Ormai siamo così abituati (assuefatti?) agli universi cinematografici studiati al millimetro che ripensare a come venivano gestiti, e vengono tutt'ora trattati, alcuni franchise nati alla fine degli anni settanta o negli anni ottanta fa un po' strano. Cose che si sono verificate per i motivi più disparati. Dalle questioni di sfruttamento dei diritti di Terminator ad esempio che ci hanno regalato alti (pochi, giusto due) e bassi (parecchi, tutto il resto a parte la serie TV terminata bruscamente) e una timeline letteralmente fuori di testa, fino ad arrivare a quelle del qui presente Alien.
Che sono collegate sia alla gestione schizofrenica che, nel tempo, è stata adottata sia dall'ex 20Th Century Fox che agli "sbalzi d'umore" del papà cinematografico della saga, Ridley Scott. E sì, prima che qualcuno alzi il ditino dal pubblico lo sappiamo che, tecnicamente, gli ideatori di Alien sono, anzi purtroppo erano, Dan O'Bannon e Roland Shussett (senza dimenticare poi l'apporto di Walter Hill), ma non divaghiamo.
La proverbiale pigrizia di Hollywood
Da quando, con Harry Potter e Il Signore degli Anelli, il rapporto di Hollywood con le saghe è cambiato per sempre, non si contano le volte in cui le major hanno deciso di attingere ad epopee degli anni ottanta o novanta riportandole in auge con remake, reboot o, come va di moda da una decina abbondante di anni, con i "legacyquel". D'altronde, investire su un marchio già noto è più semplice che inventarne uno nuovo e sconosciuto e se il suddetto marchio è magari già di proprietà di una data major anche meglio: costa di meno usarlo perché non va acquistato ex novo.
Il problema è che, per quanto popolare un storia e dei personaggi possano essere stati 40 o 30 anni fa, non è detto che oggi diano gli stessi risultati di allora. Solo a titolo di esempio, citiamo quello che è stato fatto dalla Sony con Ghostbusters - Acchiappafantasmi e Jumanji.
A livello d'impatto sull'immaginario collettivo, il primo Ghostbusters si situa a livelli che il primo Jumanji non raggiunge neanche lontanamente nonostante la presenza nel cast dell'amatissimo e compianto Robin Williams. Eppure, a livello di rilanci commerciali, i nuovi Jumanji con The Rock hanno saputo fare quello che tutti i Ghostbusters usciti dal 2016 a oggi hanno provato a conquistare ottenendo degli importanti buchi nell'acqua: interessare nuove fette di pubblico.
Con 962 milioni di dollari incassati, il solo Jumanji - Benvenuti nella giungla ha raccolto 300 milioni di dollari (abbonanti) in più degli ultimi tre Acchiappafantasmi usciti nei cinema dal 2016. Anche tenendo conto del fatto che Ghostbusters: Legacy è uscito in pieno Covid, non è che il recente Minaccia glaciale abbia incrementato il trend, anzi: tecnicamente ha pure incassato una manciata di milioni in meno del precedente.
Tornando in zona Topolino, era naturale che, prima o poi, la major si sarebbe messa a lavorare anche su questa proprietà intellettuale. Cosa che si è puntualmente verificata al cinema e che nel 2025 si ripeterà anche a livello televisivo con Alien: Pianeta Terra.
Alien: Romulus, le opinioni della redazione
Da Alien ad Alien: Romuls
Nei nove lustri che separano l'uscita di Alien da quella di Alien: Romulus è accaduto di tutto. Il mostro con acido nelle vene è passato dalle mani di parecchi registi, fra le quali quelle del "re del mondo" James Cameron che divide insieme a Ridley Scott il trono di regista del miglior capitolo della saga, ha incontrato un altro celebre alieno di casa Fox, Predator, è stato "retconnato" dal padre padrone Scott ed è passato nelle mani della Casa di Topolino con l'acquisizione della 20Th Century Fox. E i danni maggiori non derivano dai passaggi di proprietà dell'IP ma dai repentini cambiamenti d'idee di Ridley Scott.
Riassumendo: prima di dirigere Prometheus, il filmmaker voleva portare in sala due nuovi film di Alien, poi però si era convinto che "la bestia fosse andata" ed ecco che quei due lungometraggi si sono trasformati in quello con Noomi Rapace e Michael Fassbender. Poi pareva che tutto fosse pronto a partire per l'Alien di Neill Blomkamp che, sulla carta, doveva ignorare gli eventi raccontati dal terzo film in poi ricollegandosi direttamente ad Aliens - Scontro finale.
Se non che, all'improvviso, Scott ha fermato tutto: nel mentre, aveva deciso di dirigere Covenant per poi tornare a dire, dopo la release della pellicola, che effettivamente aveva ragione quando diceva che l'universo dell'alieno era finito e andava evoluto in qualcosa di diverso. Tanto che oggi ci ritroviamo per le mani questo Alien: Romulus, fresco fresco di arrivo in streaming su Disney+, che, per la regia di Fede Alavrez, tutto è tranne che un film "evoluto e diverso".È semmai la fiera del riciclo. Neanche fatto bene.
La fiera del riciclo
La buona notizia, non tanto per la persona che in questo momento vi sta parlando e neanche per voi che state ascoltando, quanto semmai per la Disney e i suoi azionisti, è che Alien: Romulus, con 350 milioni di dollari incassati a fronte di un budget di 80 escluse P&A, occupa la seconda posizione, dietro a Prometheus che però era costato molto di più, sul podio dei maggiori incassi della saga.
Ovviamente senza tener conto dell'inflazione perché ragionando in quei termini, è come se l'Alien del 1979, oggi, avesse incassato quasi 300 milioni nel solo nordamerica. La cattiva notizia è che, nonostante l'entusiasmo di Scott verso la pellicola del collega che ha la metà dei suoi anni, Alien: Romulus non propone un'idea originale che sia una ed è popolato da un cast che, ad eccezione dell'androide Andy di David Johnsson, ha la stessa incisività di una bottiglia di acqua gassata aperta da una settimana. Johnsson è anche l'unico ad avere ricevuto un personaggio che aveva ricevuto barlume di lavoro in fase di scrittura.
Tutti gli altri hanno meno spessore della carta velina in una storia dove tutto accade perché deve accadere senza che ci sia un autentico nesso logico fra gli eventi. Beninteso: in modo paradossale, Alien: Romulus è anche un film bello da vedere. Ma è bello da vedere nel senso che potremmo attribuire allo sfogliare un catalogo patinato di mobili e complementi d'arredo. Tutto è studiato per essere accattivante, ma non c'è nulla che finisca per risultare memorabile perché manca di personalità. A eccezione di un segmento a gravità zero che potrà sicuramente colpire chiunque non abbia giocato a Dead Space, l'ottimo survival horror spaziale videoludico che peraltro, anche se maggiormente influenzato da Punto di non ritorno, deve chiaramente molto anche ad Alien.
Senza considerare che, fra apparizioni post-mortem di Ian Holm e dialoghi e situazioni riprese pari pari dai primi due capitoli, la sceneggiatura ci propone di personaggi talmente idioti da far sembrare quelli di Prometheus dei veri "pro" dell'esplorazioni spaziali condite da incontri con organismi alieni. Nel suo voler essere così ottusamente ossequioso verso i primi due leggendari film del filone, si finisce per rimpiangere le stranezze e le mancanze di equilibrio di Alien 3 e Alien: La clonazione.
Prey era l'esempio da seguire
È curioso constatare come questo Alien: Romulus fosse nato come progetto per Disney+ che poi è stato promosso a "film da cinema" (supponiamo che la voce di Ridley Scott possa aver avuto un certo peso in merito), mentre una pellicola come Prey, il riuscitissimo prequel di Predator diretto da Dan Trachtenberg, sia rimasto relegato allo streaming. Quantomeno la sua riuscita ha fatto sì che Trachtenberg finisse a dirigere altre due iterazioni, Predator: Badlands e una girata in segreto di cui non è stato reso noto il titolo, entrambe destinate al grande schermo.
Ecco, indubbiamente anche per l'assenza di una presenza ingombrante come quella di Ridley Scott, con Prey le cose sono andate decisamente meglio sia dal punto di vista cinematografico che da quello della comunicazione.
Dan Trachtenberg è uno che si è fatto le ossa in compagnia di J.J. Abrams e pare aver capito bene, fin da quel The Cellar poi diventato in corso d'opera 10 Cloverfield Lane che mantenere un certo riserbo su quello che si sta facendo è cosa buona e giusta.
E infatti Prey, prima di essere noto con questo titolo era conosciuto come Skulls ed era un film che doveva raccontare la storia di una donna Comanche che sarebbe andata contro le tradizioni, comprese quelle collegate al genere, diventando una guerriera. Ed effettivamente, il film è tutto questo, solo che alla breve logline al "diventando una guerriera" si sarebbe aggiunto qualcosa che aveva a che fare con un cacciatore alieno. Che, intelligentemente, nel film deve farsi le ossa proprio come la protagonista di Amber Midthunder. Lo vediamo che le prende sia da un lupo che da un orso. Ed ecco che è nato un film di genere ottimamente concepito che non dura un'eternità (solo un'ora e quaranta minuti), senza alcuna fase di prolissa esposizione che ammicca a Predator 1 e 2 con delle strizzatine d'occhio dovute senza copiare passo passo quanto fatto da altri.
Semmai Trachtenberg dimostra di aver appreso le lezioni del maestro della geografia e della gestione dello spazio ambientale dei film action, quel John McTiernan che con Trappola di cristallo e Predator ha creato due manuali di cinema, senza scimmiottamenti di sorta. Una lezione che Fede Alvarez pare non aver appreso e che fa rimpiangere, addirittura, Covenant. Che se non altro, in mezzo a tante brutture, ci ha regalato un folgorante epilogo con David (Michael Fassbender) che, sulle note dell'entrata degli dei nel Valhalla di Wagner, portava continuava la sua perversa missione in pieno delirio da eugenetica nazista. Purtroppo, nulla di tutto quello è stato più sviluppato. L'unica cosa che ci porta in dote il finale di Alien: Romulus è la voglia di rimettersi a giocare ad Alien: Isolation per dimenticare quanto visto.