A.I. – Intelligenza artificiale: uno Spielberg minore o il miglior film degli anni Duemila?

A.I. - Intelligenza artificiale è stato eletto al primo posto nella classifica di IndieWire dei migliori film del decennio 2000-2009: perché l'opera di Spielberg è stata rivalutata a tal punto?

Un'immagine di Haley Joel Osment

Il 12 agosto la redazione di IndieWire, uno dei principali magazine online di cinema, ha celebrato il primo decennio del ventunesimo secolo stilando una classifica dei cento migliori film degli anni Duemila. Si tratta di un esercizio non raro, nell'ottica di provare a definire e/o rimodellare il canone cinematografico contemporaneo; e in casi del genere i risultati, per quanto ovviamente opinabili, presentano spesso diversi motivi di interesse, soprattutto quando propongono qualche elemento sorprendente. E la lista di IndieWire ha riservato almeno una grande sorpresa, proprio alla sua sommità: al primo posto della classifica, con una decisione tutt'altro che scontata, è stato eletto A.I. - Intelligenza artificiale, dramma di fantascienza realizzato nel 2001 da Steven Spielberg sulla base di un progetto coltivato per oltre vent'anni da Stanley Kubrick.

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A.I. – Intelligenza artificiale: un'immagine di Haley Joel Osment

La scelta dei redattori di IndieWire ha ricevuto la seguente motivazione da parte del critico David Ehrlich: "A.I. di Steven Spielberg è emerso gradualmente come il più grande film del proprio decennio [...]. Fin dall'inizio, la storia colloca il tempo e l'amore in un inconciliabile pas de deux - le due forze intrecciate l'una all'altra alla disperata ricerca di un connubio". Tratto da un racconto pubblicato nel 1969 dallo scrittore inglese Brian Aldiss, Supertoys che durano tutta l'estate, riadattato dallo stesso Spielberg nelle vesti di sceneggiatore, A.I. - Intelligenza artificiale descrive un futuro in cui è stato messo a punto un rivoluzionario bambino-robot in grado di provare un sentimento d'amore nei confronti dei propri 'genitori'; questo amore diventa così la ragion d'essere del piccolo David, interpretato dall'allora dodicenne Haley Joel Osment, anche dopo che il bambino-robot viene abbandonato dalla famiglia d'adozione in quanto ritenuto un pericolo per il fratellino biologico, risvegliatosi all'improvviso da un coma ritenuto irreversibile.

Da Steven Spielberg a Yang e Lynch: il nuovo canone del ventunesimo secolo

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Un'immagine del film Yi Yi di Edward Yang

Il primo posto di A.I. - Intelligenza artificiale è accompagnato da una selezione di titoli che, in linea generale, rispecchia le principali tendenze critiche degli ultimi anni e le preferenze già espresse in numerose classifiche analoghe. Gli altri due gradini del podio, ad esempio, sono occupati da due capolavori conclamati usciti entrambi all'alba del millennio, in prossimità del film di Steven Spielberg: al secondo posto troviamo Yi Yi, ultima, meravigliosa opera del regista taiwanese Edward Yang, un affresco intimista delle vite dei membri di una famiglia di Taipei nell'arco di un anno; mentre al terzo posto figura l'immancabile Mulholland Drive, thriller surreale di David Lynch, considerato per antonomasia il film più rappresentativo dei primi anni Duemila. Pure nel resto della Top 10 di IndieWire non mancano altri "soliti noti", ovvero Il petroliere di Paul Thomas Anderson (sesto) e La città incantata di Hayao Miyazaki (decimo), insieme a pellicole di autrici stimatissime dai cinefili: 35 rhums di Claire Denis (quinto), Les plages d'Agnès di Agnès Varda (settimo) e Lost in Translation di Sofia Coppola (ottavo).

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Mulholland Drive: un'immagine tratta dalla scena al Club Silencio

Non è insolito, del resto, che classifiche dal taglio marcatamente cinefilo tendano a privilegiare opere dalla forte impronta autoriale e caratterizzate da un linguaggio filmico innovativo: si tratta di una delle principali ragioni della consacrazione immediata di Mulholland Drive, ormai il film-simbolo della poetica di David Lynch, presente nella lista di IndieWire anche con Inland Empire (al numero 69), e del ruolo di assoluto rilievo occupato da Wong Kar-wai, 'solo' al tredicesimo posto con l'iconico In the Mood for Love, ma capace di guadagnarsi un inaspettato quarto posto con il suo sequel 2046, proprio in virtù di una maggiore complessità. Insomma, scelte più prevedibili rispetto a Steven Spielberg, regista di somma e indiscutibile fama, ma che negli scorsi decenni di carriera è stato l'alfiere di una tradizione 'classica' del cinema americano, nello stile come nelle modalità di narrazione: si pensi, solo per limitarci al ventunesimo secolo, a film quali Munich, War Horse, Lincoln, Il ponte delle spie e The Post, nonché agli espliciti richiami all'immaginario hollywoodiano de La guerra dei mondi, West Side Story e dell'autobiografico The Fabelmans.

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Il Pinocchio sci-fi di Steven Spielberg (e Stanley Kubrick)

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Steven Spielberg e Haley Joel Osment in una foto dal set

Anche A.I. - Intelligenza artificiale è, da questo punto di vista, un'opera inconfondibilmente spielberghiana, benché con un approccio meno 'spettacolare' e con toni molto più malinconici del consueto. La sua esplicita rivisitazione del modello narrativo di Pinocchio di Carlo Collodi approfondisce in particolare il sentimento di abbandono del David di Haley Joel Osment e la sua strenua ricerca di un senso di identità e di appartenenza: è un piccolo robot che vuole diventare un essere umano per potersi ricongiungere alla madre, così come E.T. desiderava ricongiungersi alla propria specie. A.I. - Intelligenza artificiale è un altro capitolo di quel settore di fantascienza umanistica in cui rientrano appunto E.T. l'extra-terrestre ed Incontri ravvicinati del terzo tipo; ma la sua mesta visione di un futuro semi-apocalittico e la struggente parabola di David, che si concluderà fra i resti di una Manhattan desolata e semisommersa dall'oceano, nel 2001 non favoriscono più di tanto la popolarità del film, che alla sua uscita registra infatti un successo inferiore alle aspettative.

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Jude Law e Haley Joel Osment in un'immagine del film

Distribuito a tre anni di distanza dal trionfo di Salvate il soldato Ryan, A.I. - Intelligenza artificiale si rivela una sostanziale delusione in patria sul piano commerciale: costato cento milioni di dollari, in Nord America non arriva neppure a ottanta milioni, a causa di un passaparola poco incoraggiante. Nel complesso, il verdetto del box-office risulterà positivo solo grazie all'ottima accoglienza in Giappone, responsabile di un terzo degli incassi globali, e anche la ricezione critica non riserva eccessivi entusiasmi: al film vengono imputati un imperfetto equilibrio nell'amalgama fra le sensibilità di Steven Spielberg e di Stanley Kubrick, improvvisi cambiamenti di ritmo nella struttura drammaturgica e, in generale, una certa difficoltà a sostenere ambizioni così elevate. E in una filmografia tanto ampia e conosciuta come quella di Spielberg, letteralmente il cineasta più amato dell'ultimo mezzo secolo, un esito del genere equivale ad essere derubricato ad "opera minore".

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Un primo piano di Haley Joel Osment

Ma da lì in poi, qualcosa sarebbe cambiato. Se c'è chi, come il leggendario Billy Wilder, non tarda a definirlo quale "il film più sottovalutato degli scorsi anni", in seguito A.I. - Intelligenza artificiale godrà di una progressiva rivalutazione dei propri meriti: nel 2016 un sondaggio fra critici condotto dalla BBC lo colloca alla posizione numero 83 tra i migliori film post-2000, mentre nel 2021 il suo ventennale viene celebrato dalla rivista National Review con un articolo di Armond White dal titolo A.I. is the best film of the 21st century (A.I. è il miglior film del 21° secolo). Ma ben più delle inesorabili derive della crisi climatica, del recente sviluppo delle intelligenze artificiali o delle paranoie di una civiltà intrinsecamente fragile, ci sono delle tematiche universali al cuore della (tardiva) fortuna del dramma sci-fi di Spielberg: l'amore come componente endemica della nostra esperienza e una riflessione sulla natura umana in cui le prospettive di Kubrick e di Spielberg si fondono in un connubio anomalo ma dal notevole impatto.

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Haley Joel Osment e Frances O'Connor in un'immagine del film

È un connubio in cui la dolorosa cognizione della caducità e della perdita, questioni rintracciabili nel cinema kubrickiano fin da 2001: Odissea nello spazio, si accompagna a una fede incrollabile nella nostra capacità di amare, uno degli assi portanti della poetica spielberghiana. "L'amore è la ribellione contro il tempo", è la chiosa di IndieWire sul messaggio di un film che si contrappone al clima di nichilismo e al senso di smarrimento e disillusione tipici di gran parte della cultura e del cinema di inizio millennio, e accentuati dall'11 settembre e dalle sue conseguenze sullo scenario mondiale. Senza facili rassicurazioni né presunti 'buonismi', troppo spesso (e ingiustamente) attribuiti a Spielberg, A.I. - Intelligenza artificiale è un racconto che fa i conti con il nostro egoismo, in quanto individui e in quanto società, e la relativa facoltà di infliggere sofferenza; ma che, attraverso i codici della fiaba, ribadisce la necessità di aggrapparsi all'amore in quanto tratto distintivo dell'umanità stessa. E, come suggerisce lo straordinario epilogo, forse l'unico in grado di sottrarci alla catastrofe e darci la speranza di riemergere dall'abisso.