma sarebbe di certo un grande film. E Carlo Verdone può farlo.