American Hustle: David O. Russell presenta il suo nuovo film

Il regista americano ha presentato a Roma, in un breve ma stimolante incontro stampa, il suo ultimo film, in uscita a gennaio: un noir ad ambientazione finanziaria e con un cast di stelle, possibile protagonista ai prossimi Academy Awards.

E' stato un incontro breve ma interessante, quello durante il quale David O. Russell ha presentato il suo American Hustle - L'apparenza inganna. Il regista, infatti, dopo il trionfo al New York Film Critics Circle, e in piena corsa verso gli Oscar, ha parlato non solo del suo film (un'epopea americana in piena regola, con una coppia di fuorilegge che, al posto delle pistole, usano l'arma della truffa finanziaria) ma anche del suo rapporto col cinema, delle istanze creative che lo muovono, del legame tra queste e le sue esperienze personali. Una discussione stimolante, insomma, che nel breve tempo in cui si è dipanata ha potuto spaziare su argomenti insoliti per una conferenza stampa; che hanno avuto il pregio di restituire un'immagine diversa, più umana e a tutto tondo, di un cineasta ormai lanciato verso i "piani alti" dell'industria hollywoodiana.

Nei suoi film ha sempre una certa importanza la musica. Ne Il lato positivo - Silver Linings Playbook, ad esempio, c'erano i Led Zeppelin, qui troviamo una grande selezione di canzoni degli anni '70. Come ha lavorato, stavolta, con le musiche?
David O. Russell: La musica è diventata progressivamente sempre più importante nei miei film. In questo film c'è più musica e più ballo che in qualsiasi altra mia pellicola; inoltre credo di essere riuscito a realizzare, con i miei ultimi tre film, proprio le opere che ero destinato a fare. Tutto il resto della mia carriera è stata una preparazione per questi tre film. Sono film che hanno la musica come linguaggio, quello dell'amore dei personaggi, del fatto che si spezzi loro il cuore, del loro incanto. Qualche volta inserisco direttamente nello script la musica che voglio: qui, ad esempio, Duke Ellington era presente nella sceneggiatura, anche perché quel pezzo già racconta tutto. Queste due persone, nel film, hanno la sensazione di essere gli unici ad avere a cuore la musica di Ellington: lui era il risultato della creazione della sua eleganza, così come loro sono creazione della loro stessa eleganza. Non avrei nessun interesse a fare un film su personaggi che fossero solo cinici e avidi: mi interessa piuttosto sapere perché vivono questi personaggi, chi sono. Questo vale per tutti e tre i miei ultimi film: tutti e tre hanno personaggi che fanno i conti con chi sono, con chi sono stati e con chi saranno. Mi interessa quella che è la loro passione per la vita. Ciò che è difficile da raccontare, in un film, non è la sofferenza: è piuttosto avere dei personaggi che superino, che vadano oltre le categorie. Anche Duke Ellington lo ha detto: ciò che conta è trascendere le categorie. Io non direi di aver fatto un film sulla boxe, oppure una commedia: i miei sono personaggi che vanno fuori dagli schemi, che parlano della loro sofferenza, sì, ma anche del loro incanto e del loro amore. Le due componenti devono essere entrambe presenti. Loro due sono persone vecchio stile, che hanno la loro dignità; io ricordo gli anni '70, mio padre era un uomo d'affari che però aveva la sua dignità, così come i suoi soci. Erano persone della borghesia che però avevano eleganza, una loro rettitudine.

Le canzoni del periodo, nello specifico, come le ha scelte?
Quelle che amo sono canzoni che in genere sono trascurate: a me piace usarle in modo imprevisto, così come mi piace usare in modo imprevisto gli attori. In The Fighter, ad esempio, i protagonisti cantano una canzone dei Bee Gees che all'epoca era considerata una schifezza, una cosa terribile: riascoltandola, invece, mi sono accorto che era meravigliosa. Anche qui, in una scena con Jennifer Lawrence, c'è il pezzo Live and Let Die: non credo che questa sia considerata la canzone più bella e sorprendente di Paul McCartney, ma a me piace perché contribuisce a rappresentare quel personaggio, una donna che reagisce e cambia solo quando ha paura. Nel film abbiamo inserito anche le canzoni della Electric Light Orchestra, un gruppo che era noto per un altro tipo di musica: loro avevano il tipico suono della California, ma a noi interessava altro, un suono da inizio anni '70 che fosse influenzato dai Beatles. Il loro fondatore Jeff Lynne ha visto una versione di montaggio del film e ci ha offerto dei loro pezzi inediti di inizio anni '70: in particolare, c'è una ouverture che si ripete spesso in tutto il film. Per noi è stato come avere a disposizione l'oro, visto che avevamo qualcosa di apparentemente classico ma in realtà inedito.

I suoi ultimi tre film dimostrano un suo stato di grazia personale. C'è una spiegazione razionale per quest'ottimo momento della sua carriera?
Ho iniziato a fare film in modo diverso, perché la vita mi ci ha portato. Dopo Three Kings e I Heart Huckabees - le strane coincidenze della vita mi sentivo perso, non sapevo più che film fare e cosa rappresentare. Io ho un figlio con un problema di disturbo bipolare, e in quel periodo ho passato molto tempo a cercare di aiutarlo; poi ho divorziato, sono finito al verde e non ho fatto più film per circa sei anni. Attraverso questo periodo duro e difficile, sono arrivato più vicino all'umanità: perché è stato un periodo che mi ha messo in ginocchio, e, come dice Irving nel film, le cose vanno fatte partendo dal basso, dai piedi in su. Io credo che lui sia un artista, un artista della vita, non soltanto del suo "mestiere". Mi sono reso conto che le storie dovevano partire da dentro, dal mio cuore. È importante vivere partendo dalle emozioni e dalle passioni, non dal cervello. Gli stessi personaggi del film sono individui che non vivono di raziocinio, ma di emozioni e passioni, anche se poi ciò magari li porta a vivere situazioni tremende. Credo di conoscerli, li amo e amo il loro mondo. La storia è interessante, ma sono loro che contano di più: questi tre film nascono da ciò che ho vissuto. Il lato positivo in realtà nasce da un incarico che mi era stato dato: in quel periodo avevo altri progetti, ma poi mi sono reso conto che quelli non partivano dal punto giusto. La storia da cui partire, il libro da cui il film nasce, me la diede Sydney Pollack, che sarebbe morto poco dopo.

Nella didascalia iniziale del film si dice che "alcuni dei fatti narrati sono reali": questo rovescia la tipica retorica dei film "nati da una storia vera", che spesso di vero hanno ben poco. Può dirci quali, dei fatti raccontati, nasce effettivamente da eventi reali?
Io, nei miei film, racconto i fatti che servono ai temi che mi interessano; l'umanità, il reinventarsi e la sopravvivenza. Questi sono i fatti che ho utilizzato come "fuoco" per motivare i personaggi. Paradossalmente, in questo film i fatti veri sono più strani e buffi di quelli inventati. Per esempio, l'episodio di Robert De Niro: è vero, nel caso specifico, che il mafioso da lui interpretato parlava arabo, ed è vero che in quella circostanza ha spaventato a morte tutti. È vero, per esempio, che il padre del truffatore aveva una vetreria, è vero il fatto che era andato fallito, ed è vero che lui all'inizio voleva fare altro della sua vita, e che ha iniziato a imbrogliare in conseguenza di ciò che era successo al padre. E' vero che aveva una donna che lo aiutava nelle truffe, è vero che c'era un agente dell'FBI con cui ha collaborato, ed è vero c'era il sindaco di una cittadina che era corrotto, ma aveva un cuore d'oro. Ma svelare cosa è vero e cosa non lo è, in fondo, sarebbe come svelare i trucchi di magia. Ciò che è vero di più, e che conta, è che i due protagonisti erano innamorati, e avevano un gran cuore.

Perché spesso, nei suoi film, sono presenti personaggi italoamericani?
I miei nonni materni erano calabresi. Mia madre era una segretaria quando incontrò mio padre, che era un agente di commercio: lui era un ebreo russo, lei un'italiana cattolica. Questi personaggi li conosco: è stata una rivelazione rendermi conto di quanto li conosco, visto che la mia famiglia è sparsa in tutti e cinque i quartieri di New York. Osservarli, per me, è stato come una specie di cassa del tesoro, da cui attingere per raccontare le mie storie.

C'è qualche regista italiano che l'ha influenzata? E' vero che tra i suoi preferiti c'è Lina Wertmuller?
Certo, conosco e apprezzo il cinema della Wertmuller. Ma mi piacciono anche Federico Fellini, Vittorio De Sica, Bernardo Bertolucci, Roberto Rossellini. E poi Pier Paolo Pasolini, con la fine tragica che ha fatto. Sono tanti i vostri registi che stimo, sarebbe difficile elencarli tutti.

La corruzione è un problema particolarmente attuale in questo periodo. Il personaggio di Jeremy Renner è corrotto, ma nelle sue azioni è mosso da un sincero amore per la sua gente. Cosa ne pensa delle sue motivazioni?
Non direi mai che sia una buona idea essere corrotti. Nella storia, lui accetta una tangente, e chiaramente non doveva farlo: ci sono persone che quei soldi le avrebbero rifiutati. Era un periodo un po' più "innocente", quello: allora, anche l'idea di soldi dentro una valigetta era un'idea considerata più innocente, rispetto ad oggi. Oggi la corruzione per certi versi è legalizzata: centinaia di milioni di dollari, che passano non si sa bene dove, vengono usati più o meno legalmente per corrompere. Quello di oggi è un mondo molto più complicato e molto più corrotto. Ciò che mi piace del personaggio di Renner, è che è un personaggio amabile: uno che sinceramente voleva bene alla sua gente e ai suoi elettori. Nella scena in cui lui e Irving si confrontano, c'è specchio: lì in realtà ci sono quattro personaggi. C'è l'Irving a cui non frega niente, che ha visto il padre andare in bancarotta ed è disposto a tutto per fare soldi, e l'altro Irving che invece prova qualcosa nei confronti di questo amico, e che sente che sta ferendo una persona che lo ha fatto cambiare; dall'altra parte, c'è il sindaco che ama la sua gente, e ha a cuore il loro benessere, e poi c'è il sindaco che prende i soldi per se stesso. Nulla è bianco e nero: questi personaggi sono fatti di sfumature.

Come fa lei a ottenere così tanto dagli attori? Nei suoi film si vedono spesso interpreti che vestono ruoli diversi dal loro solito, sempre con risultati notevoli.
Racconto loro quello che ho vissuto, e loro lo percepiscono. Spesso, inoltre, loro hanno visto gli altri miei film, o vi hanno recitato: Bradley Cooper e Jennifer Lawrence, ad esempio, avevano visto The Fighter e poi hanno accettato di fare Il lato positivo, che tra l'altro era stato scritto prima, ma ho potuto realizzare solo quando ho trovato i soldi. Anche per Robert De Niro, il percorso è stato simile. Io voglio dare ai miei attori ruoli che siano degni di loro: infatti spesso vado a casa loro per parlarci, e cerco di spingermi a creare personaggi migliori, che possano spingerli a creare i loro personaggi e a rischiare. Questo periodo mi ha insegnato che si deve rimanere umili, non pensare ai risultati ma impegnarsi a cercare di dare il meglio: mantenere i budget bassi, continuare a sentire, in un certo senso, i "morsi della fame". È uno stimolo, questo, a dare il meglio di te.