Dipingono il mondo con le ombre e poi dicono ai loro figli di stare vicino alla luce. La loro luce. Le loro ragioni, i loro giudizi. Perché nell'oscurità ci sono i dragoni. Ma non è vero. Possiamo provare che non è vero. Nell'oscurità c'è scoperta, c'è possibilità, nell'oscurità c'è libertà: una volta che qualcuno la illumina. E chi ci è più arrivato vicino di noi in questo momento?
Essere un pirata è il sogno di molti bambini: quando si è piccoli si immaginano avventure per i sette mari, battaglie su navi dalle vele imponenti, bucanieri con gambe di legno e bende sugli occhi. Con un pezzo di legno come spada e il vento nei capelli, anche un metro quadrato di prato del parco dietro casa può diventare un'isola dei Caraibi. Le storie di pirati ci piacevano tanto quando eravamo bambini perché promettevano qualcosa che ancora non riuscivamo bene a definire: un senso di scoperta, di possibilità, la speranza di trovare qualcosa di fronte alla quale avremmo rivelato la nostra vera natura e magari dopo non saremmo mai più stati gli stessi.
Come dice un altro famoso capitano, l'impettito Giacomo Uncino interpretato da Dustin Hoffman in Hook - Capitan Uncino di Steven Spielberg, "è stupenda la vita del pirata": riportati al cinema più di dieci anni fa dal Jack Sparrow di Johnny Depp nella saga Disney I Pirati dei Caraibi, queste figure affascinanti, e allo stesso tempo spaventose, hanno perso il loro cuore di tenebra, diventando simpatiche macchiette destinate a intrattenere il pubblico con risate ed effetti speciali e nulla più. A riprendere in mano la mitologia piratesca per riportarla finalmente al suo status di racconto drammatico ci ha pensato una delle serie televisive più sottovalutate degli ultimi anni, Black Sails.
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In quattro stagioni, la serie Starz, creata da Jonathan E. Steinberg e Robert Levine e prodotta da Michael Bay, ha fatto un enorme lavoro di scrittura, tenendo ben presente il romanzo L'isola del tesoro (1883) di Robert Louis Stevenson, la storia (nel corso delle varie stagioni figure letterarie si alternano a personaggi realmente esistiti, come il leggendario pirata Barbanera e il capitano Charles Vane) e l'opera di Shakespeare, trasformando il libro per ragazzi in una vera e propria tragedia dai dialoghi memorabili.
Terminata negli Stati Uniti lo scorso due aprile, Black Sails è disponibile in Italia su Netflix, grazie a cui si possono vedere le prime tre stagioni, mentre la quarta, e ultima, è ancora inedita. In 38 episodi il racconto degli anni giovanili di Long John Silver (Luke Arnold) è stato una vera e propria discesa negli abissi, sopratutto grazie a un personaggio, e un attore, di cui è difficile dimenticare il carisma e la profondità: il capitano Flint interpretato da Toby Stephens.
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Black Sails: da prequel a dramma esistenziale
Al momento del suo esordio, il 25 gennaio 2014, Black Sails è stato immediatamente bollato come un prodotto di serie B: sarà forse per il nome del produttore, quel Michael Bay che tanto fa storcere il naso alla critica colta, sarà perché effettivamente all'inizio sembrava una parodia di Il trono di spade con spade, intrighi, sesso e violenza gratuiti su spiagge tropicali, la prima stagione è stata presa in giro da molte riviste di spettacolo, che l'hanno poi abbandonata. Il pubblico non ha invece fatto lo stesso: affascinato dal carisma degli attori, non ha mollato la presa. E ha fatto bene.
Nata come un prequel di L'isola del tesoro di Stevenson, Black Sails è cresciuta sempre di più, stagione dopo stagione: ambientata a Nassau, nelle Bahamas, venti anni prima dei fatti raccontati nel romanzo originale, la serie segue la crescita (a)morale di John Silver, il pirata con una gamba di legno e il pappagallo sulla spalla, il capitano Flint, che ha tenuto compagnia a diverse generazioni di ragazzi. Nel libro ormai maturo e spietato, qui Silver è un ragazzo sveglio e incline agli imbrogli, che si ritrova a fare il cuoco sulla nave del famigerato e temuto capitano Flint, dall'astuzia pari solo alla sua incredibile voglia di spingersi oltre i limiti della società civile, sia spirituali che geografici, un personaggio carico di una forza vitale impressionante.
Il rapporto tra Silver e Flint è il cuore pulsante della serie: attraverso gli occhi, inizialmente ingenui, del giovane cuoco vediamo crescere la leggenda e la ferocia del pirata, per poi scoprire quella stessa oscurità in Silver, in un gioco di specchi, luci e ombre degne di una tragedia greca. L'intelligenza degli autori è stata proprio quella di dare corpo, sangue e sudore a una figura rimasta sempre, fino a ora, un nome: il capitano Flint, che nel libro di Stevenson rimane un mistero, qui viene sviscerato, amato, odiato, respinto e poi abbracciato con una dedizione impressionante.
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"Ognuno di noi è un mostro per qualcuno. Visto che siete così convinti che io sia il vostro, lo sarò"
I consumatori incalliti di serie tv sanno che ogni titolo presenta un momento in cui lo spettatore ha come una rivelazione, un'illuminazione: quel momento in cui capisce che quello che sta vedendo gli è entrato nel cuore. Per Black Sails quell'istante arriva nel finale della seconda stagione, quando Flint, che sta per essere impiccato, dice alla folla che invoca la sua morte: "Ognuno di noi è un mostro per qualcuno. Visto che siete così convinti che io sia il vostro, lo sarò". Frase degna di essere stampata su una maglietta, in queste poche parole c'è l'essenza di tutta l'opera: ogni storia presenta diverse verità, così come ogni persona non può essere definita soltanto in un modo. In quel momento Flint abbraccia il suo essere un uomo e un personaggio a cui le etichette della gente stanno strette, che non vuole vivere secondo le regole di altri, che è disposto a battersi e a fare anche del male pur di proteggere la propria libertà. Un folle e un sognatore, un ribelle e uno spirito romantico, come dimostra la sua geniale storia personale, inaspettata e originale, che non sveleremo per preservare la gioia, a chi non ha visto la serie, di scoprirla da sé.
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Un cast eccellente
Se la scrittura ha trasformato una serie inizialmente banale in un prodotto di livello, l'altra metà del lavoro lo ha fatto un cast eccellente: la trasformazione di Luke Arnold è impressionante, il suo Silver all'inizio ha lo sguardo limpido e pieno di speranza, mentre con il passare delle stagioni sembra mostrare sul suo volto gli anni e le sofferenze del personaggio, quasi come fosse invecchiato insieme a lui. Zach McGowan, che in Shameless è stato Jody, personaggio che definire imbecille è fargli un complimento, qui è bravissimo nel ruolo dell'indomabile Charles Vane, pirata realmente esistito, che racchiude in sé la brutalità dei corsari e la loro vena più romantica, capace di sopravvivere all'attacco di centinaia di uomini per poi farsi schiacciare dallo sguardo di una donna, Eleanor Guthrie (Hannah New), che non lo ama, almeno non quanto lei ami se stessa. Maestoso Ray Stevenson nel ruolo di Edward Teach, alias Barbanera, bravi Toby Schmitz e Clara Paget nei panni rispettivamente di Jack Rackham e Anne Bonny, veri corsari del '700. E infine lui: il capitano Flint di Toby Stephens, figlio di due leggende del teatro inglese, Maggie Smith e Robert Stephens, è una gioia per gli occhi e per le orecchie. Il capitano Flint è una maschera di rabbia e dolore, che si rispecchia in ogni segno del volto dell'attore.
Il potere delle storie
Il finale di Black Sails è, proprio come l'intera serie, insolito: pur essendo pieno di duelli, intrighi, donne che hanno da dire la loro (gli autori hanno pensato anche a questo aspetto, creando una ricca e interessante schiera di figure femminili, praticamente assenti nel romanzo di Stevenson) e dialoghi memorabili, a commuovere è un colpo di scena che unisce finzione e verità, dando ai personaggi una conclusione il più aderente possibile alla storia ufficiale e allo stesso tempo perfettamente coerente con il mondo parallelo creato dalla serie. Alla fine non è importante se i fatti che vediamo siano reali oppure no: ciò che conta è la storia stessa e l'amore per quei personaggi.
Movieplayer.it
4.0/5