A colloquio con Animanera

Regista ed attori hanno raccontato alla stampa le motivazioni dietro un'opera che tocca temi oscuri della nostra società.

Dopo quasi due anni di traversie e difficoltà Animanera di Raffaele Verzillo, un thriller che affronta il delicato tema della pedofilia, approda nelle sale italiane il prossimo 29 agosto. L'attesa è stata ampiamente ripagata, perché il film del regista casertano potrà avvalersi della distribuzione di una vera e propria major come Medusa. Inoltre Verzillo è riuscito a costruire attorno ad Animanera una fitta rete di eventi di supporto, che non mancheranno di dare visibilità al progetto. A cominciare dal sostegno di numerose associazioni per la tutela dei minori - come La Caramella buona, Aquilone Blu, Telefono Arcobaleno, Associazione Prometeo, Mobilitazione Sociale e Fondazione Movimento Bambino - che allestiranno degli stand anche nei cinema. Si aggiunga anche il patrocinio della Croce Rossa italiana e l'appoggio di Radio Italia in qualità di media partner. Presso la Casa del cinema di Roma, infine, è stata allestita anche un'esposizione di scatti provenienti dal set. Regista e attori si dimostrano molto disponibili nel raccontare le motivazioni di un'opera che tocca temi oscuri e spesso rimossi dalla nostra società.

Viene anzitutto spontaneo chiedere le ragioni che hanno portato alla scelta di un tema così problematico e all'impiego di un linguaggio esplicito e diretto per raccontarlo. Raffaele Verzillo: Ho iniziato a lavorare al progetto di Animanera nell'agosto-settembre 2005. Il film è stato scritto da me insieme allo sceneggiatore Pier Francesco Corona. Nelle intenzioni iniziali c'era la volontà di realizzare una storia in grado di interpretare un malessere diffuso che avvertivamo nella nostra società. Andando a fondo in questa nostra indagine siamo arrivati a identificare la pedofilia come emblema del male assoluto. Per me, tuttavia, pedofilia è un termine troppo edulcorato, io parlerei piuttosto di "pedofagia", perché si tratta proprio di "divorare" le anime dei bambini. Abbiamo così iniziato ad addentrarci in un universo per noi sconosciuto, iniziando a documentarci sul tema.

Che rapporto avete avuto con le fonti bibliografiche sull'argomento, citate anche nei titoli di coda del film? Raffaele Verzillo: Io e Pier Francesco Corona non eravamo esperti della materia, ragion per cui è stato necessario e doveroso documentarci. È molto difficile reperire fonti sull'argomento, e anche su Internet c'è poco materiale. Prendendo contatto con varie associazioni che si occupano della difesa dei minori siamo riusciti ad approfondire questo universo, che per molti aspetti continua ancora a passare sotto silenzio. Abbiano consultato numerosi testi, in particolare Predatori di bambini di Massimiliano Frassi. Si è rivelata fondamentale anche la consulenza di diversi professori universitari.

Come si è preparato psicologicamente il piccolo Luigi Santoro nell'interpretare un ruolo così difficile? Raffaele Verzillo: Abbiamo giocato molto, attingendo proprio alla componente ludica insita nel recitare (dall'inglese to play). Io e Antonio Friello abbiamo impiegato due mesi per provare con Luigi e durante questo periodo è stato fondamentale l'apporto dei genitori. La cosa più importante è stata riuscire a trasfigurare gli eventi tragici del film in una dimensione di gioco, attingendo anche alle favole e all'universo dell'infanzia. Così, per fare esempio, per spiegare gli avvenimenti della storia, abbiamo fatto riferimento a Titti e Silvestro, oppure al mondo delle fiabe. Inoltre, abbiamo deciso di adeguare il piano di lavorazione a una graduale esposizione di Luigi alle tematiche del film: si è partiti girando le sequenze in cui Enrico Russo mostra ancora un volto amichevole, lasciando alla fine quelle in cui esplode la violenza vera e propria. In questo Luigi ci ha aiutato tantissimo: è stato un attore meraviglioso.

Luigi Santoro: Io non ho avuto problemi a fare questo film, per è stato solo un divertimento. Ho avuto aiuti da tutti, dagli attori e dai tecnici, che mi hanno spiegato come dovevo fare. Alla fine mi sono divertito un sacco. Quando ho girato il film non conoscevo la storia che veniva trattata. All'inizio ho pensato che il film non era tanto brutto e invece... Quando ho guardato certe scene mi sono reso conto di quanto la storia fosse brutta!

Anche per gli attori adulti deve essere stato impegnativo calarsi in situazioni talmente delicate.

Antonio Friello: Interpretare una parte del genere è stata un'impresa. Ho discusso a lungo con il regista sul taglio da dare al personaggio e alla fine la scelta decisiva è stata quella di dividere nettamente in due il ruolo di Enrico Russo: l'anima buona e quella cattiva. Come si verifica nella grande maggioranza dei pedofili, il protagonista è un uomo che conduce una vita apparentemente normale, fino a che non scatta il raptus di violenza. Enrico è un sadico e un seduttore, sa come avvicinarsi ai bambini e conosce le tecniche per attirarli a sé. Ho dovuto lavorare molto per cercare di approfondire quest'aspetto.

Luca Ward: I registi di solito mi reclutano per interpretare la parte del cattivo. Appena mi è stata data la sceneggiatura pensavo quindi di essere stato scelto per impersonare Enrico Russo. Quando Raffaele Verzillo mi ha detto al telefono che avrei fatto il commissario non ho potuto trattenermi: Evvai, per la prima volta recito la parte del buono! A parte gli scherzi, il mio personaggio è forse quello che presenta la minore complessità psicologica, essendo un poliziotto sbrigativo e tutto d'un pezzo. Ho cercato di interpretarlo come se il commissario Masciandaro fosse Luca Ward, agendo d'impulso. Sul set non ho avuto alcuna difficoltà, perché c'era molta attenzione da parte sia degli altri attori che dei tecnici.

Giada Desideri: Mi sono preparata unicamente su due testi: il copione, che per quanto mi riguarda è stato molto istruttivo e mi ha fornito un primo approfondimento al tema, e il libro di Massimiliano Frassi Predatori di bambini, che anche per me è stato un vero pugno nello stomaco. Ho investito molta sensibilità nel ruolo che dovevo interpretare, e in questo sono stata avvantaggiata dal mio carattere personale. Il mio personaggio, quello della psicologa, si pone in contrasto diretto con il commissario Masciandaro, più sanguigno e immediato. Lei tende sempre ad approfondire la psicologia del criminale e a indagare le ragioni della sua devianza.

Domenico Fortunato: Confesso che anche io, come Luca Ward, dopo aver letto per la prima volta il copione (un vero pugno nello stomaco) ho avuto l'impressione di essere stato reclutato per il ruolo di Enrico Russo, ma sono felice che Raffaele mi abbia scelto per interpretare il magistrato. Il lavoro con Verzillo è stato profondo, attento, cosa che non capita tutti i giorni su un set. Abbiamo dedicato molto tempo alle prove e abbiamo tutti studiato su testi specifici. Per quanto mi riguarda io ho lavorato soprattutto su due aspetti, in primo luogo la solitudine del magistrato, che lavora quasi ghettizzato e isolato dagli altri. In secondo luogo, il garantismo come modello di condotta necessario per una funzione del genere.

C'è un motivo preciso per il quale il pedofilo Enrico Russo parla in napoletano? Raffaele Verzillo: L'attore che interpreta il padre di Enrico Russo, a sua volta pedofilo, è il napoletano Enzo Castaldo, che ha subito durante l'infanzia degli episodi di violenza. Castaldo ha scritto una raccolta di poesie in dialetto incentrare sulle sue esperienze, dal titolo Muorzo. Io ho deciso assieme a lui di estrarne alcuni brani per meglio descrivere lo stato psicologico di Enrico Russo. Da qui l'esigenza di usare il napoletano.

Ci sono dei riferimenti stilistici che hanno influenzato la regia del film? Raffaele Verzillo: Ci sono sicuramente delle immagini che mi sono rimaste impresse durante la mia esperienza di spettatore e a cui ho fatto riferimento, da Il silenzio degli innocenti a Evilenko, anche se non sempre in maniera dichiarata e consapevole. C'è stata però la volontà di omaggiare, anche attraverso particolari accorgimenti di fotografia, il poliziesco italiano degli anni Settanta. Questo perché avverto nell'attuale panorama cinematografico italiano una notevole mancanza di elementi di genere. Si è deciso, quindi, di prediligere una fotografia che presentasse una grana sporca e denaturata, senza ricorrere al passaggio in digitale per una ripulitura. A parte questo non credo ci siano citazioni dirette di altri film, ho scelto semplicemente di volta in volta le inquadrature che mi sembrava sottolineassero al meglio ciò che volevo raccontare.

Qual è stato l'iter distributivo del film? Raffaele Verzillo: La realizzazione di Animanera si è conclusa nell'ottobre 2006. Dopodiché è iniziato un periodo di lunga e faticosa ricerca nel tentativo di trovare un canale distributivo. Dopo molte difficoltà ci è venuta incontro Medusa, è la cosa ci ha stupito enormemente, anche perché di solito questo tipo di progetti non rientra nella linea editoriale della casa. Grazie a loro spero di raggiungere la visibilità necessaria a far luce su un tema delicato come questo. Infatti, con la collaborazione di Medusa e degli esercenti, siamo riusciti a lanciare l'iniziativa "foyer aperti". Tutte le associazioni per la difesa dei minori che supportano il film avranno la possibilità di allestire degli stand e fare promozione e divulgazione del messaggio antipedofilia in tutti i cinema in cui sarà proiettato Animanera.