Poco prima dell'epilogo di Storia di un matrimonio il protagonista maschile, Charlie Barber, è seduto accanto al figlioletto Henry, al quale sta leggendo il testo di una lettera. Si tratta di una scena apparentemente semplice, eppure nel corso di quella manciata di secondi accade qualcosa: la voce di Adam Driver assume un altro tono, comincia ad incrinarsi, mentre l'espressione del suo volto muta davanti ai nostri occhi, un attimo dopo l'altro. Si tratta, senza aggiungere ulteriori informazioni sul finale del film, di uno dei momenti più genuinamente commoventi che si siano visti in questi ultimi anni su uno schermo, di qualunque dimensione esso sia: un piccolo miracolo di recitazione e di scrittura, il suggello perfetto di uno dei migliori film del 2019 (a parere di chi scrive, il più bello in assoluto).
Ecco: a volte, una scena del genere è più che sufficiente a far percepire la grandezza di un attore. Non che il talento di Adam Driver, nato a San Diego ma cresciuto in Indiana, trentasei anni il 19 novembre, fosse un segreto: più o meno intorno al 2012, dalla partecipazione alla serie televisiva Girls ai ruoli brevi ma incisivi in film come Frances Ha, Lincoln e A proposito di Davis, l'attore californiano ha iniziato ad attrarre l'attenzione del pubblico. Ma il 2019 in procinto di concludersi è stato davvero il suo anno d'oro, caratterizzato da una serie di progetti che stanno mostrando sempre di più l'incredibile versatilità di Adam Driver... al punto che, forse, sarebbe addirittura possibile considerarlo il più bravo interprete della sua generazione.
Da Girls agli Oscar: una carriera in ascesa
Una statura imponente (un metro e novanta) a cui fa da contraltare un vago sentore di timidezza che trapela dallo sguardo e la bellezza irregolare di un volto dai tratti particolarmente marcati: quella "faccia enorme", come lui stesso la definiva a inizio carriera, paragonandosi a un cartone animato che non avrebbe mai ottenuto parti da protagonista. Eppure, mentre in TV si calava nei panni del 'ragazzaccio' di Girls, al cinema sono arrivati ruoli via via più importanti: dal premuroso marito americano di Alba Rohrwacher nello psicodramma Hungry Hearts di Saverio Costanzo, che gli è valso la Coppa Volpi al Festival di Venezia 2014, al documentarista rampante di Giovani si diventa, sua seconda collaborazione con Noah Baumbach, in cui rubava puntualmente la scena.
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Se Baumbach è stato fra i primi ad accorgersi della sua bravura, negli ultimi tre anni Adam Driver si è fatto dirigere da altri registi di primissimo piano: Jim Jarmusch, per il quale ha dato vita a un poeta gentile e sensibile in Paterson; Martin Scorsese, che lo ha voluto come comprimario di Andrew Garfield nel magnifico Silence; Steven Soderbergh, che lo ha affiancato a Channing Tatum nell'heist movie La truffa dei Logan; Terry Gilliam, in qualità di alter ego di Sancho Panza nel suo travagliato L'uomo che uccise Don Chisciotte; e Spike Lee, per il quale ha vestito i panni di un detective della polizia del Colorado nell'apprezzato BlacKkKlansman, il film che, nel gennaio del 2019, gli ha fatto guadagnare la sua prima nomination all'Oscar come miglior attore supporter.
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Broadway, Cannes e i nuovi film, aspettando Star Wars: L'ascesa di Skywalker
Il 2019 di Adam Driver, insomma, è stato inaugurato da diverse candidature importanti: oltre agli Oscar, anche la nomination al Tony Award per la sua elogiatissima performance a Broadway in un revival del dramma Burn This. Sempre in primavera il suo nuovo film con Jim Jarmusch, la commedia horror I morti non muoiono, è stato la pellicola d'apertura della settantaduesima edizione del Festival di Cannes, nonostante un responso non troppo convinto da parte della critica. E adesso, in pieno autunno, Adam è di nuovo sulla cresta dell'onda con due fra i titoli più lodati dell'intera annata: The Report, rigoroso film-inchiesta presentato al Sundance, e Storia di un matrimonio, accolto da fragorosi applausi alla Mostra di Venezia, entrambi in uscita nelle sale italiane lunedì 18 dicembre (prima di arrivare rispettivamente su Amazon Prime e su Netflix).
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Questo ovviamente senza dimenticare l'altra opera che, alle soglie del periodo natalizio, occuperà i cinema di tutto il mondo: Star Wars: L'ascesa di Skywalker di J.J. Abrams, il capitolo conclusivo della terza trilogia della saga più popolare del cinema di ogni epoca. Una trilogia che ci ha dato modo di parlare più volte del ritratto fornito da Adam Driver dell'antagonista Kylo Ren: un villain feroce ed impulsivo, dominato da emozioni violente e, pertanto, quanto di più lontano si potesse immaginare dalla crudeltà gelida e granitica del suo 'predecessore' (e nonno), Darth Vader. A nostro giudizio, Kylo Ren si è rivelato uno degli elementi di maggior interesse della nuova trilogia di Star Wars, e buona parte del merito va attribuita proprio al suo efficacissimo interprete.
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L'eroe di The Report
Tuttavia, a volte si può correre il rischio di dare per scontato un attore come Adam Driver. Almeno fino ad oggi, quasi tutti i suoi ruoli non hanno richiesto radicali trasformazioni fisiche, né sono collegati a personaggi estremi: al contrario, ciò che Adam ha saputo fare meglio è stato incarnare la 'normalità' di uomini comuni, alle prese con situazioni, sfide e travagli sentimentali non molto distanti, in fondo, dall'esperienza di chiunque di noi. Di conseguenza la sua è una recitazione naturalistica, spesso sotto le righe: si prenda ad esempio Daniel Jones, il giornalista di The Report che indaga sui metodi di tortura adoperati dalla CIA. La prova di Driver nell'eccellente opera prima di Scott Z. Burns, come rilevato nella nostra recensione di The Report, è interiorizzata, sommessa, affidata a una tensione nervosa che scorre sottopelle, quasi impalpabile.
Che si trovi a trattenere l'indignazione per le atrocità che sta portando alla luce o a sostenere il confronto con la senatrice Dianne Feinstein (i suoi 'duetti' con Annette Bening sono fra i massimi punti di forza del film), Daniel è animato da un'urgenza, da una rabbia, da un desiderio di giustizia che Adam Driver trasmette in maniera silenziosa quanto ammirevole. Qualcosa di analogo a ciò che accade nel capolavoro di Noah Baumbach, in cui però l'attore, stavolta al fianco di Scarlett Johansson, ha l'occasione di prodursi in un autentico tour de force; e il risultato è un'interpretazione a dir poco maestosa, tale da renderlo l'unico, possibile rivale del Joker di Joaquin Phoenix nella prossima corsa agli Oscar.
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Storia di un matrimonio: la performance dell'anno
Storia di un matrimonio, vale la pena ripeterlo, è un'opera dalla forza emotiva impressionante: uno di quei felicissimi casi in cui la visione di un film ha l'impatto di un'epifania, capace di imprimere un segno profondo in chiunque riesca ed entrare in empatia con i suoi protagonisti, alle prese con turbamenti quotidiani e terremoti personali. Per Charlie, regista teatrale Off-Broadway, il terremoto che travolge la sua esistenza è la separazione dalla moglie Nicole, che si trasferisce dalla famiglia a Los Angeles, e il costoso braccio di ferro legale per l'affidamento del piccolo Henry: un saliscendi di frustrazioni e di speranze, di tenerezza e di furia, che ha in Adam Driver il suo cuore pulsante.
Fino a un attimo prima irresistibilmente buffo, un istante più tardi costretto a metabolizzare il crollo del proprio equilibrio familiare, Charlie è una figura a cui Driver conferisce un carisma formidabile (la sua performance da brividi della canzone Being Alive) e al contempo una meravigliosa fragilità. Meravigliosa nella misura in cui permette di portare a galla il senso di umanità e di verità del personaggio: che si affanni a dimostrarsi un padre modello, a dispetto del taglio che lo sta dissanguando (occhio: difficilmente quest'anno assisteremo a una scena più divertente!), o che tenti di ricacciare indietro le lacrime davanti a un amore ormai finito. Perché se Storia di un matrimonio è un film che ricorderemo a lungo, lo dobbiamo anche e soprattutto a questo attore straordinario.
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