È incredibile come Ryan Murphy sia oramai una continua evoluzione di se stesso, delle proprie tematiche, della propria poetica, delle proprie caratteristiche. È così che nella recensione di American Horror Story 11 NYC, dal 28 dicembre su Star di Disney+ con appuntamento settimanale, rileviamo come l'undicesima stagione della serie cult che ha riportato il genere antologico in tv sia la più vicina all'altra creatura antologica di Murphy, American Crime Story. Dopo più di dieci anni il poliedrico e instancabile showrunner televisivo riesce a reiventarsi e a proporre una summa del suo percorso televisivo finora, dopo un periodo di buio artistico.
New York City Mon Amour
I primi episodi visti di American Horror Story 11 NYC ci catapultano subito nella New York dei primi anni '80, con l'avvento dell'AIDS e l'omofobia e il disinteresse da parte delle forze dell'ordine per quanto accadeva alla comunità queer. È così che la tematica LGBTQIA+, da sempre importante e cartina di tornasole per la poetica di Ryan Murphy, torna prepotentemente centrale in questa undicesima stagione, che fin dal sottotitolo mostra come la Big City sia quella delle grande opportunità metropolitane ma anche quella dei grandi pericoli, nei vicoli come nei parchi mal illuminati. Quella in cui poter essere finalmente se stessi rispetto al paesino dell'entroterra americano o forse quella in cui bisogna ancora nascondersi per non inimicarsi i propri superiori. È quello che succede al personaggio di Russell Tovey, per la prima volta nella scuderia Murphy/Brad Falchuk, nei panni di Patrick Read, un detective della polizia di New York non dichiarato che vive con Gino Barelli (Joe Mantello, già visto in Hollywood e The Watcher), reporter del Native dichiaratamente gay e vicino alla comunità. Non l'unico ad essere arrabbiato e ad aver paura per i propri "simili": la sua strada incrocerà quella di Adam Carpenter (Charlie Carver, uno degli ex gemelli di Desperate Housewives), un ragazzo il cui coinquilino gay è scomparso dopo una cruising nel parco di notte, uno dei luoghi di ritrovo per chi non voleva far sapere le proprie preferenze sessuali.
New York Serial Killer
Ed è tutta qui la storyline principale di American Horror Story: NYC. Un serial killer travestito da sadomaso (strizzando l'occhio al Rubber Man della prima stagione da cui tutto è iniziato) e soprannominato "Big Daddy" pare stia facendo strage tra gli omosessuali ma nessuno ne parla perché la comunità è mal vista e si pensa se la siano andata a cercare. Una tragedia che si sarebbe potuta evitare o comunque essere fermata molto prima se ci fosse stata una comunicazione capillare per tempo. Un po' quello che è accaduto con Jeffrey Dahmer in Dahmer - Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer, assoluta rivelazione di Netflix degli ultimi mesi: NYC sembra essere infatti un incrocio tra quel prodotto seriale, l'antologia American Crime Story sempre della premiata ditta Murphy/Falchuk e The Watcher, altra fatica per Netflix che mostrava l'orrore sotto forma di pericolo tangibile e incombente, più realistico che soprannaturale. American Horror Story: NYC si presenta infatti da questi primi episodi come la più reale e meno soprannaturale finora di tutte le stagioni. Torna anche la volontà di Murphy & soci di denunciare la società e la loro paura della comunità LGBTQIA+, allora come oggi che tanti passi avanti sono stati fatti, ma sempre troppo pochi.
Ryan Murphy, da Glee e l'horror ad American Crime Story: ecco chi è il Re Mida della TV
New York AIDS
Tra i personaggi e gli spettatori si innesca automaticamente una caccia al colpevole, poiché il serial killer potrebbe non essere la stessa persona che sta drogando alcuni avventori dei bar gay della City, come il sibillino Mr. Whitely (Jeff Hiller), il fotografo Theo Graves (Isaac Cole Powell, che torna dopo Double Feature) e il suo partner, il magnate Sam (Zachary Quinto). Ci sono anche i personaggi femminili coinvolti, come la cantante di Cabaret Kathy Pizzaz (Patti LuPone, Hollywood, Glee) che vede diminuire drasticamente la propria clientela alla sauna gay per il pericolo incombente in città, l'ex moglie di Patrick Barbara (Leslie Grossman, recuperata dopo Popular e le ultime stagioni di AHS), che non lo ha ancora perdonato per i segreti taciuti, e l'attivista lesbica Fran (Sandra Bernhard), bisognosa di far sentire la propria voce al Native. Così come il cliente regolare del bar sede degli omicidi, Henry Grant (Denis O'Hare).
C'è un'altra storyline parallela che evidentemente sarà interconnessa a quella di Patrick, Gino e Adam: un altro killer silente sta uccidendo gli Stati Uniti, un misterioso virus che sta colpendo i cervi su Fire Island e potrebbe rivelarsi l'HIV e l'altrettanto scarsa comunicazione e ostracizzazione verso la comunità queer che ricevette, come già raccontato dal team in Pose. A scoprirlo la dottoressa Hannah Wells (Billie Lourd) protagonista di una scene più tragicamente suggestive di queste prime puntate, ovvero l'esecuzione di un gruppo di giovani cerbiatti (come si può non pensare a Bambi) prima che diventino grandi, per provare a fermare il virus. Fotografia e regia sono un mix degli stili di American Crime Story e American Horror Story: non resta che scoprire quale dei due elementi prevarrà, se soprannaturale o true crime.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione dei primi episodi di American Horror Story 11 NYC felici che Ryan Murphy & soci abbiano ancora una volta ritrovato la via come per Dahmer – Mostro, unendo quello stile e quelle tematiche a The Watcher e agli esordi di AHS e American Crime Story. Una summa della poetica dello showrunner che vuole denunciare ancora una volta l’orrore che la comunità LGBTQIA+ è stata costretta a subire, e forse lo è ancora oggi nonostante tutto.
Perché ci piace
- Il ritorno alle origini per Ryan Murphy & Brad Falchuk.
- Lo stile che unisce American Horror Story e American Crime Story.
- Il cast ben scelto tra habitué della scuderia Murphy e new entry, in primis Russell Tovey.
- La tematica di denuncia sociale…
Cosa non va
- … che per qualcuno però potrebbe essere ridondante.
- Speriamo che tutti questi buoni propositi non decadano col passare degli episodi come capitato in passato.