Recensione Gamer (2009)

Riuscirà l'atletico Gerard Butler ad approdare tutto intero all'ultima e decisiva battaglia? Si presenta con questo interrogativo il nuovo, adrenalinico action movie realizzato dagli autori di Crank.

30 battaglie per restare vivi

Quando il gioco si fa duro, i duri come Gerard Butler si mettono a giocare. Anche qui la scelta del tostissimo attore di origini scozzesi, come nel controverso 300, è sinonimo di muscoli e grinta da vendere; ma se la precedente apparizione nei panni dell'indomito Leonida, re di Sparta ed estremo baluardo contro le mire egemoniche dei Persiani, soggiaceva purtroppo a uno script di indifendibile rozzezza, questa sua presenza nell'attesissimo Gamer ha saputo aggiungere sapore a un fanta-thriller cui non mancano certo adrenalina e trovate degne di nota.
In qualche modo Gamer sembra fare il verso a L'implacabile (The Running Man), quasi come se gli autori avessero voluto proporre un 'update' ancora più visionario e spregiudicato del cult movie interpretato nella seconda metà degli anni '80 da Arnold Schwarzenegger, ispirato peraltro ad un romanzo pubblicato sotto pseudonimo da Stephen King. Pressoché identica la cornice, con gli Stati Uniti d'America sempre più in balia nell'immediato futuro di spinte autoritarie e di una violenta propaganda, fedelmente rispecchiata dalla ferocia di certi programmi televisivi. Nel caso di The Running Man si era in piena epoca reaganiana, ma verrebbe da dire che dopo l'uragano Bush le fobie dell'America più progressista non abbiano potuto far altro che radicalizzarsi, metabolizzando per forza di cose una lunga lista di nefandezze.

Fatto sta che Gamer, dietro al solido e accattivante impianto spettacolare, cela alcune intuizioni niente male sull'aggressivo linguaggio dei media, sull'impatto dei cosiddetti "reality show" di cui si immagina l'ulteriore degenerazione in strumenti coercitivi, idonei al controllo delle masse. L'azione si colloca nel 2034. In circostanze non troppo diverse da quelle che vedevano coinvolto lo Schwarzenegger di The Running Man, si scopre quasi subito che il personaggio interpretato da Gerard Butler, tale Kable, ha subito una ingiusta condanna che peraltro gli pone, quale unica chance di salvezza, la partecipazione a un seguitissimo show televisivo i cui concorrenti vengono letteralmente spediti al massacro.
In sostanza, le analogie più dirette tra le due pellicole terminano qui. Già, perché al contrario dell'inossidabile Schwarzy, il buon Kable non è nemmeno solo e libero di agire, quando partecipa al gioco: ha infatti subito, al pari degli altri, un innesto cerebrale che tramite avveniristiche nano-tecnologie lo pone sotto un controllo a distanza, delegato nel caso in questione a giocatori cui è consentito vivere le esperienze dei propri "personaggi". A livello virtuale, s'intende, perché nella realtà a morire sono solo i soggetti da loro manovrati... Altrettanto spietate sono le regole di "Slayers", questo il nome del programma, riguardo alla possibilità di ottenere la tanto agognata libertà: bisogna infatti sopravvivere a trenta feroci battaglie, tant'è che solo uno come Kable è riuscito nell'impresa di avvicinarsi alla meta finale. A parte il vantaggio di possedere un fisico perfettamente tonico e una buona preparazione militare, fortuna vuole che Kable sia stato interfacciato con un ragazzetto sveglio ed amante dei videogiochi, Simon (Logan Lerman alias Percy Jackson), che con una certa scaltrezza (associata peraltro a un preoccupante distacco emotivo) è riuscito a portarlo fino a quel punto. Ma è probabile che l'eroe, in quello che si configura sempre più come un gioco truccato, debba riacquistare un minimo di libertà d'azione, sottraendosi per un po' alla guida del partner a lui connesso, per poter affrontare con successo lo step successivo.
Non meno suggestivo è il modo in cui viene caratterizzato il villain di turno. L'antagonista di Kable, faccino rassicurante alla Bill Gates e animo cinico come pochi, è il creatore sia di Slayers che di "Society", versione edulcorata ma non per questo meno inquietante dell'altro gioco: in Society, dove per ironia della sorte (e principalmente per sbarcare il lunario) lavora come figurante la moglie del protagonista, vi sono persone che hanno accettato di farsi pilotare in un ambiente che privilegia piccole e grandi trasgressioni, per non dire atteggiamenti di lampante idiozia. Ken Castle, colui che per motivi di interesse economico ha ideato tali mondi, è ovviamente un uomo di successo, ma dietro i suoi comportamenti frivoli e stravaganti sembra celarsi un disegno ancora più ambizioso, orientato a manipolare le masse e ad avvantaggiarsi senza ritegno del controllo esercitato sulle singole volontà. Indovinatissima, a tal proposito, si è rivelata la scelta di Michael C. Hall; all'attore, molto amato dal pubblico di Dexter, viene qui richiesto di incarnare la profonda ambiguità di un soggetto, le cui tendenze istrioniche e narcisiste ben si adattano alle corde di un talento tanto versatile, forgiato non a caso sulle scene teatrali di Broadway e dintorni.
Al di là dei meriti di un cast ben concepito, un prodotto di intrattenimento non privo di ambizioni come Gamer conferma nel bene e nel male le impressioni che ci eravamo fatti di Mark Neveldine e Brian Taylor grazie a Crank, il precedente action movie con Jason Statham protagonista. Il loro sodalizio artistico, che li vede qui nelle vesti di sceneggiatori, registi e produttori esecutivi, continua a privilegiare uno stile iper-cinetico, con accelerazioni narrative che possono dar luogo a buchi di sceneggiatura anche vistosi ma abilmente compensati dall'impatto, anche visivo, delle situazioni. Si passa sopra, in sostanza, a qualche piccola imprecisione del racconto, per il ritmo forsennato da cui si è travolti. Nel vorticoso montaggio di scene portate all'esagerazione, così come nella coloritura pop di molti elementi scenografici, quella di Neveldine & Taylor è una regia che al limite può essere definita "da videoclip" (molto sfiziosa, del resto, la colonna sonora), non però nell'accezione più banale solitamente conferita a tale espressione.
L'esasperato realismo bellico di Slayers e la sgargiante caratterizzazione di Society testimoniano invece un'attenzione non disprezzabile per gli aspetti alienanti dei rispettivi mondi. Non mancano ovviamente gli stereotipi, tra i quali spicca per poca originalità la figura del nerd ciccione ed untuoso preposto a muovere i fili della moglie di Kable, nei sexy games in cui lei viene trascinata. In compenso vi sono altri dettagli, ad esempio il ruolo delle "comparse" sacrificate nelle battaglie (e selezionate tra i colpevoli di reati minori, attratti dalla prospettiva di ottenere la libertà sopravvivendo a una sola puntata), da cui affiora, nel cinismo di fondo, un fugace senso di pietas.