Il grande evento horror dell'estate 2022 è Black Phone, thriller con elementi paranormali che segna il ritorno al genere del regista Scott Derrickson, con l'adattamento di un racconto dello scrittore Joe Hill, figlio di Stephen King. Un racconto che, avendo appena qualche decina di pagine, necessita di espansioni per arrivare al cinema sotto forma di lungometraggio (ironia della sorte, Hill ha svelato di averlo inizialmente concepito come romanzo, salvo poi ripensarne la struttura perché non c'era abbastanza carne al fuoco). Espansioni che sono state effettuate da Derrickson, il quale ha anche colto l'attimo per evocare stralci della propria infanzia nel contesto cronologico in cui si svolge il film, e dal suo sodale C. Robert Cargill. Come hanno modificato la premessa originale di Hill per arrivare sul grande schermo? Ecco le principali differenze tra la fonte e l'adattamento. Attenzione, seguono spoiler!
Bambino vs. killer
Il racconto da cui è tratto Black Phone si svolge quasi interamente nella stanza dove il rapitore ha rinchiuso il giovane protagonista, fatta eccezione per l'incipit con il sequestro (che nel film ha luogo dopo circa mezz'ora di preambolo sulla paranoia che ha colpito la comunità in seguito ai vari rapimenti). E quella parte è ripresa abbastanza fedelmente, dialoghi compresi, anche se Scott Derrickson aggiunge delle cose: quando Finney parla al telefono con le vittime precedenti, interagisce con più persone e non una sola come nel libro, e le varie strategie di fuga sono per lo più frutto della fantasia degli sceneggiatori. Anche il finale, in tal senso, è stato allungato: il racconto finisce con l'ultimo squillo di telefono e Finney che passa la cornetta al killer, mentre nel film assistiamo proprio al confronto conclusivo tra lui e le sue vittime, con in più l'epilogo sulla vita di Finney dopo questo evento traumatico.
Black Phone, la recensione: pronto, chi uccide?
Il villain
Una grande differenza riguarda proprio l'antagonista, che sullo schermo non ha un nome al di fuori dell'appellativo Grabber, datogli dalle forze dell'ordine e dai media. Una figura inquietante, con il volto di Ethan Hawke che però è coperto quasi sempre da una maschera, composta da due metà ideate dal maestro del trucco horror Tom Savini. Nel racconto ha un nome, Albert, ed è sovrappeso, il che lo rende più patetico che autenticamente minaccioso (e dà una connotazione diversa alla scena in cui cerca di rassicurare Finney, dicendo che non è stato lui a rapire gli altri bambini). In entrambe le versioni è presente suo fratello, ma solo nel film, dove si chiama Max e interagisce con la polizia senza sapere di aver ospitato un serial killer, lo vediamo in azione prima del fatidico momento in cui scopre che Finney è prigioniero, e viene prontamente ucciso da Albert.
Black Phone: un grande film horror nel segno di Stephen King
La famiglia
Come abbiamo già detto, tutto ciò che accade fuori dalla stanza in cui Finney è tenuto prigioniero è frutto della fantasia di Derrickson e C. Robert Cargill. E anche alcuni dettagli menzionati nel racconto sono stati modificati, e questo riguarda soprattutto i parenti del protagonista: nel testo di Joe Hill i genitori di Finney sono entrambi ancora in vita, e la sorella maggiore si interessa ai tarocchi. Nel film il padre è vedovo e alcolizzato, e tratta male i figli, in particolare la sorella di Finney che riceve visioni sotto forma di sogni, una capacità che avrebbe ereditato dalla madre, suicidatasi in seguito a ciò che vedeva. E nel medesimo contesto è più attivo il ruolo della sorella, che nel racconto è appena menzionata e qui invece è promossa a co-protagonista, indagando per conto proprio sulla scomparsa di Finney mentre la polizia brancola nel buio.