Anora, una fiaba per rileggere il Sogno Americano nel mondo contemporaneo

Ciò che rende il film importante è il tempismo con il quale Sean Baker aggiorna la versione della cara vecchia fiaba dell'american dream, ormai decaduta.

Mikey Madison in Anora

Il cinema statunitense si è occupato di raccontare il Sogno Americano praticamente fin dalla sua nascita attraverso correnti, generi e formati diversi e, a volte, addirittura inconciliabili. Se si avesse tempo e voglia si potrebbe probabilmente ordinare l'intero movimento audiovisivo nordamericano attraverso la sua narrazione e, tramite essa, rileggere anche la Storia dell'immaginario occidentale.

Anora Mikey Madison
Mikey Madison in Anora.

Sean Baker, in quanto cineasta statunitense, non fa assolutamente eccezione, anzi, parliamo forse del nome del mondo indie più attivo da questo punto di vista, ma in un senso non proprio celebrativo. Partendo dalla visione degli ultimi, dai dimenticati e dagli sconfitti si è sempre preoccupato di mettere a fuoco le storture dell'American Dream. Anora, in qualche modo, va oltre, provando a portare in scena la sua completa decadenza.

La felice idea della pellicola vincitrice della Palma d'oro al 77esimo Festival del Cinema di Cannes è quello di portare a termine il suo scopo attraverso il ribaltamento delle logiche di una delle modalità di racconto più famose appartenenti alla corrente di cui sopra. Quella che decise di raccontare la realizzazione del Sogno usando il genere della fiaba, l'unico in grado, evidentemente, di riscattare proprio gli ultimi a Baker tanto cari.

Come ti racconto il Sogno Americano

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Una scena di Anora.

Tra gli anni 80' e gli anni 90' si andarono affermando titoli di grande successo internazionale che parlavano della realizzazione del Sogno Americano tramite commedie o commedie romantiche. Esse raccontavano delle storie che giravano intorno al superamento delle differenze di classi sociali, solitamente grazie alle relazioni umane, siano esse sentimentali o amicali. In questo modo si parlava di un "America terra di opportunità" in cui chiunque poteva raggiungere un successo dalla doppia natura: economica (e quindi capitalista) e di autorealizzazione privata.

Possiamo pensare a Una poltrona per due di John Landis, per esempio, con il suo innesco in cui vengono ribalti tra gli status dei personaggi di Eddie Murphy e Dan Aykroyd, o a Pretty Woman, con la sua storia d'amore alla Cenerentola tra la Vivian di Julia Roberts e l'Edward di Richard Gere. Quest'ultimo è un film che si avvicina molto alla struttura di Anora e prova anche come l'archetipo di racconto utilizzato sia uno dei più radicati nella società occidentale, tanto da essere diventato parte del nostro lascito culturale.

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Mark Eldenstein e Mikey Madison in una scena di Anora.

Per Baker, da esperto autore evidentemente molto consapevole dell'epoca in cui vive, un riferimento tra i più appetibili, non a caso ha flirtato con un'idea del genere già nel suo film precedente, Red Rocket, in cui avveniva un capovolgimento di quel tipo di rom-com. Il tempismo è probabilmente ciò che più di tutto è valso il riconoscimento alla pellicola, oltre alla lucidità con quale è stata pensata e confezionata, soprattutto in riferimento alla sua splendida sex worker.

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Anora: la fiaba dell'America contemporanea

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Matrimonio a Las Vegas.

Anora non è solo il nome della protagonista, ma rappresenta anche la predestinazione del suo essere un outsider, trattandosi dell'elemento rivelatore delle sue origini russo-americane. Nazionalità che sottolinea una posizione di inappellabile inferiorità in un film ambientato in un microcosmo europeo ricollocato in un America stavolta estremamente classista, dove i russi la fanno da padroni e gli armeni sono i loro faccendieri. Un'ottica che restituisce l'idea di un mondo in cui ciò che rende più fortunati degli altri è solo il Paese di nascita e non è più vero che tutti hanno l'opportunità di "vincere alla lotteria".

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La Cenerentola contemporanea di Sean Baker è una figlia del capitalismo e dunque è perfettamente consapevole delle sue idiosincrasie, ma non per questo si abbatte, tanto che riesce a trovare una dignità anche nell'atto di vendere se stessa. La ragazza ha quindi in sé le capacità per lottare contro questo ordine granitico, eppure non riesce comunque a sfuggire all'inganno della fiaba romantica del Sogno Americano. Anzi, ne è completamente assuefatta perché parte di una generazione che si è arresa all'idea che esso sia puro artificio, come la Disney Land in cui sogna di fare la luna di miele (la stessa che era un Eden plasticoso in Un sogno chiamato Florida) e il ragazzo russo da cui si lascia ammaliare.

Di fatto Anora è più un aggiornamento che una rilettura vera e propria. L'aggiornamento di una tipologia di film che si occupava di raccontare un'America (anzi, per essere più precisi, un'idea di America) inclusiva, calorosa, democratica e all'avanguardia. Un America che oramai non c'è più, oggi più simile ad un supermercato in cui tutto quanto è in vendita per chi si può permettere di comprarlo. Essendo però una fiaba, la pellicola si riserva di concedersi una postilla nella quale ci dice come la disperazione possa essere una via d'uscita quando ci riconnette con quello che siamo, ricordandoci che non siamo soli, e quando ci dimostra che non bisogna vendere se stessi per comprare le cose che contano di più, come un abbraccio sincero. I principi azzurri in grado di darli ci sono ancora, American Dream o no.