Quella di Jason Blum è sicuramente una figura interessante, e fuori dagli schemi, nell'ambito del panorama cinematografico moderno. Con la sua Blumhouse Productions, a partire dalla seconda metà del decennio scorso, ha ridato linfa ad un genere (l'horror indipendente americano) che da anni era rimasto impantanato nel limbo dell'amatorialità e delle produzioni direct-to-video, incapace di rinnovarsi e di cogliere i cambiamenti nell'approccio al racconto cinematografico, la tendenza alla contaminazione, la stessa evoluzione dei modelli di fruizione.
Pur nell'estrema varietà dei suoi prodotti (non limitati al solo cinema dell'orrore) l'etichetta di Blum ha saputo dare un'impronta chiara e riconoscibile ai film che ha proposto, spaziando dalla fortunata serie dei Paranormal Activity, a esempi di cinema di genere in perfetto equilibrio tra tradizione e innovazione (Sinister, Dark Skies - Oscure Presenze) per arrivare al nuovo franchise thriller de La notte del giudizio, per la regia di James DeMonaco. Proprio del secondo episodio di questa nuova serie (siamo pronti a scommettere non sarà l'ultimo) intitolato Anarchia - La notte del giudizio, abbiamo parlato oggi col simpatico produttore, in un incontro ricco di suggestioni e di evidente passione per il cinema.
Il ritorno del thriller politico
Blum, questo Anarchia ha un approccio ancora più politico, nelle tematiche trattate, rispetto al suo predecessore. E' d'accordo?
Jason Blum: Certo. Già il primo film nasceva dalla volontà di affrontare precise tematiche sociali, ma nel secondo quest'elemento è ancora più presente. Qui, il messaggio politico è decisamente più suggestivo.
C'era, da parte vostra, la volontà di dare un preciso giudizio sul sistema sociale che sta alla base dello sfogo?
Sì, volevamo trasmettere un'idea di prudenza per quanto riguarda il rapporto con le armi. Se continuiamo a vendere indiscriminatamente armi, rischieremo davvero di arrivare a ciò che viene mostrato nei due film. Che è un'idea splendida per un film, ma pessima per la società.
Pensa che in futuro si potrà arrivare a vietare, negli Stati Uniti, la circolazione indiscriminata di armi?
Purtroppo è molto improbabile. Basta guardare i dati: in America, appena accade un fatto di sangue, c'è l'aumento delle vendite di armi. E' un problema difficile da risolvere.
Pensa che questi due film possano ridare nuovo ossigeno a un genere come quello del thriller politico, che intrattiene facendo pensare?
È difficile da dire, ma se così fosse ne sarei molto felice.
La figura del generale ribelle fa pensare a un eroe molto classico... un intellettuale radicale, se vogliamo.
Sì, il personaggio è stato scritto pensando a Malcolm X. È uno di quei personaggi che si impegnano e lottano per le cose giuste.
Trova delle somiglianze tra questa serie e quella di Hunger Games?
Sì, questi due film sono un po' la versione adulta di Hunger Games, se vogliamo. Il punto di contatto sta forse nell'idea di "purificazione" dalla necessità di violenza.
È più spaventosa l'idea di non riuscire a sopravvivere, là fuori nelle strade, o l'idea che la violenza sia in realtà dentro di noi?
Io credo che, principalmente, l'idea più spaventosa sia che tutto ciò potrebbe davvero succedere. E' questo che spaventa davvero.
Economia e creatività
Nonostante i budget contenuti, nei vostri film sono spesso presenti delle star. Nel primo La notte del giudizio, per esempio, il protagonista era Ethan Hawke, mentre qui non ci sono volti conosciuti. La cosa vi preoccupava un po'?
No, perché tutti i nostri film sono low budget, e noi non siamo affatto obbligati a rispondere ai classici canoni hollywoodiani, che prevedono la presenza delle star. La vera star dei nostri film è l'idea, ed è esattamente ciò che noi vendiamo.
Parlando di low budget, ha dei "punti di riferimento" in altre realtà produttive? Conosce, ad esempio, i film di Charles Band?
Sì, ho studiato il suo lavoro e quello di altri produttori indipendenti. Il mio approccio però è un po' diverso. Io credo che i film low budget, specie gli horror, siano più credibili per una serie di ragioni: non devi affidarti agli effetti speciali, sei costretto a rendere il tutto molto più realistico, e a puntare su personaggi credibili.
Come in altri suoi film, qui c'è la coproduzione di un gigante come Michael Bay. Come si fa a convincere uno come Bay a spendere poco per un film?
Bella domanda! Lui è un uomo d'affari di grande fiuto, la sua azienda ha prodotto molti remake. Ricordo che i suoi partner vennero da me a chiedermi come producevo i film... facemmo uno scambio, loro ci diedero una loro sceneggiatura, noi gli demmo quella de La notte del giudizio. Alla fine, il nostro film è stato realizzato ed il loro no. Per ora, con loro, abbiamo fatto tre film: i due episodi de La notte del giudizio, e il prossimo Ouija. Questo era un film che Bay stava sviluppando con 10 milioni, ma poi ci ha ripensato perché è rimasto impressionato dal low budget.
È vero, allora, che i film ad alto budget restringono la creatività?
In termini generali, direi di sì. Ci sono forse cinque persone al mondo che possono lavorare con budget alti, e permettersi il controllo totale su ciò che fanno: uno è Bay, poi c'è James Cameron, forse Steven Spielberg... e basta. Pensandoci bene, in effetti, sono solo tre.
E' stato più complicato girare questo film, prevalentemente realizzato in strada, rispetto al primo, ambientato quasi tutto in interni?
Certo, è stato più costoso e difficile da realizzare. Non a caso, i giorni di lavorazione sono stati in tutto 27, contro i 19 del film precedente.
Perché, secondo lei, maestri del genere come John Carpenter e George A. Romero attualmente faticano a trovare spazio?
Credo che i loro film siano, semplicemente, troppo cari per l'industria attuale. Loro erano abituati a un sistema in cui c'erano più soldi, il mercato dell'home video andava meglio, non c'era la pirateria. Erano abituati così: probabilmente cambiare è shockante.
Lei ha prodotto molti film girati con la tecnica del found footage, mentre questo è un film girato in modo classico. Quale dei due generi è più difficile da realizzare?
Sono due approcci molto diversi. Un buon found footage è molto più difficile da realizzare; anche se sembrerebbe più semplice e meno costoso. La cosa complicata è renderlo credibile. Ogni volta che nel film accade qualcosa di tragico, infatti, bisogna giustificare il fatto che si continui a riprendere: nella realtà, se qualcuno viene colpito o ammazzato mentre si sta riprendendo, la cosa più normale è lasciar cadere la telecamera.
Paura, e non solo
Tornando a questo Anarchia, da cosa deriva l'idea delle gang mascherate?
E' sempre terribile dover interagire con qualcuno che non si vede: che sia nascosto da una maschera, o dal buio. A volere queste maschere è stato proprio James DeMonaco: lui è una mente un po' deviata, ma ha fatto un lavoro straordinario!
Nel film c'è violenza, ma anche un senso morale molto forte.
È vero. In questi due film, gli eroi non uccidono. Qui, in particolare, c'è un vero e proprio eroe, seppur riluttante: rispetto al primo, c'è forse una narrazione più tradizionale.
Avete già idee per un terzo episodio?
Sì, ne abbiamo due: la prima è quella di incentrarlo sui rivoluzionari, quindi raccontare la storia dal punto di vista dei "buoni" e identificare lo Sfogo col male. La seconda, invece, è un prequel: il racconto di come questa notte è stata creata, visto però dal punto di vista dei cattivi, che sono i Nuovi Padri Fondatori.
Quale sarà il vostro prossimo film horror?
A ottobre uscirà Ouija, poi arriverà un nuovo film su Amityville, che non sarà però un remake ma un reimaigining, una reinterpretazione. In seguito, faremo The Boy Next Door, un thriller con Jennifer Lopez protagonista, e infine uno spaghetti western, con Ethan Hawke e John Travolta. Il regista di quest'ultimo progetto sarà Ti West.
Toccherete vari generi, quindi...
Sì. La mia sola regola è quella di rimanere nel low budget, a dispetto della presenza di volti conosciuti.