'Hitchcock è uno dei più grandi inventori di forme di tutta la storia del cinema. Su questo argomento, soltanto Murnau e Ejzenstejn, forse, possono reggere il confronto con lui. Il nostro compito non sarà stato inutile, se siamo riusciti a dimostrare come, a partire da questa forma, in funzione del suo stesso rigore, si è elaborato tutto un universo morale'. Era il 1957, quando due delle firme più importanti dei Cahiers du Cinema e successivamente autori di opere centrali della Nouvelle Vague come Eric Rohmer e Claude Chabrol dedicarono al regista inglese un saggio dall'importanza fondamentale, anche più del celeberrimo libro intervista curato da François Truffaut. Il lavoro pionieristico della critica francese rappresentò un passaggio centrale nella ricezione dell'opera di Hitchcock, ai tempi stimato professionista del cinema di grande successo, ma ancora lontano dal sacrosanto plebiscito critico che lo investirà nei decenni successivi, fino a farne uno dei registi più importanti della storia del cinema. Legittimazione critica autorevole e determinante proprio perché elaborata all'interno di un circolo intellettuale alimentato dal desiderio di rifondare il cinema, tagliando i ponti con il passato, alla ricerca di una nuova estetica e di un nuovo modo per raccontarla questa nuova estetica. Eppure questo obiettivo non sfociò mai in un modernismo cieco e iconoclasta, proprio perché attento nello scoprire nel cinema di Hitchcock tra tutti, ma in generale in molto cinema statunitense (teoricamente l'industria portatrice di un valore di reazione) elementi di rinnovamento e di importanza assoluta.
Ci manca terribilmente una critica cinematografica con tali obiettivi e tale lucidità ai nostri tempi. Ma soprattutto a mancarci è Alfred Hitchcock e il suo cinema assoluto e vulcanico. Talmente denso che a trent'anni dalla sua morte, avvenuta a Los Angeles il 29 aprile 1980, la sua eredità è ancora intatta e inscalfibile. Talmente ingombrante da far sembrare vivo lui e postumi in vita tanti autori di oggi, incapaci di raccontare il mondo circostante con la profondità e l'accuratezza del suo sguardo rivoluzionario. Prendere in mano oggi, nel 2010, l'opera del regista inglese significa senza mezze misure accettarne l'immortalità. Non è un caso che i grandi vecchi del cinema contemporaneo ne avvertano sempre più il valore, tanto che Woody Allen gli dedica idealmente Sogni e delitti ma soprattutto Match Point (con quel bellissimo finale e con un plot dove aleggia costantemente Il terzo uomo) e un maestro del cinema europeo come Polanski ha filmato proprio quest'anno L'uomo nell'ombra, film dove si annida in ogni inquadratura l'ombra del regista di Psycho e La donna che visse due volte. Non si tratta di un semplice omaggio, perché quello del regista polacco è un film di Hitchcock. Un atto dimostrativo della sua esistenza e attualità attraverso un'opera che ne rievoca la presenza nel ritmo, nelle atmosfere, negli sviluppi e nella suspense. Formatosi nel disorganico mondo del cinema inglese degli anni '20, Hitchcock impara i rudimenti del linguaggio con l'esperienza mostrando sin dai primi lavori un'inventiva e un controllo della macchina cinema sbalorditiva, tanto che già nel 1928 con Il Pensionante (e successivamente con L'uomo che sapeva troppo) dà forma a alcune intuizioni che diverranno un suo marchio di fabbrica, come il voyeurismo, l'instradamento dello spettatore verso la soluzione dell'enigma, il MacGuffin e l'accusa di crimine a un uomo innocente. Ma soprattutto sotto il profilo formale, inizia il suo lavoro di ricerca sull'immagine che lo porterà a intuizioni insuperabili. In questo senso il muto (come anche in forma minore il bianco e nero) rappresentano una palestra fondamentale. Il muto di fatto costringe a cercare tecniche espressive sempre più raffinate per mettere in scena quello che il cinema sonoro racconterà con il supporto dei dialoghi. Fu proprio il regista inglese a confessare a Truffaut come l'avvento del sonoro abbia riportato indietro il cinema alla sua radice più teatrale, proprio nel momento di massima perfezione del linguaggio, trasformandolo in una fotografia di gente che parla. Non sarà però il caso di Hitchcock che anche con il sonoro proseguirà il suo percorso di innovazione portando a compimento una sintesi tra forma e contenuto che travalicherà l'annosa dicotomia storica di derivazione estetica. Sarà soprattutto l'avvento negli Stati Uniti a permettergli, per via del rigido inquadramento produttivo, un approccio sempre più rigoroso, lontano dal virtuosismo, di cui troppo spesso è accusato ingiustamente. La forma nel cinema di Hitchcock è chiaramente un'espressione del contenuto e il ricorso a angolazioni e posizioni estreme della macchina da presa, come l'utilizzo ricercato dei trucchi e del montaggio, contrariamente alla stragrande maggioranza del cinema contemporaneo, sono sempre funzionali al narrato e seguono la grandissima sofisticatezza del regista nel saper cogliere le più variabili e ricche manifestazioni dell'animo umano. Questo profondo umanesimo del suo cinema, che rivendicano i critici della Nouvelle Vague e che troppo spesso è stato celato dal discorso sulle sue ossessioni e le sue abilità di intrattenitore, ci fornisce una chiave di lettura per comprendere il fallimento dell'estetica post-hitchcockiana, laddove ne viene sposata la grammatica, ma mai l'intensità e la ricercatezza dello sguardo. Perfino Brian De Palma, l'autore che più ha de-costruito e sviluppato il cinema di Hitchcock, portando a compimento alcuni nodi tematici irrisolti con risultati sbalorditivi, ne ha spesso svuotato il percorso morale. Nel giro di quindici anni, dal dopoguerra al 1960, Hitchcock ha codificato definitivamente tutte le regole d'espressione del thriller, non solo attraverso le sue opere più mature come Notorious - l'amante perduta, La donna che visse due volte e Intrigo internazionale (sintesi manifesto della sua arte in termini di tensione e suspense, prima dell'esperimento avanguardista di Psycho che segnerà un punto di non ritorno) ma anche attraverso opere minori, poco stimate dal suo stesso creatore, come Il delitto perfetto, Io ti salverò e Il ladro. Film dove il regista inglese continua a introdurre elementi, mentre parallelamente affina la sua riflessione teorica sull'esperienza cinematografica che raggiunge con La finestra sul cortile il punto più alto; la dimostrazione della superiorità dell'immagine sulla parola. Sarà Psycho e il suo trattato sulla paura a fornire il definitivo punto di approdo del suo cinema, nonostante le notevoli opere successive. Al di là della sua fama e del successo, Psycho è molto più che un thriller congegnato perfettamente: è un'opera che porta all'estremo la riflessione dell'autore sul vedere sottraendo e generando aspettative nello spettatore con una pratica dell'uso delle informazioni totalmente eversiva. La natura doppia e falsificante dell'esperienza cinematografica non potrebbe avere esempio più assoluto. Il film impone una sterzata assoluta al genere ed è giustamente ricordato anche come uno degli esempi di massima avanguardia realizzabili dentro l'industria, anche grazie al metodo di lavoro del regista inglese, in grado di scavalcare i paletti della produzione per l'ardua intelligibilità esterna del suo lavoro, prima del risultato finale. E' ovviamente vastissima l'eredità della sua opera nel cinema contemporaneo, come in quello immediatamente successivo alla sua morte, ma dietro la vuota cornice formale o l'omaggio in una sequenza, sono rari i casi in cui la lezione hitchcockiana sia collegata a una forte consapevolezza degli strumenti e delle tecniche del suo cinema. Se ne sono viste interessanti variazioni in certo poliziesco americano di inizio e metà anni '70 - genere che costretto a rincorrere le novità imposte dal nuovo cinema indipendente americano sviluppatosi a fine anni 60', fu capace di sfornare opere dal grande rigore e dalla notevole suspense - o in molti thriller investigativi, genere che Hitchcock non amava assolutamente, convinto che la soluzione dell'enigma costringesse a spiegare l'intero plot nel finale a scapito della suspense. Consapevole della lezione di Hitchcock, forse in modo quasi eccessivo e intellettuale, invece è stato il già citato Brian De Palma che soprattutto nei due capolavori Vestito per Uccidere e Omicidio a luci rosse si è dimostrato l'unico autore capace di aprire nuove direzioni nel cinema del maestro, coniugandone e sviluppandone i temi nel suo mondo cinefilo e psicanalitico, alimentato dall'ossessione per il doppio e per il voyeurismo. Di grande interesse l'influenza che il suo cinema ha dato al thriller italiano di Dario Argento, dei suoi epigoni e del suo maestro Mario Bava, ma si rientra nel campo dell'influenza quasi contemporanea, specie per il secondo, che condivide con il regista inglese non solo il talento visionario ma anche l'anno della morte. Doverosi di citazioni anche Le verità nascoste di Robert Zemeckis e Il Fuggitivo, curiosamente assimilabili dalla presenza di Harrison Ford, la cui filmografia è ricca di thriller vagamente debitori al regista inglese, come anche Presunto innocente e Frantic. Più recentemente Il talento di Mr.Ripley di Anthony Minghella e Prova a prendermi di Steven Spielberg hanno riportato in vita tematiche tipicamente hitchcockiane ma è il remake che Gus Van Sant ha fatto di Psycho a fornire spunti di grande interesse teorico sull'opera del regista inglese. La scelta di rigirare il classico di Hitchcock in modo esattamente speculare all'originale ha lasciato perplesso il pubblico e solleticato le fantasie di molta critica, ma l'operazione è senz'altro importante perché rimette al centro il cinema di Hitchcock, dimostrandone la natura spettacolare e intellettuale allo stesso tempo, arrendendosi alla sua grandezza e alla sua attualità.Alfred Hitchcock: l'immortale
Il trentennale della morte di Alfred Hitchcock ci fornisce lo stimolo per ripercorrere la sua incredibile carriera e sottolineare l'importanza assoluta della sua opera, ancora attuale e insuperata.