In 10 giorni senza mamma avevamo lasciato la famiglia Rovelli alle prese con la riorganizzazione della routine quotidiana imposta dalla nuova divisione dei ruoli: Giulia si è ripresa la vita lavorativa a cui aveva rinunciato anni prima per dedicarsi ai figli, e Carlo ha deciso di mollare il lavoro per passare più tempo con i bambini. La ritroviamo in un sequel natalizio, 10 giorni con Babbo Natale (in streaming dal 4 dicembre su Amazon Prime), a bordo di un camper, direzione Stoccolma per accompagnare Giulia a un colloquio di lavoro proprio il giorno di Natale.
Alessandro Genovesi riunisce il cast del primo film e insieme a Giovanni Bognetti riscrive le avventure dei Rovelli, che questa volta incontrano nientemeno che un Babbo Natale in carne e ossa, forse un po' smemorato e pieno di acciacchi, ma con tanto di barba bianca e vestito rosso. "Per anni ho pensato che Babbo Natale fosse Bud Spencer, invece ero io. Forse lo sarò per molto tempo!", scherza Diego Abatantuono che lo interpreta. E sul Natale che verrà commenta piccato: "Sarà più cupo, ma è anche il frutto di un'estate 'brillante', durante la quale qualcuno ha divulgato l'idea che senza estate e senza discoteche non si potesse sopravvivere. Non potremo andare in sala, ma possiamo rimanere a casa a guardare film in tv, e dovremo stare con meno persone, il che per me è una tragedia visto che la tavolata è il mio unico hobby. Ma si accetta e si va avanti lo stesso, bisogna cercare di godersi questo Natale con quello che si può fare". E conclude: "Noi siamo fortunati perché lavoriamo, ma ho tanti amici che fanno teatro che non lo sono affatto. E tanti altri che si sono ammalati: questa malattia è una sofferenza pazzesca, non è passeggiata, è pericolosa. Teniamo alta la guardia".
Le ragioni di un sequel, le difficoltà produttive
10 giorni con Babbo Natale è stato per Alessandro Genovesi "un'occasione per raccontare una storia natalizia ambientata davvero a Natale e per inserire l'ingrediente fantastico nell'ambiente iper reale e in commedia della famiglia Rovelli". E poi aveva la fortuna di "avere come amico il vero Babbo Natale, non usarlo sarebbe stato uno spreco", ironizza riferendosi a Diego Abatantuono. Le ragioni di un sequel? C'era ancora molto da dire, "soprattutto sul rapporto tra i due genitori e su ciò che rappresentano dal punto di vista sociale. Nel primo film c'era una mamma che stava a casa e badava ai figli e un padre che passava la maggior parte del tempo a lavorare. Qui abbiamo provato a ribaltare i ruoli con una madre che è tornata a occuparsi di una parte importante della propria vita, la carriera, e un padre cinquantenne che non riesce a trovare lavoro", spiega il regista.
Il film è solo uno dei tanti titoli di Natale slittati sulle piattaforme di streaming dopo la chiusura delle sale imposta dall'emergenza sanitaria, che ha avuto un impatto anche sulla produzione del film: "Avremmo dovuto girare in Finlandia e in Lapponia, eravamo pronti a partire ma poi è scoppiata la pandemia e quindi abbiamo deciso di interrompere. Abbiamo finito le riprese a luglio, modificando la storia laddove è stato necessario", precisa Genovesi.
Il viaggio, la catarsi e i sensi di colpa di una madre
Se non ci fosse stato il Covid infatti, avremmo probabilmente assistito a un finale diverso, di cui sul set si è molto discusso. "Ne abbiamo parlato a lungo - racconta Valentina Lodovini - "Mi piaceva l'idea di ritrovare i personaggi in ruoli invertiti. Uno dei punti di forza maggiore del film è l'identificazione, anche se ci troviamo in una favola natalizia. Ho amato l'idea di dover rappresentare una donna che deve trovare un equilibrio tra la famiglia e la carriera, e che si sente continuamente in colpa."
"Probabilmente se a Stoccolma ci fosse dovuto andare Carlo, la famiglia avrebbe fatto le valigie e in silenzio lo avrebbe seguito. In questo caso la decisione viene in qualche modo affidata a Babbo Natale e di conseguenza ai bambini, in fondo la scelta di Giulia è dettata dal non voler stravolgere la vita dei figli; non è tanto la rinuncia di una donna, non è una questione di genere, ma di cosa sia più giusto fare per non creare un trauma ai bambini". Anche Fabio De Luigi è d'accordo nel definire quella di Giulia una scelta non dettata dal genere: "Giulia è un individuo con un'occasione di lavoro appetibile, che strada facendo si accorge di volere altro. È la libera scelta di una persona". "Se hai tre figli ci sta dover fare delle rinunce, a prescindere dall'essere madre o padre", aggiunge il regista.
Una volta sul camper la commedia dei Rovelli diventa un on the road natalizio, un viaggio che si rivelerà catartico per tutti i personaggi, genitori compresi "che chiedono un'affermazione riguardo a ciò che ritengono fondamentale, e cioè il lavoro. Averlo o non averlo riesce a minare la serenità familiare e le sicurezze dell'una o dell'altro. Il viaggio verso Stoccolma diventa catartico per tutti. Valentina capirà che forse questa cosa a cui tiene tanto, non è poi così importante". Lungi però dal regista affermare "meglio che le donne stiano a casa", nonostante Giulia sia costantemente assalita dai sensi di colpa. "Tutti i personaggi all'interno di una commedia hanno dei conflitti interiori. Ed io sentivo il bisogno di far emergere quello di Giulia, il suo perenne senso di colpa come succede a molte mie amiche madri. Ho provato tanto la scena dello sfogo di Giulia con Babbo Natale, che finisce per identificarsi con lei; dentro sei molto combattuta e ti senti sola, nessuno ti capisce, agli occhi degli altri sarai un privilegiato perché il tuo sogno sta diventando realtà, ma nessuno ti chiede come stai. Era giusto venisse fuori per tutte quelle donne e madri lavoratrici incomprese, e che spero si possano identificare in Giulia".