L'amore furioso fino all'osso (e tutto il resto), la solitudine umana e un viaggio dalle vibranti sfumature dietro Bones and All di Luca Guadagnino. Prima, però, partiamo da una curiosità. Se cercate su Google "The Great Communicator" i primi due risultati che spuntano fuori sono abbastanza emblematici, nonché diversi. Diversi ma fino ad un certo punto, perché tutti e due i soggetti sfruttano - o hanno sfruttato - la potenza delle immagini e/o delle parole. Bansky, con una mostra che ne sottolinea la sua comunicazione e, soprattutto, Ronald Reagan. Al primo posto tra i risultati web c'è proprio la sua Fondazione, che in home page ci tiene a sottolineare quanto il 40° Presidente degli Stati Uniti d'America fosse "Conosciuto come il Grande Comunicatore. I suoi discorsi illustrano il potere di un'efficace comunicazione presidenziale. Alcuni di questi discorsi si collocano tra gli speeches storicamente più significativi nella storia del Paese".
Senza dilungarci troppo, Reagan, in pensione dopo una discreta carriera ad Hollywood (a proposito di comunicazione), si affacciò alla politica: prima Governatore della California e poi inquilino della Casa Bianca, dal 1981 al 1989. Un decennio cruciale, che cambiò di netto la concezione sociale, culturale e ovviamente politica degli States. Dicevamo le immagini, dicevamo le parole: uno degli obbiettivi di Reagan era ridurre la pressione fiscale, facendo accrescere l'economia. Come? Agendo sulla liberazione e sul concetto liberale, che riassunto potrebbe essere "ognuno per sé, Dio per tutti". Nel farlo, incessanti campagne di comunicazione. Insomma, Reagan era sempre in tv. Altro he Twitter.
E qui la domanda che vi starete ponendo: cosa c'entra, Reagan, con Bones and All? Tutto. Ogni politica aggressiva, che riduce la spesa pubblica, si riversa sui ceti sociali più bassi, creando delle enormi voragini. Voragini come quelle in cui finiscono Maren e Lee, alle prese con una solitudine dettata dalla loro condizione di emarginati all'interno del mondo "normale" e all'interno della comunità cannibale di cui fanno dolorosamente parte. Siamo a metà degli Anni Ottanta, e c'è una totale disconnessione che taglia in due il Paese. New York e Los Angeles sono l'incipit di una possibile illusione, e solo lì, nel Midwest più verace, c'è l'esatta fotografia di un Paese arrabbiato, sfilacciato, ossessionato. Guadagnino, che sognava da anni di dirigere un film che avesse per cornice gli Stati Uniti rurali, ha trovato il materiale necessario nell'omonimo romanzo di Camille DeAngelis, ambientato per la maggior parte nel Midwest, nonostante alcune città siano per lo più immaginarie.
Il Midwest come palcoscenico
Alla sceneggiatura di Bones and All troviamo David Kajganich (già autore di Suspiria e di A Bigger Splash) che, raccontando il film, ha spiegato quanto sia legato a certi scenari: "Sono cresciuto in una zona rurale dell'Ohio, e ho girato il Midwest. Un paesaggio bello e aspro. Nel giro di un minuto ti ritrovi nel bel mezzo del nulla". Proprio seguendo questa direzione, l'elegante messa in scena di Guadagnino, che si incastra con una luminosa narrativa, gioca sui contrasti e sulle armonie dei personaggi in relazione al paesaggio, alternando i diversi punti di vista della storia. Ed è proprio il Midwest il co-protagonista onnisciente del film, tracciato e rintracciato da Guadagnino tramite la scia di amore e sangue lasciata da Maren e Lee (e i rispettivi ruoli sembrano davvero scritti sulle corde di Taylor Russell e Timothée Chalamet).
Una traduzione immaginifica e dal forte sapore cinematografico (sapore impreziosito dalla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross), che si rifà proprio ad un immaginario preciso. Il tutto, dipinto come se fosse una sorta di horror disfunzionale, agitato e romantico. L'ambiente sociale e geografico eleva gli aspetti più inquieti di Bones and All, soprattutto perché siamo nel bel mezzo degli anni Ottanta: la vastità degli Stati Uniti concentrata nell'epopea di Maren, che inizia il suo percorso da Baltimora a Fergus Falls, Minnesota, con in mano i soldi per un biglietto dell'autobus che ha per destinazione Columbus, Ohio. Da lì viaggia attraverso Indiana, Kentucky, Missouri e Iowa. Non propriamente la Sunset Boulevard o l'Upper West Side.
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L'epoca ruggente di Ronald Reagan
L'istantanea è palese, ed è necessaria a spiegare quanto sia fondamentale (anche) la visione politica che hanno voluto dare Guadagnino e Kajganich ad un racconto la cui costante è l'identità negata. In questo modo, l'epoca ruggente di Ronald Reagan, basata proprio sull'individualismo, viene decostruita della sua stessa potenza comunicativa. Benché la presenza di Reagan sia perpetua nel film (alla radio che gracchia, nelle tv che girano a vuoto) non vediamo mai la sua rinascita economica, anzi si notano le storture, le ingiustizie, le disparità. È stato lo stesso Luca Guadagnino, durante l'incontro stampa italiano, a far luce su questo aspetto: "Bones and All è una storia d'amore. I protagonisti sono isolati nel mezzo dell'America degli anni '80 durante il reaganismo. Quello fu un periodo di promesse e promesse disattese. Moltissimi sono stati lasciati indietro. Tutt'ora ci sono le cicatrici". Proprio come quelle cicatrici che restano impresse sulla pelle, tanto simili alle biforcazioni e alle strade di un viaggio indelebile. Oltre l'amore e oltre la vita.
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