Si è aperto con un sentito tributo a Ugo Tognazzi il Festival Internazionale del Film di Roma. A vent'anni dall'improvvisa scomparsa, la figlia Maria Sole Tognazzi lo commemora attraverso un film documentario, che attraverso spezzoni delle sue interpretazioni più famose (pochi) e inediti filmati "casalinghi" in Super8 (molti), ne traccia un ritratto privato e pubblico insieme. Mai come in questo caso, la figura dell'attore corrisponde a quella intima, conosciuta a familiari e amici: tanto eclettico e sperimentatore nel lavoro, tanto senza riserve ed entusiasta nei rapporti interpersonali, Tognazzi ci viene raccontato a parole, dai quattro figli e dai tanti colleghi con il quale ha condiviso l'età d'oro del cinema italiano, ma soprattutto per immagini, tanto più forti perché spontanee, non artefatte, cosa a cui del resto ci aveva abituato anche la sua recitazione. Il film è frutto dello sforzo congiunto, oltre che della regista e del montatore Walter Fasano, anche di Manuela Tempesta, al soggetto, e di Matteo Rovere e Alessandro Bonifazi, che vanno a ricostituire il team produttivo che già aveva dato vita a Il bravo, il bello, il cattivo, documentario su Pietro Germi. Il risultato è un viaggio commovente, ma anche ironico, nella vita di un uomo che, pur avendo dato tanto di se stesso al pubblico, ricevendone in cambio ammirazione e successo, non si è risparmiato nemmeno nella sfera privata, dalla quale è stato altrettanto amato.
Cosa ha significato per te questa ricerca?
Maria Sole Tognazzi: Non avevo mai pensato di fare un film su papà, anche perché in televisione erano già stati fatti tanti speciali su di lui. Poi è arrivato Matteo Rovere, che oltre ad essere un collega è anche un amico, con il quale ci siamo incontrati proprio due anni fa qui al festival, e mi ha detto che voleva girare un documentario su Ugo. Con La7 ne aveva già realizzato uno su Germi, ancora insieme a Manuela Tempesta e a Alessandro Bonifazi, e quindi ci siamo riuniti. Abbiamo fatto un grande lavoro di ricerca sia negli archivi nella Rai che tra i suoi filmati in Super8, molti dei quali sono stati girati da lui stesso o dagli amici. Io ho voluto raccontarlo soprattutto attraverso queste testimonianze, e sulla base dei protagonisti di quei filmati ho anche deciso chi avrei incontrato.
Matteo Rovere: Si, questo documentario è nato sulla scia di quello su Germi, ma è anche un passo avanti: è molto più complesso e personale, ed è stato un azzardo chiedere a Maria Sole di dirigere un percorso che nessuno aveva ancora compiuto così puntualmente. Devo dire che il risultato mi soddisfa più di ogni altra cosa che ho fatto, perché rispetta la libertà di pensiero e di vita di Ugo ma ne ricostituisce anche un ritratto personale, toccante. Devo poi ricordare anche Walter Fasano, che ha curato il montaggio, e Alessandro Bonifazi di Blue Film che ha prodotto il film insieme a noi. E' doveroso ringraziare anche Alfredo Moroni per La7 che ha reso possibile l'intero progetto, perché in Italia è veramente difficile riuscire a produrre dei documentari.
Alessandro Bonifazi: E' stato molto bello ricostituire il team Ascent/Blue Film e soprattutto La7, che ringrazio non per piaggeria ma per la grande sensibilità con cui è riuscita a far vendere il film, cosa ancor più difficile che produrlo. Poi devo ringraziare anche la Regione Lazio, Roma Lazio Film e il MiBAC.
Da questo film emerge un Tognazzi diverso rispetto a quello che il grande pubblico conosceva?
Maria Sole Tognazzi: Io penso che il film confermi l'idea che il pubblico ne ha, almeno per me è stata una conferma. Si è trattato di una riscoperta, sapevo già da prima chi fosse, e questo non ha fatto che ribadirmi quale fosse il suo modo di intendere la vita e il lavoro. Visivamente si è trattato di entrare in un altro momento storico: un paese diverso, un cinema diverso. E' stato un lavoro di mesi: da 100 ore di materiale, ne abbiamo estratte 14 di moviola, che montate si sono ridotte a dieci minuti. Ascoltando parlare mio padre, ritrovavo le caratteristiche che emergevano dai suoi film: lui era dentro i suoi film, e i suoi film erano dentro di lui.
Con gli altri protagonisti del cinema di quegli anni non c'era competizione?
Maria Sole Tognazzi: Nel film si parla di questo aspetto, ad esempio attraverso le testimonianze di Monicelli e Scola. C'era assoluta condivisione, non solo del divertimento, come nei famosi tornei estivi, ma anche nel lavoro. Personaggi come Benvenuti, come Ferreri, si incontravano e creavano insieme, e ho cercato di sottolineare come in quel momento il cinema significasse anche unione. Dal gioco spesso nasceva il lavoro.
Montare questo film non deve essere stato facile, anche per la mole emotiva di lavoro. C'è qualcosa che avete lasciato fuori a malincuore? E quale impressione hai avuto tu, da regista, su questo continuo bisogno della macchina da presa che Ugo dimostrava?
Maria Sole Tognazzi: La Super8 è l'equivalente del digitale odierno. Io sapevo, e me l'hanno confermato, che mio padre amava girare filmini ad esempio quando andava in Norvegia, o anche sui set dei propri film. Nel film si vede ad esempio La marcia su Roma di Dino Risi, che è sempre un momento molto emozionante per me, anche se in quel caso deve essere stato qualche assistente o amico a girare, perché mio padre è presente nelle inquadrature. Non era esattamente un appassionato, usava la Super8 come si usa una digitale adesso perché ce l'aveva in casa. Tra l'altro sono quasi certa che alcuni dei filmati siano stati realizzati da Ferreri, ad esempio quelli in barca o a Mosca, e questo li rende per me ancora più speciali.
Walter Fasano: Durante il montaggio io ho sperimentato un solo tipo di censura, che è quello di Maria Sole nei riguardi di se stessa. Mi ha lasciato molta libertà sulle sue immagini dell'infanzia, ma mi ha fatto inserire pochissime cose dell'adolescenza. E' chiaramente impossibile raccontare una vita in un'ora e mezza, e quindi abbiamo dovuto operare moltissima selezione, ma in definitiva manca soltanto il famoso scherzo sulle BR, in cui Tognazzi rivendica il famoso "diritto alla cazzata", ma non avremmo potuto trattarlo con la giusta profondità e quindi abbiamo preferito così. Per me questo film è un'occasione e un punto di partenza per una ricerca personale, che offre suggestioni e stimoli che poi ognuno potrà rivedere e approfondire. Inoltre la musica è stata un forte scheletro sul quale basare la narrazione, sia grazie alle musiche originali di Sergio Cammariere che all'archivio della CAM. E' un film quasi storico anche per la musica, che spazia da quella anni Sessanta alla disco, così come per i formati video.
Maria Sole Tognazzi: Anche la collaborazione con Sergio Cammariere è stata molto importante: era un amico di famiglia ben prima di diventare famoso, e la canzone dei titoli di coda l'aveva composta insieme a Gianmarco poco dopo la morte di papà. Era sempre rimasta lì, poi me la sono ricordata e non solo Sergio ha accettato di inserirla nel film, ma ha anche composto la colonna sonora originale.
Quanto è difficile oggi creare quella comunanza artistica che invece contraddistingueva l'ambiente di tuo padre?
Maria Sole Tognazzi: A noi "poveri" cineasti oggi un po' manca questo aspetto, è vero. Adesso quasi nemmeno si leggono più i copioni, ai provini si prova una scena e l'attore non ha idea del personaggio che sta interpretando. Il copione sembra che non si possa più leggere, anche se io, nella mia piccola esperienza, questo problema non ce l'ho, perché mi è sempre piaciuto chiedere consigli. Oggi c'è un gruppo, di trenta-quarantenni, ma non certo di quel tipo. Anche perché c'è meno lavoro, e forse si tratta anche di una forma di tutela, di paura, che finisce per creare delle distanze.
A Marcello Mastroianni del suo lavoro piaceva l'andare a mangiare al ristorante, a Tognazzi piaceva cucinare. Come si incontravano?
Maria Sole Tognazzi: Si incontravano comunque a tavola. Mio padre ha frequentato di più Vittorio Gassman, ma anche con Mastroianni era molto amico, nonostante si incontrassero soprattutto per lavoro. Una delle poche volte in cui sono andata al cinema con papà sono andata a vedere Oci Ciornie e ricordo con che ammirazione guardasse recitare Mastroianni. Non lo dico per essere buonista, ma non c'era assolutamente competizione, soltanto una vera stima, e questo lo trovo molto bello.
Cosa nel pensi della manifestazione organizzata da 100 Autori?
Maria Sole Tognazzi: Dico solo questo: un paese che si rifiuta di investire nella cultura e nell'arte non risparmia, ma diventa inevitabilmente più povero.
Hai citato pochi film della grande filmografia di tuo padre, tra i quali spiccano comunque quelli di Ferreri. Questo per problemi di diritti o per una precisa scelta? E non ti è mai sembrato che tuo padre, tra i "colonnelli" del cinema, sia quello più sottovalutato?
Maria Sole Tognazzi: No, non ho mai avvertito questo aspetto. Per i film, oltre ai problemi per i diritti, si è trattato anche di una scelta produttiva, su 160 film era impossibile inserire tutto. Anche perché non sarebbe stato interessante incentrare tutto sugli spezzoni, visto che era già stato fatto, e bene, dalla Rai. Ho invece scelto di inserire dei film dei quali avrei potuto intervistare i registi, come è stato ad esempio con Bernardo Bertolucci o Ettore Scola. Poi però non ce l'ho fatta, ho dovuto inserire Ferreri in quanto non soltanto mio padrino, ma anche mio regista preferito, e così ci sono anche La donna scimmia e La grande abbuffata. Avrei voluto far vedere tantissimi film, ma proprio non si poteva.
Se fosse vissuto più a lungo, che cosa avrebbe fatto tuo padre? Sarebbe rimasto a teatro, sarebbe tornato al cinema, si sarebbe divertito ad aiutare dei debuttanti?
Maria Sole Tognazzi: Mio padre ha sofferto molto nell'ultima parte della sua vita; è un aspetto di cui non parlo in maniera approfondita nel documentario ma che lascio intuire da alcune sue interviste. La sua depressione, come era stato anche per Gassman, è comunque una cosa nota, arrivata anche grazie al lavoro: dico anche perché per uomini del genere è normale non accettare l'idea della vecchiaia e quindi della morte. Sicuramente c'entrava anche il momento storico e la piega che il cinema aveva preso: dopo La tragedia di un uomo ridicolo di Bertolucci, Ugo sentiva di poter fare ancora dei grandi film, ma non sono mai arrivati, e così di dedicò al teatro. Ritrovare il contatto con il pubblico gli diede una grande forza, e recitare in Francia lo spinse poi a tornare sul palcoscenico anche in Italia. Stava anche girando, come attore, una fiction in cui interpretava un commissario, un progetto di lunga serialità per la Rai. Non so se lo immagino in una fiction di oggi, però. Forse avrebbe continuato con il teatro, o starebbe ancora aspettando il cinema.
Attraverso questo film hai scoperto qualcosa che non sapevi di tuo padre?
Maria Sole Tognazzi: Queste cose già le sapevo, ma essendo passati vent'anni qualche aneddoto lo avevo dimenticato. Non si tratta comunque di scoperte: il lato anarchico, trasgressivo, amante del rischio di mio padre me lo ricordo bene anche se ero piccina. E' stato comunque bello riaccendere quelle immagini, rientrare in quegli anni. E' un film personale anche perché mio padre, attraverso la propria vita, ha raccontato anche tanti altri personaggi.
L'ultima scena è un'intervista in cui chiedono a tuo padre se sarebbe contento se tu, sua figlia, sposassi un Ugo Tognazzi e, dopo un'esitazione, risponde di sì. Rolling Stones ha definito questo film la vostra luna di miele. Ma tu lo sposeresti tuo padre?
Maria Sole Tognazzi: Sì.