I'm Constance Langdon and this is my fucking house.
In questa battuta, nella disinvolta arroganza e nella spiccata teatralità della voce di Jessica Lange, è racchiusa buona parte della 'mitologia' di American Horror Story: una mitologia a cui fa riferimento più che mai, fin dal titolo, Return to Murder House, sesto episodio dell'ottava stagione della popolarissima serie horror targata FX. E su quello che potremmo definire, almeno in parte, come un "effetto nostalgia" fa leva in più occasioni Apocalypse, ideata come un crossover fra la prima e la terza stagione, Murder House e Coven.
Ed è quantomai bizzarra e multiforme la stagione confezionata quest'anno dai due storici showrunner di American Horror Story, Ryan Murphy e Brad Falchuk: se i primi episodi offrivano uno spettacolo camp e sopra le righe nella cornice di un tipico scenario post-apocalittico, l'improvvisa introduzione della congrega di streghe di Coven ha ribaltato del tutto l'impianto narrativo di Apocalypse, con una lunghissima analessi iniziata dalla quarta puntata e una sorta di repulisti dei nuovi personaggi per far posto a "vecchie conoscenze" che, per i paradossi del casting, in alcuni casi vedono i medesimi attori impegnati in più ruoli.
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Maledetto sia il frutto del grembo tuo: le origini del Male
La particolarità di Return To Murder House, con l'attrice Sarah Paulson impegnata eccezionalmente anche dietro la macchina da presa, consiste non solo nella visita alla famigerata dimora dei coniugi Harmon, ma anche in un ampio ricorso ai flashback per collegare le sorti dei protagonisti di Murder House con la minaccia costituita dalla figura chiave di Apocalypse: Michael Langdon, giovane stregone dai formidabili poteri, con la chioma bionda, il viso efebico e l'espressione sottilmente inquietante del trentenne australiano Cody Fern (splendida 'scoperta' di American Crime Story: L'assassinio di Gianni Versace e a breve pure nell'ultima stagione di House of Cards). Se l'episodio precedente, Boy Wonder, recuperava la sfida delle "sette meraviglie" di Coven, concedendosi perfino un'altra apparizione della mitica Stevie Nicks per intonare la splendida Gypsy, Return to Murder House funge invece da origin story per Michael.
Peccato, a ogni modo, che la scelta dei personaggi focalizzatori dell'episodio sia ricaduta su due fra i comprimari più 'piatti' e macchiettistici della serie, Madison Montgomery (Emma Roberts) e Behold Chablis (Billy Porter), nel segno di un approccio semi-farsesco che di certo non favorisce né la suspense, né una qualche forma di empatia. Eppure, i momenti in cui la puntata tenta di stimolare l'empatia dello spettatore sarebbero parecchi: dalla parabola di Moira O'Hara (Frances Conroy), la quale verrà sottratta alla prigionia della Murder House per trovare un "eterno riposo" finalmente sereno, al sentimento mai sopito fra Violet Harmon (Taissa Farmiga) e Tate Langdon (Evan Peters), per approdare ai dolorosi rimorsi di Vivien Harmon (Connie Britton), madre biologica di Michael, consapevole della 'mostruosità' del frutto del proprio grembo.
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American Horror Story fra passato e presente
A rinvigorire l'episodio, per fortuna, ci pensa soprattutto - e non ci saremmo aspettati nulla di diverso - l'inarrivabile Jessica Lange, incarnazione dell'epoca più gloriosa di American Horror Story, a quattro anni di distanza dal suo abbandono della serie. Constance Langdon, l'ambigua vicina di casa interpretata dalla Lange in Murder House, non solo domina la scena senza difficoltà, ma infonde note di autentico dramma nell'ostinata rievocazione del proprio ruolo di madre: una madre la cui resilienza assume ancora maggior valore al cospetto della triste sorte di tutti i suoi figli, nonché della natura mefistofelica del nipote Michael, creatura infernale che, nella sequenza più gore della puntata, divora il cuore di una vittima sacrificale, mentre l'ombra di una gigantesca sagoma luciferina si materializza dietro di lui.
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Return to Murder House realizza dunque un suggestivo intreccio fra il passato e il presente di American Horror Story, offrendo un "viaggio nei ricordi" tutto sommato piacevole (difficile dimenticare la folgorante prima stagione della serie, la più genuinamente orrorifica), per quanto non sciolga certo le numerose bizzarrie e i paradossi (forse autentici buchi di sceneggiatura?) di Apocalypse: un racconto che, a sei puntate su dieci, si conferma sempre più schizofrenico nel voler cambiare continuamente direzione narrativa, affastellando spunti, sottotrame e personaggi talvolta abbandonati a se stessi. L'impressione della première, per ora, non è stata smentita: il nuovo American Horror Story è un guilty pleasure sopra le righe che non si prende sul serio per più di un minuto, ma che nel complesso sta funzionando meglio rispetto alle due passate stagioni; peccato che la distanza dalle origini sia ormai siderale... e in qualche modo, questo "ritorno a Murder House" lo ha certificato una volta di più.
Movieplayer.it
3.0/5