Via via che il film prende vita, struttura e soprattutto corpo, sale forte una sensazione: Babylon condivide lo stesso universo di La La Land, di Whiplash, addirittura del sottovalutato First Man (c'è qualcosa di più presuntuoso e grandioso nel voler raggiungere la luna?). La matrice è pressoché identica, nonostante ci sia una spinta ancora più amara e irrazionale, frutto di un'evoluzione storica che avrebbe poi portato una certa disillusione, ben nascosta dietro i riflettori di una sfuggente Hollywood, oggi depotenziata eppure ancora viva. Il regista, Damien Chazelle, che probabilmente tocca la vetta finora più alta, ha dichiarato che Babylon è un film realizzato per "fare rumore" (qui trovate il nostro resoconto dell'incontro stampa italiano). Quasi un eufemismo, dato che la sua straordinaria pellicola sembra palesemente una sorta di enorme e gigantesco dito medio allo showbiz, capace di santificare e maledire, di creare e poi distruggere. Il tempo di un ciak, di una première andata male, di una chiacchiera annegata dal whiskey.
Un rumore, quello di Babylon, che si struttura come un lungo e doloroso assolo. Un flusso di coscienza strabordante, in cui le leggi cinematografiche si rifanno in modo chiaro e diretto alle leggi libere del jazz, da cui Chazelle, innamorato pazzo, ne estrapola perfino la messa in scena. Un collegamento che vogliamo approfondire, partendo dalla realtà condivisa di Babylon in relazione ai precedenti titoli del regista: l'ambizione come estrema propensione umana, la fallibilità della stessa umanità, il senso del sogno e del sacrificio, mentre i nemici pubblici dell'arte sono il compromesso, l'accettazione, l'omologazione.
L'universo di Chazelle e il jazz come spina dorsale
Pensateci: Miles Teller in Whiplash grondava sangue dalle mani, inseguendo una perfezione applicabile solo dalle divinità (e John Coltrane e Miles Davis lo sono, eccome se lo sono), Emma Stone e Ryan Gosling, in La La Land, sono poi la diretta conseguenza della destrutturazione del sogno hollywoodiano, spinto ai massimi limiti di un'epoca segnata da profondi cambiamenti. E il cambiamento, la percezione del tempo che corre lasciandoci indietro, è la stessa che si riversa violenta su Jack Conrad alias Brad Pitt, attore di film muti che non riesce più a trovare un equilibrio dopo la rivoluzione de Il Cantante Jazz, prima pellicola sonora della storia. Era il 1927.
Lo stesso equilibrio a cui non vuole cedere la sgraziata e accecante Nellie LaRoy di Margot Robbie (come vi raccontiamo nella nostra recensione è sempre più brava), aspirante attrice con il vizio della droga, capace però di piangere come le grandi star che avrebbero poi popolato il Cinemascope. Ambizioni, carnali desideri, auto-distruzione, disperazione, celebrazione, abomini. Enfatizzazione assoluta dei concetti principali di Damien Chazelle nella Hollywood appena nata, e per intenzioni considerabile come una sorta di prequel spirituale dello stesso La La Land, Babylon risponde alle esigenze del regista in fatto di espressione, districandosi dagli orpelli e dai dogmi. Quale miglior modo, allora, se non quello di affidare il flusso (e i fluidi...) di Babylon alle correnti del jazz?
Babylon, la recensione: un film "pieno di piscio e vento"
Babylon e il caos di John Coltrane
La strepitosa musica di Justin Hurwitz - pernacchiosa, schizzata, fastidiosa, irresistibile - che autocita qui e là le sfumature dello score La La Land è la colonna dorsale del film ma, immergendoci nei parallelismi, il quinto lungometraggio di Chazelle è la cosa più vicina che possa esserci ad Ascension di John Coltrane. Un album rivoluzionario, rivelatorio, esplosivo nella sua spassionata sovversione e nel suo stupefacente disincanto. Uscito nel 1966, fu subito visto come una sorta di sperimentazione, a metà strada tra il jazz classico e il free jazz. I toni e gli umori sono spesso difficili e inafferrabili, l'articolazione non segue uno schema preciso ed è lasciata all'approccio personale di chi ascolta l'album. Un album miliare per la storia della musica, capace di dimostrare quanto le regole nell'arte siano velenose e controproducenti. Ascoltandolo, pare sia tutto lasciato al caso, eppure lo studio ritmico di Coltrane si rifà, fin dal titolo, alla ricerca dell'ascensione procurata dal caos, tra l'altro estrapolata dagli istinti umani. I colori musicali si inseguono frenetici, i secondi passano lenti e poi veloci, è un album tanto classico quanto futurista.
Dallo stesso spettro ascensionale del jazz, Damien Chazelle tira fuori la rivelazione di Babylon: un film che parte dagli escrementi per finire con la sublimazione dell'immagine a colori impressa sul grande schermo, quasi a dimostrare che il cinema sia la massima dimensione sacra, vivida e immortale (come scopre il vero protagonista del film, Manuel Torres, interpretato da Diego Calva). In mezzo, il trambusto e la trasformazione che poggiano sullo stesso centro. Un centro convulso, peccaminoso, istintivo, indomabile. Come i toni egocentrici e superbi di Ascension, come quelli fastosi e tragici di Babylon. Il jazz e il cinema, l'elevazione umana in caduta libera. Scendere per salire, rivolgendo lo sguardo su di un telo bianco che sta per accendersi di vita e di amore.