Ha una faccia che ti colpisce, Alberto Paradossi. Una simpatia innata che lascia ben presto spazio all'emozione di chi il proprio lavoro l'ha voluto, agognato, ricercato. Dopo una lunga gavetta, finalmente il volto di questo giovane attore, classe 1989, ha iniziato a rendersi familiare al pubblico italiano, prima vestendo i panni di Bobo Craxi (con tanto di complimenti dello stesso personaggio interpretato) in Hammamet di Gianni Amelio, e poi di Federico Fellini nel film TV RAI Permette? Alberto Sordi. Nella cornice del Lucca Film Festival, l'attore fa ritorno nella sua città natale per presenziare all'inaugurazione della mostra dedicata proprio al maestro Fellini e al suo rapporto con Alberto Sordi dal titolo "Alberto Sordi, Fellini e i Vitelloni: 100 anni insieme" che si terrà fino al 15 ottobre all'interno di Palazzo Pfanner, lo stesso che compare ne Il Marchese del Grillo. Ed è proprio in occasione di tale evento che abbiamo avuto modo di incontrare questo giovane attore, il quale si è aperto tra ricordi, attese, speranze. Ecco a voi, dunque, la nostra intervista ad Alberto Paradossi.
PERMETTE? ALBERTO PARADOSSI
Carissimo Alberto, io ho avuto la fortuna di conoscerti qualche anno fa a teatro, ma per molti dei nostri lettori sei un attore ancora tutto da scoprire. Cosa puoi dirci di te?
Allora, mi chiamo Alberto Paradossi, sono nato a Lucca nel 1989, e dieci anni fa mi trasferisco per la prima volta a Roma trascinato dall'onda di una passione nata a quattordici anni, quando con degli amici frequentavo un laboratorio di recitazione. Un richiamo troppo forte quello del palcoscenico, che mi ha accompagnato per anni e anni e poi si è fatto ancora più insistente nel periodo in cui ho frequentato - con scarsissimi risultati - l'università.
Cosa hai studiato?
Scienze politiche a Firenze, ma ovviamente davo molto più spazio alla recitazione, tant'è che alla prima occasione mi sono trasferito a Roma per capire cosa mi potesse offrire giocare in uno "stadio più grande". Dopo due anni presso "La scaletta" di Giovanni Diotaiuti, e vari tentativi - ahimè falliti - per entrare sia alla Scuola Sperimentale che all'Accademia Silvio d'Amico a Roma, (ho perfino provato a Genova) sono andato un anno a Londra. Là viveva una mia amica che mi mise in contatto con un insegnante di recitazione, il quale - fortuna volle - prendeva pure poco per le nostre lezioni private, tenutesi quando ero di riposo dai miei turni di cameriere. Un'esperienza unica, che mi ha aiutato molto, soprattutto dal punto di vista della lingua, anche perché questo insegnante parlava solo inglese, e lavorando sui monologhi, e sul method-acting strasbergiano, mi ha fornito un enorme bagaglio in più da sfruttare sia sul palco, che sul set.
Dopo questa esperienza hai mai pensato di lasciare tutto e restare a Londra?
Sinceramente no, anche perché il mio obiettivo primario era quello di entrare al Centro sperimentale. E alla fine, con mia grande sorpresa, ce l'ho fatta. Ero talmente convinto di non passare neanche quella volta che misi in stand-by il mio contratto di cameriere a Londra, preparando nel giro di pochissimo tempo, forse due settimane, il mio provino. Il destino aveva ben altro in serbo per me, e così non tornai più a servire ai tavoli in Inghilterra. Il fatto è che volevo tornare in Italia e alla fine ci sono riuscito. Una volta finiti i tre anni al Centro, nel dicembre 2016 è iniziata la gavetta. Il biennio 2017-2018 è stato durissimo. Sai, non è facile ottenere i provini per un emergente perché ancora non sei conosciuto, e in certi casi non sussiste nemmeno la curiosità da parte di certi addetti ai lavori di sapere chi sei. Nonostante tutto, pian piano ce l'ho fatta a farmi strada, iniziando come spalla e con qualche pubblicità.
Ti prego, dicci quali.
Appena finiti gli studi, feci una pubblicità per McDonald's e una per ING Direct - Conto Arancio. Nel 2018 lasciai di nuovo Roma e andai a seguire un corso di stand-up a Manhattan; visto che mio padre lavorava per sei mesi nel New Jersey ne approfittai. Ovviamente per pagarmi il tutto andai a lavorare sempre in un ristorante gestito da italiani a Hoboken.
Hoboken, dove c'è Buddy Valastro, Il boss delle torte!
Io stavo proprio lì, a 100 metri da Buddy a Washington Street. Tra l'altro stiamo parlando della città di Frank Sinatra e vi dico di più. Essendo una città costruita da italiani (chi abita lì sono perlopiù famiglie di italo-americani) c'è rimasta una strada interna fatta interamente di sanpietrini, il che per l'America è una cosa fuori di testa. Se sentivi nostalgia di casa, bastava fare una foto a quel paesaggio e ti sembrava di essere in Italia.
Poi cosa è successo?
Dopo un mese che ero a New York ricevetti due chiamate. Una era per una sostituzione a teatro per la compagnia Musella/Mazzarelli, l'altra era da Gianni Amelio che consisteva in un video-provino per Hammamet.
Posso solo immaginare che esperienza unica e sorprendente sia stata ricevere una chiamata da Amelio, soprattutto per un attore emergente. Cosa puoi raccontarci di questo incontro?
Fu un incontro emozionante, anche se ne scaturì un qui pro quo. Praticamente Amelio era convinto che io fossi un chitarrista, pertanto non avessi problemi a suonare una canzone come quella di Lucio Dalla, "Piazza Grande". Il problema è che io non sono un cantante e di certo non ho la vocalità di Dalla. La chitarra, poi, la conoscevo, certo, ma a grandi linee. E così Amelio mi mise alla prova dicendomi "ti do tre mesi di tempo per imparare a suonare e cantare questa canzone". Accettai la sfida, trovai un bravissimo insegnante e alla fine è andata, nonostante non è stato facile per me esibirmi davanti a centinaia di persone, tra troupe e comparse, e soprattutto davanti a Favino. Però dai, ho ricevuto i complimenti di Bobo Craxi, quindi penso che tanto male non sia andata.
ESSERE FEDERICO FELLINI
Cosa ti ha messo più pressione, interpretare il figlio di Favino/Bettino Craxi, o Federico Fellini?
Fellini. Non me ne voglia Craxi eh, ma con Federico si va a toccare una figura quasi di famiglia. Ognuno ha il suo Fellini, è un po' l'amico immaginario di ognuno di noi.
Non a caso tu sei a Lucca proprio in occasione della mostra dedicata a Federico Fellini. Ho letto che tuo nonno è molto legato a questo regista, il che mi porta a chiederti qual è il tuo primo ricordo di questo grande del cinema.
Mi ricordo che ero veramente piccolissimo, avevo tipo 9 anni, e nonno mi fece vedere le foto di questo regista a cui lui stesso assomigliava; entrambi con questa faccia molto italiana...
Quindi non piacerebbe a Stanis La Rochelle (personaggio della serie Boris, ndr)...
(Ride, ndr) Mi sa proprio di no, se mettiamo in conto che mio nonno è anche toscano, quindi uno di quelli che hanno devastato questo paese, direi che Stanis sarebbe stato molto contrariato da questa cosa. Scherzi a parte, interpretare Fellini è stato per me un bel cerchio che si è chiuso. Ironia del caso, il mio saggio finale al Centro Sperimentale era proprio dedicato alla figura della donna felliniana. Sono partito da La strada, per analizzare poi la città delle donne, Amarcord e Giulietta degli spiriti che per me è un film di svolta nella produzione di questo regista perché è a partire da quest'opera che Fellini inizia ad approfondire il tema della psicanalisi e del surreale. Questo per farvi capire quanto Fellini sia una figura ricorrente in famiglia e quanto io sia particolarmente legato a lui.
Cosa puoi dirci allora sul tuo provino per Pemette? Alberto Sordi?
Arrivai a questo provino forte della visione di tutti questi film diretti da Federico Fellini. All'inizio mi faceva piacere anche solo aver partecipato a questo provino, ti lascio dunque immaginare il mio stato d'animo quando seppi di essere stato preso! Non posso pertanto che ringraziare la direttrice del cast e il regista Luca Manfredi, perché non è da tutti imporsi al CDA della RAI puntando su un ragazzo che è praticamente uno sconosciuto. Certo, venivo da Hammamet, ma vatti a fidare di un ragazzo che in quel film ha fatto solo otto pose!
Per chi conosce bene la figura di Fellini, la paura più grande è la stessa di quella che ricorre in tutti i biopic, ossia ritrovarsi davanti a una caricatura. Tu sei riuscito a evitare tale rischio.
Meno male. Non ho avuto molto tempo per preparami perché il provino è consistito in tre chance, da metà giugno a metà luglio, sempre sulla stessa scena. Il 21 luglio seppi che ero stato preso e il 29 iniziai a lavorare. La pressione era tanta, ma non volevo pensarci troppo per non annegare in dubbi e paure. Mi sono buttato in questo ruolo con leggerezza, e un po' di incoscienza, ma di quella sana. Ad aiutarmi è stata anche la bella alchimia che mi ha legato a Edoardo Pesce, il che era fondamentale vista la simbiosi tra Fellini e Sordi. Si trattava di un legame redditizio per entrambi, ma che ha giovato soprattutto Fellini visto che grazie all'influenza di Alberto ha avuto modo di narrare Roma da un punto di vista inedito, che solo un romano doc sa riconoscere. Inoltre è stato bello sapere che i due, pur non lavorando più insieme, non si siano mai persi di vista o lasciati malamente. A tal proposito, non so se in molti lo sanno, ma quando Fellini andò a Los Angeles a ritirare l'Oscar alla carriera, ad accompagnarlo all'intervista per la RAI di New York c'era proprio Alberto Sordi.
Oltre che negli atteggiamenti e nei modi di fare, hai dato molta importanza anche al fattore vocale. Quanto è stato difficile per te prepararti anche da questo punto di vista?
Abbastanza. Mi esercitavo cinque ore al giorno, coadiuvato da un attore di Cattolica fattomi conoscere da Barbara Giordani. Mi sono basato tantissimo ascoltando delle vecchie interviste radiofoniche di Fellini di quando aveva quaranta o cinquant'anni. Fellini non parlava un romagnolo accentuato, era un accento un po' strano. Tecnicamente sentivo una nota e su quella iniziavo a giocarci, ascoltando attentamente come pronunciava certe parole, o lettere (tipo "cinema", la ripetizione di "ti va?") facendole mie. Dopotutto quello che ho portato sullo schermo è un Fellini più scanzonato, più patacca, un giovane artista appena ventenne arrivato a Roma che dormiva negli androni dei palazzi. Ad aiutarmi in questa performance è stata anche la lettura della biografia a cura di Tullio Kezich, più che l'autobiografia di Fellini stesso (Fare un film) dato il suo essere un bugiardo cronico. È bellissima a tal proposito la giustificazione data da Giulietta Masina circa i racconti fantasiosi del marito, secondo la quale Fellini "non è bugiardo, lui vuole vedere oltre".
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TRA SET E SALA: IL (LENTO) RITORNO ALLA NORMALITÀ
Non solo Hammamet e Permette? Alberto Sordi, quest'anno hai fatto parte anche del videoclip di "Mamma ho perso lo stereo" di Antonio Ciulla. Questo 2020, per quanto negativo sotto certi aspetti, ti ha dato anche tante soddisfazioni dal punto di vista lavorativo. Come l'hai vissuta quest'annata così bipolare?
Guarda ti posso dire che ho sofferto più il periodo post-lockdown che che quello di quarantena vera e propria, anche perché durante il lockdown potevamo fare solo una cosa: stare in casa. Dopo il film su Sordi ho continuato a lavorare. Ho una piccola particina nel film Supereroi di Paolo Genovese (che se tutto va bene dovrebbe uscire a dicembre) e ho preso parte a un film tutto under-35 dal titolo "Maschile Singolare", a fianco di Gianmarco Saurino, Giancarlo Commare, Eduardo Valdarnini e Michela Giraud. Per quanto questo lockdown abbia dato una bella mazzata a tutti, è il periodo che va da giugno ad agosto quello che ha avuto più ripercussioni, con produzioni che non partono, soldi che non ci sono. Fortunatamente qualcosa si sta muovendo. Io, ad esempio, sono impegnato al momento sul set di Come un gatto in tangenziale 2 nelle vesti di un pubblicitario. Un bel segno di ripartenza, questo, soprattutto per noi del mestiere, a cui ci è stata tolta la possibilità di promuovere i nostri progetti, come è stato nel mio caso con il film su Sordi.
Restare a casa ha voluto dire per te anche partecipare a un nuovo progetto come il cortometraggio L'ultimo fascista di Giulia Martinez. Cosa ci puoi dire al riguardo?
È un cortometraggio casalingo tutto costruito come se fosse una chiacchierata su zoom. Ci sono questi fascisti che si rendono conto che quelle "minoranze" da loro tanto odiate, iniziano pian piano a scomparire. La felicità però dura poco visto che anche questi personaggi cominciano a scomparire nel nulla. È un progetto molto divertente, in uscita in questo periodo dopo essere stato presentato recentemente al Rome Independent Prisma Awards.
Il ritorno al cinema è lento. La scoperta delle piattaforme on-demand da parte del pubblico sembra inoltre frenare questa voglia di spegnere la tv e andare in sala. Tu sei tornato al cinema?
Sono tornato in sala per ben due volte. La prima per vedere Assandira di Salvatore Mereu, quest'anno fuori concorso a Venezia e la seconda, ovviamente, per Tenet di Nolan. Ma c'era poca gente in sala. Ahimè non stiamo vivendo un momento tranquillo. Per semplificare tutto, l'opzione di far uscire i film sulle piattaforme è la via più facile. Speriamo bene, ma certo Netflix, Prime, Hulu, stanno un po' minando il sistema cinema. Forse è anche un problema dei distributori condizionati dal fattore dei costi, come ha suggerito Elio Germano. Io credo che alla base ci debba essere una svolta anche dall'interno se vogliamo che la gente ritorni al cinema. La verità è che viviamo sospesi in una una bolla alimentata da problemi che ci trasciniamo da anni, e finché non avremo il coraggio di scoppiarla nulla cambierà.
Hai detto che hai visto il film di Nolan. Allora non posso che porti la domanda delle domande. Piaciuto Tenet?
Sì dai. Sono andato in sala con questo fardello di pareri contrastanti, tra chi lo ha amato e chi non ci ha capito nulla. Quello che ho fatto io è stato lasciarmi trascinare dal flow, fidarmi di Nolan e distaccare questo film dall'impianto narrativo di Inception. Diciamo che ho interpretato Tenet come un film su James Bond in salsa fantascientifica. Di certo non mi sono annoiato, forse non ho capito proprio tutto, però per durare quanto è durato ho passato due ore e mezza di puro intrattenimento.
Mi piace sempre fare il gioco dei "se" e dei "ma". Ritornando quindi a Fellini, vorrei chiudere questa intervista ipotizzando questo scenario: se dovessi viaggiare nel tempo e incontrare Fellini che ti propone di girare un film insieme, quale sceglieresti?
Questa sì che è una domanda bella tosta. Forse, visto anche la situazione che stiamo vivendo ti direi I vitelloni. Chissà, magari poi tra dieci anni cambierò idea e ti risponderò con 8 e 1/2, o La dolce vita, ma al momento credo che la scelta non possa che ricadere che su questo film. Si tratta di un'opera tra le più generazionali, anticipatrice sui tempi e antesignana di film come Amici Miei e Signore & Signori di Germi. È un film goliardico, I vitelloni; una perfetta diapositiva di chi è riuscito a uscire dall'incubo della guerra, sentendosi addosso tutte le conseguenze del caso. Forse è anche per come riesce a raccontare le (dis)avventure di giovani reduci da momenti bui, che lo sento così vicino a me in un momento come questo. Dopotutto siamo tutti Vitelloni al giorno d'oggi.