A Roma è il giorno dei vampiri di Let me in

Abbiamo incontrato Matt Reeves, giovane regista e sceneggiatore dell'acclamato remake americano di Lasciami entrare, a Roma per presentare fuori concorso l'avvincente thriller che vede protagonisti due ragazzini alle prese con le prime turbative sentimentali, con l'amicizia e con la diversità.

Dopo aver stregato le platee del Festival di Toronto e fresco fresco di uscita nelle sale americane Let me in sbarca in Italia nella notte di Halloween sui grandi schermi del Festival Internazionale di Roma. Il film è tratto, come l'originale pluripremiata pellicola svedese del 2008 diretta da Tomas Alfredson, dal best seller Lasciami entrare di John Ajvide Lindqvist (edito in Italia da Marsilio Editore), ed è scritto e diretto da Matt Reeves, unico ad accompagnare il film qui a Roma, collaboratore di J.J. Abrams nonchè sceneggiatore e regista di Tre amici, un matrimonio e un funerale e del catastrofico monster-movie Cloverfield.
Al centro della storia ancora una volta l'amicizia tra due ragazzini che vivono in una cittadina del New Mexico, Abby e Owen, interpretati dai piccoli Chloe Moretz (la rivelazione di Kick-Ass) e Kodi Smit-McPhee, già visto nei panni del figlioletto di Viggo Mortensen nel post-apocalittico The Road. Lei è una misteriosa dodicenne vicina di casa di Owen che lui spia dalla finestra soprattutto di notte, lui un ragazzino timido e introverso, vittima della solitudine e spesso vittima del bullismo dei suoi compagni tra i banchi di scuola. Senza intuire quel che di misterioso e pericoloso si cela in lei, il ragazzino stringe con la sua nuova vicina un'amicizia molto forte, ma quando una serie di omicidi colpisce la piccola comunità Owen sarà costretto a confrontarsi con un'agghiacciante verità: Abby è un vampiro.
Nel cast anche il bravissimo Richard Jenkins ed Elias Koteas, mentre le musiche che accompagnano in sottofondo questo delicato dramma adolescenziale narrato in chiave orrorifica sono di Michael Giacchino, lo stesso curatore della colonna sonora di Lost. La crescita, la maturazione sentimentale, l'amicizia e l'accettazione della diversità nel primo film prodotto dopo tanti anni dalla storica casa di produzione inglese Hammer e distribuito in Italia da Filmauro.

Come si è posto rispetto alla possibilità di ripetere un film che in origine era stato concepito e portato sul grande schermo da altri? Matt Reeves: Ho finito di lavorare per Cloverfield nel gennaio del 2008, cioè esattamente un anno prima che uscisse il film originale, in quel momento stavo lavorando ad un progetto che si intitolava The Invisible Woman con Naomi Watts, progetto che poi saltò. Decisi a quel punto di finire Cloverfield e poi riprovare con il mio progetto qualora riuscissi ad avere un buon successo al botteghino. Provai con diverse case di produzione tra cui la Overture che poi è fallita come diverse altre indipendenti. Poi venne distribuito Lasciami entrare e la Hammer mi disse che avrebbe voluto comprare i diritti per un remake, mi chiesero di guardalo e di decidere se potesse interessarmi. Sconvolto dalla bellezza del film originale e da quel bambino attanagliato dal dolore lancinante tipico dell'adolescenza, c'erano molti elementi comuni tra questo film ed il progetto di cui sopra, che avevo scritto ma che non riuscivo a far decollare. Ho capito solo successivamente che si trattava di un film sui vampiri e mi sono reso conto in quel momento che il progetto era davvero straordinario, perchè riusciva a miscelare un film di genere con una storia drammatica e dolorosa sulla maturazione, sugli orrori dell'adolescenza che un po' tutti, chi più chi meno, ha vissuto nella sua vita.

Come ha fatto a farlo 'suo'? Matt Reeves: Pensai tra me e me che non era possibile farne un remake, poi pensai che poteva essere interessante portare un film come questo all'attenzione del pubblico americano, che non sarebbe stato propenso a vedere nelle sale un film svedese sottotitolato e che quindi avrebbe perso la possibilità di apprezzare uno dei migliori film degli ultimi anni. Poi ho letto il romanzo autobiografico da cui era tratto il film svedese scritto da John Ajvide Lindqvist, anche sceneggiatore del film originale, e mi era piaciuta tantissimo l'ambientazione negli anni '80 in Svezia, in un momento in cui anche io crescevo negli Stati Uniti e vivevo le stesse esperienze. John per fortuna aveva molto apprezzato Cloverfield e rimase colpito perchè anzichè il lato orrorifico della storia gli avevo detto che quel che a me interessava di più era il dolore dell'adolescenza, a maggior ragione sapendo che quella era un po' la storia della sua infanzia. Proprio grazie a questa nostra simbiosi sull'argomento si sono dissolti tutti i miei dubbi iniziali e mi sono convinto ad approcciarmi al film. Volevo con tutto me stesso che fosse chiaro che questa è una storia interamente vista e vissuta con gli occhi di un ragazzino, e che è un racconto pieno di paura e di terrore per quello che tutto il mondo che gli sta intorno provoca nel suo animo. Ovviamente quel che salta di più agli occhi dello spettatore sono le scene horror degli attacchi del vampiro nei confronti delle sue vittime, ma a fungere da innesco è tutta la parte psicologica che introduce quei momenti.

Entrando nei dettagli quali sono secondo lei le novità più rilevanti a livello visivo e narrativo presenti nel suo film rispetto al titolo originale svedese? Matt Reeves: E' stato questo l'impegno più gravoso, quello di apportare delle modifiche significative. Ho visto due volte il film svedese, poi mi sono fermato e ho chiesto a tutti, tecnici e attori, di non guardarlo se non alla fine di tutto. Volevo che ne venisse fuori una nostra versione nonostante volessi raccontare fedelmente l'esperienza di maturazione del ragazino protaginista. I dialoghi tra i due protagonisti sono presi pari pari dal libro, mentre il contesto è completamente diverso essendo in America, questo racconto è basato sui dettagli e ricordi miei di adolescente. Consiglio a tutti di leggere il romanzo perchè è bellissimo, alla stregua di un libro di Stephen King che di capitolo in capitolo cambia il suo punto di vista, mentre il suo sguardo, quello di Owen, è al centro della storia. Le mie attenzioni erano tutte per lui ed ho per questo deciso di dare meno spazio ai personaggi secondari. Erano necessari allo svolgimento della storia in tutte le sue evoluzioni, volevo un po' guardare da vicino, ma non troppo, gli adulti che lo circondano e che gli vivono attorno, per questo ho raccontato tante piccole storie accessorie, per illuminare i suoi momenti di crescita e le sue prime esperienze a contatto con la sessualità, con la scoperta del proprio corpo e con l'amore. Tutto ciò non c'era nel film originale, ma ricordo che speravo di vedere la vicina di casa attaccata ferocemente da Abby. Anche lo scrittore è stato contento di queste modifiche, specialmente dell'introduzione del parallelo con Romeo e Giulietta.

All'inizio del film si insiste molto sull'immagine di Ronald Reagan e sul bene ed il male. E' stato questo il suo modo di sottolineare la cattiveria dell'America e per contestualizzare la storia in quegli anni, o era il suo modo di mettere in risalto la violenza e la cattiveria della società americana di quel tempo, ma anche di oggi? Matt Reeves: L'uso di Reagan è stato qualcosa che ho voluto inserire perchè viene direttamente dalla mia memoria; ho deciso di inserirlo per entrambi i motivi, da una parte per contestualizzare il racconto e dall'altra per avvicinare maggiormente il film al romanzo originale di cui avevo apprezzato l'idea dell'impossibilità di distinguere tra bene e male. Mi affascinava questa empatia che non si può far a meno di provare per alcuni dei personaggi, nonostante essi non compiano sempre delle azioni condivisibili. Owen è vittima di bullismo, nel libro è un bambino tormentato a tal punto da affezionarsi ai serial killer, si sente impotente ed è totalmente incapace di vendicarsi. Prima di scrivere mi sono chiesto cosa accadrebbe ad un ragazzino isolato come è Owen se si trovasse in una società in cui un Presidente parla di bene e male in televisione e per radio in un modo così semplicistico. A quell'epoca il male era altrove, in Russia, come si sarebbe posto un bambino come Owen di fronte a questa realtà soprattutto se si fosse sentito lui stesso l'incarnazione del male? Nel paesino raccontato nel libro non c'è quasi nulla, neanche una chiesa, per questo lo scrittore sottolinea che i cittadini non erano preparati a quegli eventi così spaventosi. Leggendo il romanzo mi sono tornati in mente film come Poltergeist: demoniache presenze ed E.T. L'extraterrestre, in cui il protagonista al centro della storia era un bambino alla ricerca della propria identità.

Una delle scene più importanti del film è quella in cui Richard Jenkins nascosto nel bagagliaio dell'auto poi provoca l'incidente che gli sarà fatale. J.J. Abrams che suo grande amico l'ha vista? Matt Reeves: Attualmente J.J. sta lavorando ad un nuovo film insieme a Steven Spielberg, io e lui ci siamo conosciuti al liceo ed insieme abbiamo iniziato a fare questo lavoro. Gli è piaciuto tantissimo Let me in, tanto che si è fatto dare una copia del film non ancora montato e mi ha dato il suo giudizio. La scena dell'incidente d'auto è ispirata a Delitto Perfetto, anche lì lo spettatore è portato a provare simpatia per un personaggio che compie azioni terribili. Il personaggio di Jenkins ha l'aspetto di un serial killer, ma alla fine è quello che porta a svelare la realtà di Abby. La dinamica l'ho copiata dal fatto realmente accaduto di un uomo che è stato trovato sul sedile posteriore di un'auto parcheggiata in una stazione di servizio. Mi sono molto ispirato a Hitchcock.

Nel suo film c'è sia la logica rompicapo che il tema del sacro come contraltare e il detective è il personaggio che meglio racchiude questo contrasto. Ha usato questi elementi per mostrarci una comparazione tra questi due mondi opposti? Matt Reeves: A me interessava il percorso adolescenziale del ragazzino che apprende le cose per conoscenza e le da un po' per scontate prima di affrontare in prima persona queste esperienze. All'inizio il poliziotto cerca di usare la logica per capire cosa sta accadendo, si trova di fronte una persona sfigurata in un letto d'ospedale e si basa solo sugli eventi senza preoccuparsi di altro, considera le vittime degli omicidi come membri di una setta di satanisti, ragiona sulle cose ma poi nel corso del film questa realtà viene meno e le risposte per lui diventano sorprendenti e incredibili. Ed alla fine muore in virtù di questa sua testardaggine, perchè non crede ad una soluzione alternativa a quella che si è prefigurato nella sua mente, e la cosa gli sarà fatale.