Ero tanto terrorizzato... ma non lo fui per molto. Quella sera intravidi un'opportunità: quella di fare un mucchio di soldi, e io l'afferrai al volo, la tenni stretta, e in tutti i sedici mesi successivi passai ogni istante della mia giornata a costruire il grande impero della droga di Walter White.
Le dichiarazioni pronunciate nel tribunale di Albuquerque da Saul Goodman, o meglio da Jimmy McGill (il nome che reclamerà da quel momento in poi), costituiscono l'ultima svolta narrativa di Saul Gone (Chiamavano Saul), l'episodio finale di Better Call Saul: l'inaspettata assunzione di responsabilità di un uomo che, fino a poco prima, aveva adoperato tutte le proprie abilità per ricavarsi la "via d'uscita" più comoda possibile da una situazione apparentemente disperata. Ambientato nel dicembre 2010, tre mesi dopo la morte di Walter White, Saul Gone segna la conclusione della parabola del protagonista: "Saul se n'è andato", cedendo definitivamente il posto a Jimmy (e dunque "It's all gone", "È tutto finito", come suggerisce l'omofonia del titolo). E quella confessione, con cui di fatto Jimmy rinuncia al suo eccellente patteggiamento, funge da ideale redenzione in un epilogo dal sapore quanto mai malinconico.
L'ultimo atto dell'acclamata serie TV creata nel 2015 da Vince Gilligan e Peter Gould, e nata come spin-off del capolavoro Breaking Bad (sempre frutto della penna di Gilligan), ci offre l'occasione di riflettere sul percorso di Jimmy McGill, alias Saul Goodman, l'astuto avvocato al quale, fin dal 2009 (nell'episodio intitolato appunto Better Call Saul), ha prestato il volto un sopraffino Bob Odenkirk. Assistente legale di Walter White e Jesse Pinkman, e inevitabilmente complice dei loro atti criminali, in Breaking Bad Saul ha svolto la funzione di aiutante per l'antieroe interpretato da Bryan Cranston, miscelando la propria spregiudicatezza morale a una verve che sarebbe diventata il suo marchio di fabbrica. In Breaking Bad, Saul ci è stato mostrato da subito come un erede dell'archetipo dell'irresistibile truffatore: un vivace Azzeccagarbugli pronto a stemperare la tensione delle vicende con l'infallibile ironia di un consumato mattatore, in grado di far fronte ad avversità e imprevisti senza mai perdersi d'animo.
Jim e Walter: la simpatica canaglia e il mostro della porta accanto
Sono le medesime caratteristiche che abbiamo ritrovato fin dagli esordi di Better Call Saul, la cui trama ha inizio con sei anni d'anticipo rispetto al primo incontro di Saul con Walter e Jesse; e tali caratteristiche rientrano, ovviamente, fra i principali motivi del successo del personaggio, di quel suo carisma da simpatica canaglia. Non è casuale che, molto spesso, il nostro sguardo su Jimmy abbia aderito alla prospettiva della sua partner professionale e sentimentale Kim Wexler (Rhea Seehorn): la perplessità o la riprovazione per le azioni moralmente discutibili di Jimmy vengono mitigate dalla fascinazione per le sue qualità, a partire dalla spiccata intelligenza, ma soprattutto dalla comprensione - almeno parziale - delle sue motivazioni. Jimmy è avido, lo riconosce lui stesso (perfino in extremis, davanti alla giudice di Albuquerque), ma non è mai 'disgustosamente' avido; non esita a ricorrere alle menzogne e al raggiro, ma senza che la sua (sottile) crudeltà sfoci nel puro sadismo. In altre parole, ha sempre mantenuto più di un barlume di umanità.
È su queste basi che poggia la grandezza di una serie quale Better Call Saul, in maniera analoga alle ragioni del successo di Breaking Bad: nella costruzione dell'antieroe. In entrambe le sezioni dello spettacolare "romanzo criminale" ideato da Vince Gilligan, il protagonista compie un'evoluzione al contrario che lo condurrà a smarrirsi nel proprio lato oscuro; eppure né Walter White, né tantomeno Jimmy McGill ci appaiono mai come autentici 'mostri', benché nel microcosmo in cui si muovono non manchino villain spaventosi. Sembra quasi un paradosso, specie se consideriamo che Breaking Bad rappresenta uno dei più straordinari esempi di "racconto di de-formazione" dei nostri tempi: la cronaca della discesa verso il male, sperimentata stagione dopo stagione, da un everyman - docente di liceo e padre di famiglia - che a prima vista non sarebbe potuto essere più mansueto e benevolo. Breaking Bad, ce ne rendiamo conto a poco a poco (a dispetto del titolo), è la storia di un "mostro della porta accanto" che rivelerà la propria natura demoniaca con una metamorfosi talmente graduale da risultare quasi impercettibile.
Breaking Bad, perché il finale è il migliore possibile
Sulla strada del crimine, fra atrocità e redenzione
La catena di circostanze sfavorevoli e di drammatiche coincidenze in cui incappa Walter White fa senz'altro da motore della suddetta metamorfosi: possiamo supporre con discreta convinzione che, se non si fosse ammalato di cancro e contemporaneamente non si fosse imbattuto nel suo ex-studente Jesse Pinkman (Aaron Paul), Walter non sarebbe mai diventato il temutissimo Heisenberg, signore del narcotraffico. Ciò nonostante sono le sue scelte, e non una mera casualità, a fargli intraprendere la strada del crimine, lastricata da gesti via via più atroci; talvolta sono dei fattori esterni a fargli puntare gli occhi su quella strada, ma dipende da lui la decisione di incamminarsi su di essa. Ecco, Better Call Saul ci ha fornito per certi versi una 'variante' di Breaking Bad, ma con un punto di partenza diverso: se Walter ci veniva introdotto come un individuo mite, sotto le righe e tutt'altro che ambizioso, Jimmy è invece un istrione nato, un bugiardo per vocazione, un affabulatore che non sa resistere al richiamo del palcoscenico ("It's showtime!", ripeterà a se stesso fino all'ultimo).
C'è un altro tratto distintivo dell'avvocato impersonato da Bob Odenkirk: la sua profondissima conoscenza della legge è il viatico che gli permette di intuire come, quando e fino a che punto violarla limitando i rischi. Jimmy si muove dunque in una ristretta "zona grigia" in cui finirà per trascinare pure l'amata Kim, cavalcando un'ambiguità - legale ed etica - che gli consente di non abbandonare del tutto un'ancora di salvezza. Perlomeno, finché avrà Kim accanto: la morte di Howard Hamlin (Patrick Fabian) e l'abbandono da parte di Kim sono i due turning point della sesta stagione, le svolte che porteranno Jimmy McGill ad essere fagocitato da Saul Goodman. Ma se presumiamo che in Jimmy/Saul ci sia, fin dalle origini, una predisposizione al crimine assai maggiore che in Walter White, di conseguenza la sua parabola è meno radicale e sconvolgente: Jimmy non si allontana mai completamente da quella "zona grigia" in cui ha sempre sguazzato, e forse è proprio questo a consentirgli, in ultima istanza, di tornare indietro, di mettere a nudo la sua coscienza in un coraggioso mea culpa. Di riscoprirsi umano, insomma, riconquistandosi l'affetto di Kim e, insieme, anche il nostro.
Better Call Saul 6, la recensione del finale: quando l'amore salvò Jimmy McGill