Recensione I segreti di Brokeback Mountain (2005)

Il regista si tira fuori da un momento controverso della sua carriera, allontanandosi dalle tentazioni più spettacolari e firma un un melò intenso e crudele dalle poche sbavature e dal commovente respiro classico.

Amore tra cowboys

Melodramma struggente e di ottima fattura: I segreti di Brokeback Mountain, il nuovo Ang Lee (Leone d'oro all'ultimo festival di Venezia) ha le forme di un western atipico nel tema trattato e nella periodicizzazione temporale, quanto classico e rigoroso nella messa in scena e nel calco narrativo. Nell'America rurale dei primi seventies - tutta paesaggi sconfinati ed antiche tradizioni - dove la cultura dei ranch e dei rodeo sopravvive anacronisticamente, vivono due uomini dall'identità oscura e tormentata e dall'inclinazione sessuale inammisibile in una società machista e bigotta come quella a cui appartengono. Due gay più o meno inconsapevoli, in due corpi rudi e muscolosi. Due personalità agli antipodi. Uno è più solare, apparentemente volubile ed innamorato della vita e soprattutto meno incline a nascondere la sua natura dietro la rispettabilità delle convenzioni (il bravissimo Jake Gyllenhaal). L'altro sembra portarsi dentro un peso insopportabile che lo rende tremendamente cupo ed introverso, quanto duro e represso nell'esternare qualasiasi sentimento (Heath Ledger, mai così convincente).

Ang Lee alza la testa, si ricorda di essere regista dall'indubbio talento e si tira fuori da un momento controverso della sua carriera, allontanandosi dalle tentazioni più spettacolari e firmando un film intimo e suggestivo, dalla rara forza emozionale e da un raffinatissimo fuori campo. Coraggioso inoltre nelle scelte stilistiche così classiche e nell'affidare i ruoli a due giovani attori alle prese con una prova molto difficile fatta di sguardi, grande fisicità e sentimenti non espressi. Un inaspettato incontro su una montagna sperduta, isolata dal mondo, uniti da un lavoro duro e annichilente segnerà in maniera defintiva la loro esistenza, le loro scelte e il loro futuro e sarà motore di una drammaturgia dal respiro ampio e profondo.

Tutto l'universo del film è rinchiuso magistralmente in questo rapporto. Anche quando i due amanti sono costretti a non vedersi per anni, è il senso di irriversibille unicità del loro stare insieme e l'impetuosità dei loro istinti a riempire i sensi di chi li osserva incuriosito, e non la natura omosessuale del loro amore che in realtà è solo un intelligente espediente per accrescere le potenzialità melodrammatiche del plot, enfatizzando le difficoltà dell'incontro amoroso. Lee immortala questo senso di esclusività dell'amore, quella sensazione di dover aggrapparsi ai rari momenti della vita in cui ci si sente toccati dalla felicità, nella forma in cui la immaginiamo, con la pancia e con la testa, griffando un melò intenso e crudele dalle poche sbavature e dal commovente respiro classico. Tanto di cappello.